Per fortuna ci sono ancora storie come quella di Ed Sheeran

Alzi la mano chi quando nel 2012 in Italia uscì il suo album d’esordio “+”, già un caso nel Regno Unito, trascinato dal singolo “Lego house”, avrebbe scommesso un euro sul fatto che quel cantautore dai capelli rossi, che si presentava con gli occhiali da nerd e i camicioni larghi, sarebbe diventato una delle popstar più grandi del suo tempo. Bugiardi. È facile salire sul carro oggi che Ed Sheeran è un artista da 200 milioni di copie vendute e 185 premi vinti (compresi 4 Grammy Awards), che si esibisce da anni davanti a folle oceaniche, come ieri sera, quando ha incantato 80 mila spettatori con un mega show allo Stadio Olimpico di Roma, unica data italiana del suo “Mathematics tour” da oltre 650 milioni di dollari di incassi. Ma la verità è che non era affatto scontato che in anni in cui la musica pop che ambiva a conquistare le vette delle classifiche doveva necessariamente passare dai talent show («Io non li farei mai comunque, non è il mio mondo», assicurava lui) un cantautore che faceva dell’anti-coolness e del rifiuto dei canoni degli idoli pop il suo punto di forza, arrivato a firmare un contratto discografico dopo anni di esibizioni per le strade di Londra o nei sottoscala dei locali e che nelle prime interviste sottolineava come dopotutto la gente avesse «ancora voglia di canzoni d’amore un po’ malinconiche», riuscisse non solo a sopravvivere dopo un successo, ma anche a diventare un classico.
Dopo “Lego house” arrivò “Sing”. Dopo “Sing” arrivò “Don’t”. Dopo “Don’t” arrivò “Thinking out loud” e fu chiaro a tutti che quell’Ed Sheeran non sarebbe stato proprio un one hit wonder, una meteora. E poi “Photograph”, “Shape of you”, “Perfect”, “I don’t care”, “Bad habits”. Piaccia o no, sono diventate tutte alcune delle più grandi hit della storia del pop-rock degli ultimi quindici anni. Eppure mentre ieri sera le faceva ascoltare al centro dell’Olimpico, sul palco a 360 gradi voluto per permettere a chiunque di fruire dello show indipendentemente da dove fossero seduti, non lo sembravano. Nonostante i coriandoli, le fiamme e i fuochi d’artificio che nei muscolari show negli stadi non possono mancare ne enfatizzassero la potenza.

A guardarlo bene, Sheeran non aveva l’aura della popstar: sembrava ancora il cantautore che a Londra faceva ascoltare “The A Team”, come ha raccontato, convinto di avere tra le mani il tormentone che gli avrebbe cambiato la vita, ma ogni volta che suonava la canzone la gente seduta ai tavolini sembrava non manifestare alcun interesse verso quel pezzo. Forse il segreto di tanto successo sta tutto in quell’approccio da antidivo, da antistar, che non si fa problemi a condividere il palco, per un’occasione così importante, con un artista che all’Olimpico è di casa, come Ultimo (hanno duettato su “Perfect” e “Piccola stella”, come spoilerato dai video dei fan in attesa fuori dai cancelli, che si sono ritrovati involontariamente ad assistere ieri pomeriggio alle prove). «Tutto ciò che ascolterete questa sera è suonato dal vivo. Non ci sono basi pre-registrate. Sono io a crearle, in diretta. E ora vi mostrerò come faccio», ha spiegato ad un certo punto dello show, alludendo al complesso sistema con il quale attraverso le loop station crea i tappeti ritmici sui quali si esibisce dal vivo. Non è una novità: lo fa da sempre (condividendo il palco per qualche pezzo anche con una band). Ma i fan lo hanno ascoltato come se fosse la prima volta.

Da “Castle on the hill”, omaggio alle scampagnate adolescenziali insieme agli amici al castello di Framlingham, nella contea di Suffolk, a “Bad habits”, passando per “Shivers”, la stessa “The A Team”, “Don’t”, “Sapphire” (l’ultima anticipazione dal nuovo album “Play”, che uscirà il 12 settembre, dopo “Azizam” e “Old phone”), “Eyes closed”, “Take me back to London”, “Photograph”, “Tenerife Sea”, il concerto è stato un monumento alla dedizione e all’impegno che Sheeran ha sempre messo nella sua musica, nel suo percorso. Per fortuna ci sono ancora storie così.
"Castle on the hill"
"Blow"
"Shivers"
"The A Team"
"Don't"
"Lego House"
"Dive"
"Sapphire"
"Eyes closed"
"Give me love"
"I was made for loving you" (con Tori Kelly)
"Take me back to London/River/Cross me/Peru/Beautiful people/South of the border/Own it/I don't care"
"Drive"
"Celestial"
"Galway girl"
"Nancy Mulligan"
"Thinking out loud"
"Love yourself"
"Sing"
"Old phone"
"Happier"
"Photograph"
"Tenerife Sea"
"Piccola stella" (con Ultimo)
"Perfect" (con Ultimo)
"Bloodstream"
"Afterglow"
"You need me, I don't need you"
"Azizam"
"Shape of you"
"Bad habits