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Ozzy Osbourne, nel dark dipinto di dark

Un ritratto del Principe delle Tenebre
Ozzy Osbourne, nel dark dipinto di dark

L'amico e collega Riccardo Bertoncelli ci segnala un capitolo del suo libro "Topi caldi" (Giunti, 2016), nel quale prendendo spunto dall'uscita del cofanetto "Prince of Darkness", uscito nel 2005 traccia un divertito ritratto (da vivo) dell'appena scomparso Ozzy Osbourne.


Se un giorno mi avessero detto che, della meravigliosa fioritura di musicisti rock dei '60 e '70, a un certo punto uno dei più grandi rimasti sarebbe stato Ozzy Osbourne, avrei pensato a un colossale pesce d'aprile. Ma dai, su. Nemmeno per scherzo. Quel giorno poteva essere il 1970, quando uscì il primo disco dei Black Sabbath, seguito pochi mesi più tardi da un secondo, PARANOID, giusto per far capire che non di allucinazione si trattava ma di storia vera. Voi non avete idea di che effetto fecero quei dischi all'epoca, che sensazione di fastidio, di intrusione, di pochezza. Una musica così semplice, barbara, triviale, proprio nel momento in cui l'Umanesimo Rock trionfava e i suoi campioni si preparavano a conquistare le stelle e i pianeti dello spazio sonoro.
Ma sì, certo, eravamo snobboni e intellettuali. Però capite lo choc. Trentacinque anni dopo, la vita ha fatto una rivoluzione completa e i reietti di allora sono diventati re. Ma perché uso il plurale? Questa è una vicenda che riguarda solo Ozzy Osbourne, non ce ne sono altri con una storia e un diagramma come il suo, tutto verticale. Quindi non posso spendere la perfida notazione che mi verrebbe in mente, e constatare che è tutto logico, coerente, ce l'hanno spiegato i biologi che alla fine saranno i topi a ereditare le rovine della terra. No, qui il topo è uno solo, un enorme, pantagruelico Rat che si è nutrito di ogni avanzo e lisca, di musica e di vita, e vive felice, e diventa sempre più grande. Fateci caso. Osbourne non è il solo musicista di quei tempi lontani rimasto in circolazione. Ce ne sono tanti altri, ci sono ancora gli inossidabili Stones, l'amletico Townshend, Crosby, Stills, Nash & Young, perfino il professor Fripp con i suoi King Crimson (forse l'antidoto del nostro Ozzy, se il rock fosse chimica). Ma sono tutti impegnati a sopravvivere, a tenere le posizioni, a non sprecare fiato e munizioni. Ozzy no. Ozzy non è mai stato così pimpante e travolgente e pieno di idee, non è mai stato così su, a volare, oh oh, nel dark dipinto di dark. Hanno provato a un certo punto, fine anni '80, a dirgli di smetterla, tanto ormai le cose migliori (migliori?) le aveva fatte, con i Black Sabbath e con i primi album "solo". Lui per tutta risposta si è creato una personale Woodstock itinerante, l'Ozzfest, che alla faccia di scettici e detrattori è diventato un classico del mondo metal. Poi è sbarcato a MTV con la famiglia, la moglie Sharon e i figli Kelly e Jack, inventandosi lo show degli Osbournes e facendosi conoscere da un nuovo pubblico. La mi¬glior difesa è l'attacco, i topi lo sanno benissimo: così a furia di criticarlo, dicendogli che era una macchietta e non un musicista rock, Ozzy ha deciso di prendere d'infilata il nemico e di recitare da vera maschera regionale britannica. E non è finita. Il signore e la signora Osboume bucano così bene il video che hanno da poco inaugurato un altro programma TV, Baule For Ozzfest, che è una specie di Corrida metal per giovani bande emergenti. Il Madman, come Io chiamano, non ha alcuna intenzione di lasciar libera la scena; anzi, coltiva così in laboratorio i suoi doni e spera che un giorno invaderanno la Terra.
