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Samuel: "Sono inquieto perché come società abbiamo fallito"

Dal nuovo disco solista "Maree" al futuro dei Subsonica: l'intervista.
Samuel: "Sono inquieto perché come società abbiamo fallito"
Credits: Alessandro Treves

Elettronico e visionario, “Maree”, il terzo e nuovo disco solista di Samuel (qui la nostra intervista), segna un nuovo capitolo per l’artista, per la prima volta affiancato dall’etichetta indipendente Asian Fake. L’album è un’onda sonora che alterna slanci clubbing e introspezioni malinconiche, dove la cassa dritta si fonde con paesaggi sonori dilatati e una scrittura lirica potente e poetica. È la sintesi della sua visione della musica. Intervistarlo su questo progetto è stata l’occasione per riavvolgere il nastro della sua carriera e parlare anche del futuro dei Subsonica, in un gioco fantascientifico tra passato, presente e futuro dove tutti i pianeti sono allineati nel segno di una libertà difesa e conquistata in trent’anni di percorso.

Qual è il percorso che conduce a “Maree”?
I dischi solisti per me sono sempre stati delle lampadine che si accendevano quando capivo che cosa volessi fare. Ogni volta che sono sceso dalla navicella dei Subsonica, escludendo i Motel Connection che sono sempre stati un esperimento dance, ho seguito delle idee. Ricordo che il primo album, “Il codice della bellezza” del 2017, è stato un modo per dare voce alla mia voce, un album scavato nel pop, scritto insieme a Jovanotti. Andai al Festival di Sanremo per dare credito a quel lavoro, e poi in tour però mi presentati con il batterista dei Linea 77. Insomma, c’era qualcosa di strano (ride, ndr).

Poi è stato il turno del secondo disco: “Brigata bianca” nel 2021.
Si tratta di un album intimista, scritto da solo in studio durante la pandemia, con tante collaborazioni realizzate a distanza, ma anche in quel caso successe qualche cosa che mi fece pensare. Mi resi conto che non mi piaceva più di tanto vedere un pubblico fermo ad ascoltare, volevo vedere la gente ballare. Da qui la necessità di tornare da dove ero arrivato. Ho tirato fuori le valigie piene di dischi e vinili impolverati di musica elettronica e mi sono messo a fare il dj. E ho scritto questo terzo capitolo.

Questo terzo disco è un ritorno al futuro?
Sì, dentro ci sono i suoni e i mondi elettronici con cui sono cresciuto. Tutto, effettivamente, è stato portato e condotto nel presente. È un tributo a quello che sono stato e sono.

Però non sembra che i due precedenti progetti solisti non ti rappresentino più…
No, infatti. Credo che “Maree”, però, sia la sintesi migliore tra tutte le mie anime. Viviamo in un periodo storico settoriale. C’è chi fa rock, chi fa dance etc. Esiste anche chi mischia, sia chiaro, ma il crossover con cui sono cresciuto, che ha avuto l’apice vent’anni fa, si è un po’ perso. Solo le nuove generazioni sembrano voler mischiare più generi. “Maree” per me è un grande mix di tutto quello che sono. Capire che cosa volessi trovarmi sotto il palco è stata la chiave: non volevo un pubblico fermo.

Anche in “Maree” hai dato grande importanza ai testi. La tua visione dell’elettronica è una musica che fa muovere il corpo e anche il cervello?
Ho iniziato a scrivere le prime canzoni a 6-7 anni. I miei fratelli più grandi ascoltavano cantautori come De André, De Gregori, Guccini. Il peso della parola per me è sempre stato un elemento fondamentale. Ispirandomi a questi mostri sacri ho composto tutta la mia musica fino alla post adolescenza. Poi ho conosciuto i rave, è scoppiata l’elettronica. Quella cassa che sparava musica, che sembrava  e sembra arrivare fin dentro il cervello, mi ha stregato. La techno è diventata l’abito dei miei primi brani su cui inserivo i miei pensieri.

Rifiutavi il “protagonismo” di un certo approccio?
Sì, è un tema interessante. Ho sempre amato la figura del dj perché non ha gli occhi addosso, la gente balla, pensa alla musica, non a chi è sul palco. Ma allo stesso tempo non ho mai voluto sacrificare la profondità del testo. Ho messo tutti questi aspetti insieme. Con i Subsonica questo mix ha raggiunto l’apice anche grazie alla band e a Max Casacci e al poeta Luca Ragagnin, due autori fantastici.

“Maree”, testualmente, ha richiesto un duro lavoro?
No, è come se i testi fossero già stati dentro di me. Li ho scritti mentre ero in tour con i Subsonica, prima dei live, nei vari alberghi.

Nel disco parli di illusioni, di comunità, di capitalismo. È un album inquieto.
Non potrebbe essere altrimenti. Come società abbiamo fallito: abbiamo donato la nostra felicità al capitalismo. Una società divisa tra ricchi e poveri, con la felicità, appunto, che sembra legarsi o essere definita solo in base al possesso monetario. La verità è che non ci si realizza solo con i soldi, quegli stessi soldi con cui si acquistano le armi e si fanno le guerre. E sembra che nessuno di noi possa fare niente davanti a queste dinamiche terribili. Il mondo è inquieto, la mia musica ne è un riflesso.

Hai mai messo in discussione il far musica?
No, perché ho sempre avuto la fortuna di fare musica con una certa dose di libertà. Con i Subsonica ci siamo costruiti un rifugio nel segno di questa libertà. Abbiamo rinunciato tanto in termini di successo per seguire la nostra idea di musica, abbiamo detto di no a chi ci chiedeva di ripeterci con ciò che aveva già funzionato, abbiamo detto di no ad alcune dinamiche discografiche non ci rappresentavano. E nonostante tutto questo oggi viviamo dignitosamente. Anche quando sono in solo ho questo approccio, i miei dischi sono una casetta calda d’inverno, un camino acceso mentre fuori c’è la tempesta.

Il tuo festival alle Eolie in programma dal 18 al 20 luglio?
Anche qui c’è un ritorno al futuro. Il festival è nato per vivere la musica in mezzo al mare, con ragazze e ragazzi che mentre si tuffano in acqua ascoltano musica che proviene da una barca dove si esibiscono gli artisti. È nato in periodo pandemico ed è cresciuto anno dopo anno arrivando a ospitare grandi nomi come Elisa. Sviluppandosi nella line up è aumentato anche nei numeri, diventando un’altra cosa. Siamo arrivati al punto che la Guardia Costiera impediva i tuffi in mare data l’affluenza di persone. Ma questo di fatto tradiva la genesi dell’evento. E così quest’anno ho deciso di tornare alle origini, ospitando i nomi più giovani, freschi e interessanti di Asian Fake. Sarà un festival in cui vivere e scoprire nuovi artisti, lontano dai grandi numeri.

I Subsonica nel 2026 festeggeranno trent’anni di carriera. Farete un nuovo album?
Sì, a livello testuale lo abbiamo praticamente chiuso. È un disco in cui, credo, si potrà sentire la felicità nel fare quello che facciamo. Il nostro modo di celebrare i trent’anni di carriera sarà sul palco, con il nostro pubblico.

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