Psichedelica e apocalittica, ma senza acidi: il ritorno di Miley

Nel brano che apre l’album, intitolato enfaticamente “Prelude”, “preludio”, racconta l’esperienza di un sogno lucido. Parla di impermanenza e di precarietà e canta: «La bellezza che si trova da soli è una preghera che desidera ardenemtente essere condivisa». Poi parte la title track, uno dei singoli che hanno anticipato l’uscita del disco, una ballata r&b con sfumature soul e jazz che esoplode in un ritornello che guarda al rock sperimentale e al pop psichedelico, caratterizzato dalla distorsione della sua voce: «Annego nella devozione, profonda come l’oceano, quindi non lasciarmi andare». La Miley Cyrus di “Something beautiful”, il nuovo album in uscita questo venerdì, 30 maggio a distanza di due anni dal precedente “Endless summer vacation”, è psichedelica e apocalittica. Ma senza acidi (ha giurato di essere sobria da cinque anni). A tratti anche inquietante. Dopo aver soddisfatto il grande pubblico con una veste più semplice e tradizionale, con il disco di “Flowers”, l’ex stellina Disney arrivata nel pop che conta nel 2013 in sella alla sua palla da demolizione torna a spiazzare. Alzando l’asticella.
Il disco più ambizioso della sua carriera
“Something beautiful” è il nono album della carriera di Cyrus ed è sicuramente il più coraggioso, ambizioso e anche commercialmente rischioso che la popstar di “Wrecking ball” abbia fatto fino ad oggi. La cantautrice ha lavorato alle tredici canzoni che lo compongono negli ultimi due anni, sparendo ad un certo punto dalle scene, coinvolgendo produttori e autori considerati outsider rispetto a quelli i cui nomi compaiono praticamente in tutti i crediti dei dischi pop statunitensi o britannici di questi anni: da Bj Burton (Bon Iver, Charli XCX) a Shawn Everett (Alabama Shakes, The Killers), passando per Maxx Morando (suo fidanzato, ex membro della band punk rock statunitense The Regrettes), Alec O’Hanley e Molly Rankin (degli Alvvays, band indie pop canadese di culto della scena) e Jonathan Rado (membro degli eroi dell’indie rock californiano dei Foxygen). L’obiettivo? Concedersi il lusso di uscire fuori dalla sua comfort zone. E sparigliare le carte in tavola, forte del successo riscosso con il disco precedente. È stata lei stessa in una lunga intervista concessa a Zane Lowe ai microfoni di Apple Music a spiegare di essersi potuta permettere un’operazione del genere proprio in virtù dei due Grammy Awards vinti nel 2024 con “Flowers” come “Record of the Year” e “Best Pop Solo Performance”: «Una volta ricevuto il Grammy ho pensato: “Ecco, quando mi cerchi su Google ora c’è scritto ‘Miley Cyrus, artista vincitrice di un Grammy’”. Adesso posso andare a fare la mia roba strana che mi piace fare. E in qualche modo ho finito per fare un album sperimentale, ma non ho mai voluto abbandonare la musica pop perché credo che The Beatles, Elvis, David Bowie, Prince, Madonna siano tutti artisti pop».
Ma che c'entrano i Pink Floyd?
Lo scorso novembre aveva anticipato che “Something Beautiful” sarebbe stato ispirato a “The Wall” dei Pink Floyd, facendo stracciare le vesti ai puristi del rock. Di “The Wall”, naturalmente, non c’è nulla, come non c’è nulla di qualunque altro disco dei Pink Floyd. È solo nel formato che Cyrus si è ispirata, o quantomeno c’ha provato, al capoalvoro della leggendaria rock band britannica. «È un concept album che è un tentativo di curare una cultura malata con la musica. Per la gente vorrei essere una umana psichedelica. Non voglio che qualcuno provi a essere come me o a imitarmi o anche solo a essere ispirato da me. Voglio influenzare le frequenze nel tuo corpo per farti vibrare a un livello diverso. Per me era importante che ogni canzone avesse queste proprietà sonore curative. Le canzoni, che parlino di distruzione, crepacuore o morte, sono presentate in un bel modo, perché i momenti più brutti della nostra vita hanno un punto di bellezza. Sono l'ombra, sono il carboncino, sono le sfumature. Non puoi avere un dipinto senza luci e contrasti», ha spiegato. E ancora: «La mia idea era di fare “The Wall”, ma con un guardaroba migliore e più glamour e pieno di cultura pop». Sulla copertina si è fatta fotografare dal fotografo Glen Luchford, attivo nel settore del glamour, indossando un abito d’archivio Diu Thierry Mugler del 1997 descritto come «un cenno sorprendente» all’estetica «audace» dell’album. L’immagine vede Cyrus avvolta nell’oscurità mentre è circondata da alcune luci, enfatizzando il tema dell’album: «Trovare la bellezza nei momenti bui».
Il film, annunciato come "un'opera pop"
Da “End of the World” a “Give me love”, passando per “More to lose”, “Easy lover”, “Gold burning sun”, “Pretend you’re God” e “Reborn”, i temi delle 13 canzoni ruotano attorno alla bellezza, alla morte, all’impermanenza, al dolore e alla distruzione: «I momenti più brutti della nostra vita hanno un punto di bellezza. Sono l’ombra, sono il carboncino, sono le sfumature. Non puoi avere un dipinto senza luci e contrasti», spiega. Insieme al disco ha lavorato anche a un film, pensato come la traduzione visiva delle canzoni. Si intitola semplicemente “Miley Cyrus: Something beautiful” e sarà presentato in anteprima il 6 giugno al Tribeca Film Festival di New York, uno degli appuntamenti più attesi dagli appassionati di cinema, per poi arrivare nelle sale italiane solo per un giorno, il 27 giugno, come evento speciale al cinema. Il progetto viene presentato come «un’opera pop». Il mix è stato firmato da Alan Meyerson, già dietro al suono di “Dune - Parte 1” e “Il cavaliere oscuro”: «“Something Beautiful è il progetto dei miei sogni che prende vita: moda, cinema e musica originale che convivono in armonia - rivendica Cyrus - le persone che hanno lavorato con me sono tutte dei geni a modo loro: dai maestri del suono, Shawn Everett e Alan Meyerson, fino a uno dei registi più originali del panorama cinematografico, Panos Cosmatos, qui in veste di produttore. Ogni collaboratore ha messo la propria competenza al servizio di questa visione, trasformando la fantasia in realtà».