Ligabue, viaggio al termine della notte di certe notti
Dal Bar Mario alla Strip c’è giusto qualche minuto di macchina. Il tempo che ci mette la gigantesca Cadillac adibita a palco ambulante sulla quale Ligabue, insieme alla sua band, scorrazza da una parte all’altra del parterre della RCF Arena di Reggio Emilia. Chi ha deciso di festeggiare con Ligabue i trent’anni di “Buon compleanno Elvis” - e i 20 dal primo Campovolo, oltre che i trentacinque di carriera del rocker emiliano - si è trovato accolto dalle luci di Las Vegas, che - dice lui - “è tutto e il contrario di tutto”. Sfavillante e disperata, divertente e spietata. Con un padrone di casa determinato a dare tutto sé stesso.
Una scaletta torrenziale - 28 brani in tutto, per oltre tre ore di musica - divisa in quattro sezioni che assomigliano a movimenti di un’unica suite. Si comincia - va da sé - col karaoke di “Certe notti” chiamato da Little Taver (il Kingo di “Radiofreccia”), che anticipa Ligabue sul palco, accompagnato da Federico Poggipollini e Max Cottafavi alle chitarre, Luciano Luisi alle tastiere, Davide Pezzin al basso e Lenny Ligabue (figlio di Luciano) alla batteria. Si parte con “I ragazzi sono in giro”, seguita da “Questa è la mia vita” e “I duri hanno due cuori”- con un ringraziamento allo storico (ora ex) manager Claudio Maioli (presente alla serata), ma “senza perdersi in chiacchiere, perché abbiamo tre ore di concerto da fare”: l’atmosfera, prodotta dai visual, è quella della Las Vegas da depliant, delle wedding chapel con i sosia di Presley come officianti che rimbalzano sui megaschermi durante “La metà della mela”. Sullo sfondo c’è il Nevada che sfuma nella pianura padana - nei visual proiettati durante il super-classico “Lambrusco e pop corn” e la Mecca dell’azzardo giocosa e spensierata dei bei tempi che furono. In apertura della seconda parte dello show la voglia di celebrazione - durante “Il giorno dei giorni” si stabilisce un ideale contatto, grazie a filmati d’archivio, con il primo Campovolo - lascia spazio alla prima irruzione della realtà, in apertura di “Cosa vuoi che sia”. Il tema è il cambiamento climatico: “Cosa vuoi che siano, solo in Italia e solo l’anno scorso, 350 casi tra allagamenti, esondazioni, mareggiate, frane. Cosa vuoi che sia tutta quella gente che ha perso tutto ed è stata lasciata sola”, dice Ligabue: “I capi del mondo, ne avranno pure loro di figli e nipoti. Ma cosa vuoi che sia…”. La Las Vegas proiettata a Campovolo smette di essere un luna park e si fa cupa, distopica. Sugli schermi scorrono le cifre delle tragedie prodotte dall’emergenza ambientale - 7 milioni di morti all’anno causate dall’inquinamento, 15mila eventi atmosferici estremi registrati negli ultimi dodici mesi, 1 milione di specie a rischio di estinzione.
Non è più, appunto, la Las Vegas dell’intrattenimento a ciclo continuo. Su “Le donne lo sanno” gli schermi proiettano le elaborazioni grafiche dei ritratti di artiste, scienziate, intellettuali, attiviste, politiche, sportive, scrittrici e giornaliste - da Rita Levi Montalcini a Margherita Hack, passando per, tra le tantissime, Raffaella Carrà, Nilde Iotti, Franca Rame, Michela Murgia, Sandra Mondaini, Dacia Maraini, Paola Egonu, Cecilia Strada, Samantha Cristoforetti, Gessica Notaro e Anna Magnani. Dopo le donne - attraverso le quali, dice Ligabue, “passando le speranze” del pianeta si torna ai “capi del mondo”, che questa volta hanno facce, nomi e cognomi. Durante “Happy hour” - fatta seguire a “Lettera a G.” - sugli schermi l’intelligenza artificiale veste da astronauti i potenti, e li carica su un’astronave per farli brindare con vista pianeta Terra, comodamente seduti dietro un oblò: a incrociare i calici - tra gli altri - ci sono Vladimir Putin e Donald Trump, Elon Musk e Mark Zuckerberg, Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron, Jeff Bezos e Sam Altman, Ursula Von der Leyen e Mario Draghi, Volodymyr Zelenskyj e Joe Biden, Benjamin Netanyahu e Viktor Orban, e Xi Jinping e Recep Erdogan. Unico a brindare da solo, rivolto verso il pubblico, è Sergio Mattarella, con un’aria tutto meno che divertita.