Hanno chiesto a Ozzy nei mesi scorsi di approntare un cofanetto celebrativo della carriera. Lui, che non è uno stupido, ci ha pensato su. A mettere in fila i successi e i brani veramente significativi, sarebbe venuto un misero CD, massimo un CD e mezzo; mentre quel che gli veniva chiesto era il piccolo mausoleo discografico in stile assiro-londinese che ormai è un passaggio obbligato nella vicenda di chi fa musica da qualche anno. Così ha frugato bene negli archivi ma ha anche sollevato la cornetta e convocato alcuni fidi musicisti per alcune registrazioni apposta. Ne è venuto un mix tutto particolare: un'antologia di brani celebri, una serie di live, demo e rarità, un disco di duetti che fino a ieri non erano mai stati raccolti organicamente e un album di cover registrate apposta. Ozzy sì che se ne intende. Così anche uno scettico prevenuto come me si è fatto prendere dalla curiosità e ha ficcato le orecchie nel mausoleo, dove naturalmente le scritte sono in gotico e la lapide all'ingresso annuncia "Prince Of Darkness", "Il Principe delle Tenebre", e il Mago di Oz è raffigurato come un santo blasfemo, con aureola, occhi bistrati e unghie laccate.
Be', quello che mi piace del Mago è la sua naturalezza, che poi si può chiamare spudoratezza, tanto nessuno si offende. Sa fare tutto, è disposto a tutto. Qui nel disco 4, quello delle cover registrate apposta, passa con disinvoltura da "21st Century Schizoid Man" a una "Good Times" di Eric Burdon che avrei giurato di ricordarmi solo io, da una prevedibilissima "Sympathy For The Devil" degli Stones a una "For What It's Worth" di Steve Stills che invece non avrei indovinato neanche con l'ausilio di additivi chimici. Ma non azzardatevi a spremere il cervello, attenzione, che non vi passi neanche per la testa che Ozzy questi brani li abbia "personalizzati" o "metallizzati" o che altro. No. Li canta e basta, come si potrebbe fare a un karaoke tra amici, a una serata in un pub; anche se ad accom-pagnarlo ci sono buoni musicisti e per esempio il chitarrista è Jerry Cantrell. Ma niente menate, è una festa. È sabato sera, l'Aston Villa ha vinto tre a zero, siamo al settimo giro di birre e 0-0 si mette a berciare gioioso "All The Young Dudes" dei Mott The Hoople, che è sempre un gran bel pezzo e aiuta a smaltire il colesterolo. Ammirevole anche il terzo CD, dove tutta una serie di Re Magi della scena rock, vecchia e nuova, viene a omaggiare er Principe e si lascia andare con lui a una serie di duetti più o meno traballanti. C'è chi lo fa per sincera ammirazione, chi per amicizia, chi per gioco. Segnalo i Primus, i Wu Tang Clan con Tony lommi (l'altra faccia dei Black Sabbath, ai tempi), Dweezil Zappa che schitarra con gusto "Stayin' Alive" e i Motorhead, altri bei reietti della scena Brit, venuti probabilmente a prendere ripetizioni. Anche qui, "it's only rock & roll" e ci ridiamo su: la perla è una versione di "Born To Be Wild" degli Steppenwolf in duetto con Miss Piggy, la petulante maialina dei Muppets.
C'è stato un momento in cui Ozzy voleva davvero essere il Principe delle Tenebre. Quando nel 1981 uscì DIARY OF A MADMAN, il suo "solo" più apprezzato, scrisse una lettera aperta ai fan confessando la sua infatuazione con l'orrore, la voglia di raggelare il sangue e scuotere la pelle di brividi con le sue canzoni. "Se le mie idee vi paiono farneticanti o vagamente psicotiche... sappiate che lo sono davvero". Ci vogliono impegno e disciplina per attuare un simile manifesto. Ozzy li ha persi per strada. Oggi non ci pensa neanche lontanamente; vuole rilassarsi, vuole essere come gli viene, se il sangue è finto, che si veda pure, se il brivido deve diventare ghigno, che lo diventi. Temo che tutto ciò sia una cosa molto "moderna", e incontri il gusto di questa depravata epoca in cui sembrano rimaste solo la disillusione, la voglia di sbeffeggiare tutto, un po' di tossica amarezza scambiata per quella noble art in rovina, il cinismo. Ozzy è il nostro specchio e il nostro clown; e a differenza di suo cugino Alice Cooper, che ogni tanto lascia intravedere una profonda malinconia dietro la maschera sul viso, non sono neanche sicuro che abbia un'altra faccia sotto il trucco.
Ozzy è Ozzy — sempre. Ci seppellirà tutti.
 

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