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Chi era Mike Millard e perché c'entra con i Pink Floyd

Riguarda il concerto incluso nel box "Wish you were here 50" che uscirà a dicembre
Chi era Mike Millard e perché c'entra con i Pink Floyd

In occasione della pubblicazione di “Wish You Were Here 50”, l'importante nuova uscita discografica dei Pink Floyd, pensata per celebrare il 50º anniversario dell'album “Wish You Were Here”, Sony Music (qui per il preorder) ha deciso di arricchire l’evento con una chicca tutt’altro che scontata: la registrazione di un concerto del 1975, precisamente quello alla Sports Arena di Los Angeles, tenutosi il 26 aprile. La band si esibì per cinque sere consecutive in quella sala, dal 23 al 27 aprile, registrando cinque sold-out.

Nell’archivio ufficiale dei Pink Floyd, tuttavia, non esiste alcuna registrazione professionale del tour del 1975, una serie di spettacoli svoltisi tra aprile e luglio di quell’anno, conclusi due mesi prima dell’uscita dell’album “Wish You Were Here”, pubblicato in Inghilterra il 12 settembre 1975. A questo punto è stata presa una decisione significativa: privilegiare, rispetto alla qualità di una registrazione da mixer, quella di un audio inciso su cassetta da un fan, in pratica un bootleg, ma di qualità eccellente. Una scelta simile era già stata fatta dai King Crimson, che hanno ufficializzato diverse registrazioni “pirata” effettuate dal pubblico, così come Bob Dylan e Neil Young, tanto per citare altri nomi illustri.

Mike Millard è passato alla storia per aver realizzato numerose incisioni non autorizzate nella zona di Los Angeles, dove viveva, introducendo la sua attrezzatura nei concerti con una modalità che verrà spiegata più avanti. Tutte le band che si sono esibite in quell’area negli anni Settanta sono state immortalate su nastro dal più noto “taper” del mondo. Millard ha guadagnato rispetto e ammirazione nel mondo delle registrazioni clandestine, soprattutto per i concerti di Rolling Stones e Led Zeppelin (questi ultimi hanno anche utilizzato parti delle sue registrazioni in uscite ufficiali), ma anche Jethro Tull, Genesis e Emerson, Lake & Palmer.

I bootleg ufficiali dei Pink Floyd

In realtà, non è la prima volta che i Pink Floyd pubblicano materiale simile. Da alcuni anni, probabilmente in vista di utilizzi futuri, hanno reso ufficiali anche se solo in versione digitale alcune registrazioni amatoriali realizzate dai fan in giro per il mondo. Già nel celebre box “The Early Years 1965–1972” era stata però inclusa, per la prima volta su supporto ufficiale, una registrazione di ottima qualità, effettuata da un appassionato dotato di attrezzatura semi-professionale (registratore a bobina e due microfoni ambientali), durante il concerto a Stoccolma del 10 settembre 1967. In quel caso, però, il taper si era accordato prima del concerto con la band, che non aveva posto alcun veto alla registrazione, destinata a uso privato. Solo anni dopo i Pink Floyd decisero di acquistare quel nastro e di includerlo nel cofanetto del 2016. La situazione è molto diversa con questa nuova registrazione: la differenza sostanziale è che Mike Millard, nel 1975, realizzò il nastro di nascosto, all’insaputa della band.

La scelta del nastro di Mike Millard relativo al concerto del 1975 non è stata casuale. Il 6 luglio 2021, infatti, la versione online di Rolling Stone USA pubblicò un articolo sulla recente scoperta di un upgrade della registrazione già nota di quel concerto, grazie al ritrovamento del master originale digitalizzato nel 2020. Il giornalista Andy Greene concluse così l’articolo: “Se i Pink Floyd decidessero mai di creare una serie bootleg, dovrebbero mettere le mani sui master di Millard, a partire da questo concerto di Los Angeles del 1975.” Detto, fatto.

Mike Millard non era un semplice appassionato: si guadagnò stima e rispetto tra i collezionisti per la qualità delle sue registrazioni. Conosciuto con il soprannome “Mike the Mic” – un gioco di parole tra il suo nome e il termine “microfono” – realizzò, tra il 1973 e il 1992, circa trecento registrazioni clandestine, tutte di qualità eccellente, la maggior parte alla Sports Arena di Los Angeles. Non aveva finalità commerciali: il suo scopo non era vendere registrazioni o fornirle ai produttori di bootleg, anche se alcune sue incisioni furono usate senza il suo consenso. Per prevenire abusi, Millard marcava le registrazioni che scambiava, in modo da identificarne l’origine e tracciarne la diffusione. Teneva persino un elenco dettagliato delle persone a cui le forniva e delle marcature usate.