Si torna alle origini per la terza parte della serata, quando sul palco con Ligabue salgono il Clandestino: accompagnato da Max Cottafavi e Mirko Consolini alle chitarre, Giovanni Marani e Gianfranco Fornaciari alle tastiere, e Gigi Cavalli Cocchi alla batteria, ci si rituffa nel repertorio delle origini, con “Figlio di un cane”, “Bambolina e barracuda” e “Non è tempo per noi”. Eccezion fatta per la performance di Paola Caruso - già presentata dal vivo - su “Piccola stella senza cielo”, la scenografia si fa più essenziale: dopo “Balliamo sul mondo” c’è giusto tempo per una citazione en passant per “Marlon Brando è sempre lui” prima di lasciarsi alle spalle la via Emilia e tornare sulla Strip.
Perché la quarta e ultima parte dello show è quella dedicata al trentennale di “Buon compleanno Elvis”. Ligabue si presenta sotto i riflettori con un completo in perfetto stile Las Vegas, accompagnato dalla Banda (Previte e Poggipollini alle chitarre, Luisi alle tastiere, Antonio Righetti al basso e Robby Pellati alla batteria): si parte con la title track - che, sempre grazie all’AI, omaggia tramite i visual il tour europeo che il Re del Rock non è mai riuscito a fare (vuole la vulgata a causa dei problemi connessi allo status di immigrato illegale del suo manager, lo spietato Colonnello Tom Parker) - per poi passare a “Quella che non sei”, “Seduto in riva al fosso”, “Vivo morto o X” e “Hai un momento Dio?”, prima di saltare sulla Cadillac oversize per scorrazzare nel parterre per le performance di “Si viene e si va” e “Il meglio deve ancora venire”.
Il viaggio termina su una pedana che svetta in mezzo al pubblico, sulla quale sale solo Ligabue: parte la registrazione di un monologo di Roberto Benigni mentre sugli schermi scorrono le condanne dei massacri a Gaza, in Ucraina e in altri 56 conflitti in corso nel mondo. E’ l’attualità che torna a spodestare l’intrattenimento puro, con “Il mio nome è mai più”, la hit pacifista del 1999 scritta ed eseguita con Jovanotti e Piero Pelù che all’epoca sbaragliò la concorrenza nelle classifiche.
Con “Leggero” e “Viva!” si torna alla festa - con “A che ora è la fine del mondo?” (la cover italianizzata di “It's the End of the World as We Know It (And I Feel Fine)” dei R.E.M.), in particolare, a quella tenuta sul Titanic poco prima della collisione con l’iceberg - per poi passare a “Tra palco e realtà”. E’ il gran finale: si stappa lambrusco e si accendono i fuochi artificiali. Il bis è tutto per “Urlando contro il cielo” e - ovviamente - “Certe notti”.
Sincero, orgogliosamente esagerato e candidamente naif nel lanciare messaggi, “La notte di certe notti” è uno show che va letto dalla prospettiva del pubblico per il quale è stato pensato. Un pubblico transgenerazionale, che in Ligabue ha un parte importante della colonna sonora della propria vita: in questo senso, il corollario allestito intorno alla RCF Arena è perfettamente coerente con lo spirito non tanto della festa, quanto degli invitati. Il quinto Campovolo è l’equivalente dal vivo di un cofanetto deluxe, dove si cercano le certezze, i bei ricordi tirati a lucido in una confezione clamorosamente sfarzosa e, sì, anche una buona dose di pacche sulle spalle, sopra e sotto il palco. “Io ho avuto un sogno che sembrava molto vicino a una realtà, e che si è formato nella mia adolescenza”, ha detto Ligabue prima di salire sul palco incontrando la stampa: “Negli anni Settanta pensavo che il mondo si potesse cambiare, rendendolo più praticabile, giusto, equo, vivibile. In quel periodo operai, studenti e intellettuali andavano nella stessa direzione. Oggi quello che vedo è l’esatto opposto di quel sogno. Cosa si può fare? Ci sarebbe da smontare tutto, ma di sicuro non può farlo un cantante”. E la cifra dei flash di attualità che durante la serata hanno spento a intermittenza le luci di Las Vegas, probabilmente, è proprio questo: Ligabue non ha la presunzione di poter educare chi lo ascolta, proprio perché riesce a identificarsi benissimo - e senza alcuno sforzo - nel suo pubblico. Il pubblico che l’ha abbracciato per l’ennesima volta, con la voglia di festeggiare pur sapendo quanto sia difficile farlo, oggi, con tutto quello che sta succedendo là fuori. Alla vita di tutti i giorni si tornerà, inesorabilmente, domani mattina: almeno per questa notte, come per altre certe notti, va anche bene farsi abbagliare dalle luci di Las Vegas.