Stiamo parlando di un’epoca romantica, quella degli anni Settanta, ancora pre-digitale, in cui gli appassionati si scambiavano nastri dei concerti per ascoltare versioni inedite o dal vivo dei propri artisti preferiti. Oggi, con un semplice smartphone, chiunque può registrare audio e video di qualità superiore a quella che era possibile ottenere cinquant’anni fa.

La fama di Mike Millard è tale che gli è stato recentemente dedicato un documentario, “Juicy Sonic Magic: The Mike Millard Method”, diretto da David DuBois. Il film racconta il tentativo, nel 2018, di ricreare l’esperienza di registrazione di Millard, grazie a Erik Flannigan e alla rock band The National, che utilizzò quell’incisione per una tripla cassetta pubblicata nel 2019 per il Record Store Day.

 

Il Mike Millard Archive

Dei circa trecento concerti registrati da Millard, solo poco più di un centinaio sono sopravvissuti. Per anni non è stato possibile recuperarne i master, poiché il 29 novembre 1994 Millard si tolse la vita. Alcuni sostennero addirittura che avesse distrutto le sue registrazioni prima del gesto estremo.

Oggi, grazie alla Sony e alla recente acquisizione del catalogo musicale dei Pink Floyd, non è più necessaria l’approvazione della band per pubblicazioni di questo tipo. Per anni, ad esempio, due celebri inediti del periodo barrettiano – “Scream Thy Last Scream” e “Vegetable Man” – erano rimasti bloccati da un veto della band. Di recente, quel veto è caduto, e i brani sono stati inclusi nel box del 2016. David Gilmour ha confermato il potere decisionale di Sony in una recente intervista a Rolling Stone USA: “Qualunque cosa Sony voglia fare, sarà quella che succederà. Non do loro alcun suggerimento, e se vorranno chiedermi qualcosa, lo faranno senza dubbio.”

Nonostante l’elevata qualità delle registrazioni di Mike Millard, i nastri non erano esenti da imperfezioni tecniche, inevitabili date le circostanze. Il master del concerto dei Pink Floyd del 1975, ad esempio, presentava problemi di velocità del nastro, un errore del tecnico della band che fece partire in ritardo gli allarmi di “Time”, distorsioni all’inizio di “Speak to Me” e “Breathe”, un taglio in “Any Colour You Like” e una strofa mancante in “Have a Cigar”.

Per sistemare tutto e migliorare la registrazione è stato coinvolto Steven Wilson, che da tempo lavora su materiale d’archivio dei Pink Floyd – si veda il suo lavoro sull’album solista di Richard Wright, “Wet Dream”, e sul recente “Live at Pompeii”.

Wilson di recente ha postato alcune sue considerazioni legate al suo restauro del concerto del 1975: “Sfortunatamente, durante il periodo di 'Wish You Were Here' non sono state realizzate registrazioni multitraccia adeguate dei Pink Floyd dal vivo, quindi ciò che ci rimane sono le registrazioni effettuate dai fan che hanno assistito ai concerti. Una di queste è considerata la registrazione di migliore qualità della band dell’epoca, realizzata alla Memorial Sports Arena di Los Angeles il 26 aprile 1975 da Mike Millard, che aveva assistito al concerto. Per molto tempo questa registrazione leggendaria è stata in circolazione, con vari trasferimenti effettuati dal master originale su cassetta nel corso degli anni. I trasferimenti più recenti hanno una fedeltà migliore, ma risentono maggiormente del degrado del nastro e delle perdite di segnale dovute all’invecchiamento, quindi il mio ruolo è stato principalmente quello di ricercare tutte le versioni disponibili e compilare quello che spero sia un master definitivo, riparando il maggior numero possibile di perdite di segnale, fluttuazioni di livello e altre anomalie. A questa nuova edizione ho applicato un mastering minimo, ma senza voler rendere il suono troppo esagerato o elaborato, in modo che continui a suonare essenzialmente come l’eccellente registrazione bootleg del pubblico che è sempre stata – niente AI qui!”.

Come registrò il concerto Mike Millard?

Il detto “il fine giustifica i mezzi” calza a pennello per il trucco escogitato da Mike Millard, il cui unico obiettivo era quello di portare all’interno dei concerti un’attrezzatura pesante e ingombrante senza destare sospetti alla sicurezza. Millard mirava alla massima qualità, per cui utilizzava un registratore Nakamichi 550 con Dolby attivato (circa sette chili di peso) e due microfoni AKG 451 con capsule cardioidi CK-1. L’unico modo per introdurre quell’arsenale era nasconderlo nel cuscino di una sedia a rotelle sulla quale si sedeva, facendosi spingere dall’amico Jim Reinstein, fingendosi disabile. Diabolico, vero?

Non finisce qui: in una borsa a tracolla portava tutto il necessario per la registrazione, tra cui i microfoni. Per evitare controlli approfonditi, in cima alla borsa posizionava delle mutande, dissuadendo così la security dal frugare troppo. Il trucco funzionava sempre. Millard iniziò a usare questo stratagemma nel marzo 1975, poche settimane prima del concerto dei Pink Floyd.

Una volta sistemati nel posto ideale, il “team bootleg” si metteva all’opera: Mike scendeva dalla carrozzina, fissava i microfoni ai lati di un cappello, faceva passare i cavi dietro la giacca e poi lungo i pantaloni, per una registrazione stereo perfetta. Per immortalare il momento, lui e Jim scattavano anche foto: alcune di queste sono oggi reperibili online.

Nel documentario citato, Reinstein racconta il rituale a fine show: i due si rifugiavano in auto, aprivano una birra e ascoltavano in cuffia la registrazione appena effettuata.

Il ritrovamento del master di Los Angeles 1975

Il merito del ritrovamento va a un certo Rob S., amico di Mike, la cui identità non è nota a tutti. Dopo la morte di Millard, Rob visitava regolarmente sua madre, Lia. Durante una di queste visite, parlando delle registrazioni, Lia accettò di offrirgli alcune cassette che Rob copiò. Un giorno, approfondendo la ricerca, trovarono finalmente i master originali! In seguito, Rob fu contattato da Jim Reinstein e decisero di rendere pubbliche le registrazioni, incluso il concerto dei Pink Floyd. Rob ha dichiarato di essere certo che “Mike sarebbe stato d’accordo”.

In rete si può leggere il ricordo di Jim riguardo a quella serata:

“Mike e io abbiamo assistito al concerto dei Pink Floyd il 26 aprile 1975. Lo spingevo sulla sedia a rotelle. Era la quarta serata su cinque alla LA Sports Arena. I biglietti erano molto richiesti e costosi, quindi andammo solo quella sera. Poiché la sala era gestita dalla Contea di Los Angeles, i posti preferenziali erano controllati da agenti del centro biglietteria. Fortunatamente, eravamo in buoni rapporti con molti di loro e potemmo scegliere dove sederci.

In anticipo, sapevamo dell’impianto quadrifonico utilizzato dalla band, per cui scegliemmo posti più arretrati del solito, alla sedicesima fila, per godere appieno del suono. L’impianto era fantastico, con amplificatori in ogni angolo del palco.

Quel concerto fu tra i più memorabili dei circa 200 a cui assistemmo insieme: durante il tour a Los Angeles furono effettuati oltre 500 sequestri di droga, secondo un articolo del Los Angeles Times. Nonostante ciò, riuscimmo a introdurre di nascosto un registratore Nakamichi 550, grande quanto un elenco telefonico e pesante quasi 7 chili. Incredibilmente, mentre altri venivano arrestati per poche canne, noi riuscimmo a registrare tutto. Che emozione! La registrazione fu superba.”

Chissà se Mike Millard sarebbe stato orgoglioso di ritrovare uno dei suoi nastri all’interno di una pubblicazione ufficiale dei Pink Floyd. Il suo lavoro di archivismo musicale, simile a quello di tanti altri anonimi appassionati del nastro, ha permesso la conservazione e la diffusione di numerosi concerti storici delle grandi band del rock (e non solo). Tutti quelli che, come me, hanno cercato e custodito per anni registrazioni live della propria band del cuore, oggi possono sentirsi orgogliosi: quelle incisioni non solo raccontano l’evoluzione musicale degli artisti, ma ci fanno rivivere – anche solo per un momento – l’emozione di essere stati lì, insieme a migliaia di altri spettatori, nella magia irripetibile di un concerto.

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