Salmo: “Il mio lato cantautorale? È l’inizio di qualche cosa”

Salmo, che nel 2021 protestò contro il mancato riavvio del mondo dello spettacolo durante la pandemia, mettendo in discussione le leggi imposte dal lockdown, quasi per un gioco di cicli storici che si aprono e che si chiudono, alla fine ha ritrovato se stesso partendo da un isolamento, però questa volta voluto, cercato, “necessario”, spiega. Proprio come fece Paul McCartney quando nel 2020 decise di chiudersi in una fattoria insieme alla sua famiglia "registrando praticamente ogni giorno per ritrovare l’amore per la musica”, il rapper sardo ha fatto lo stesso per realizzare “RANCH”, il suo nuovo album in uscita il 9 maggio, che arriva a quattro anni di distanza da “Flop!” e a due da “Cvlt”, il joint con Noyz Narcos.
"RANCH” (i cui video sono stati girati in Bulgaria in un vero ranch, quello dell’ultimo capitolo di Rambo) è un disco verace e autentico in cui tutte le anime di Salmo vengono innalzate: da quella rap hardcore a quella più melodica e cantautorale, passando per quella rock ed elettronica-impazzita. Il rifugio in collina, nel cuore della Sardegna, ha permesso all’artista, lontano dai riflettori e dagli algoritmi social, di guardarsi dentro e di riconnettersi con se stesso. Tutto il mondo di Salmo troverà letteralmente casa al “Lebonski Park”, il live in scena il 6 settembre alla Fiera Milano Live.
Che cos'è per te il “RANCH”?
È il posto sicuro, l’isola felice nella mia testa. Ho avuto bisogno di isolarmi, anche se l’isolamento non è bello, non voglio invitare a prendere spunto da questa decisione. Per me è stato importante per ritrovare creatività.
Cos’altro?
Ho mollato i social. Negli anni ci ho giocato parecchio, ho fatto il deficiente. Ma poi i social mi sono pesati. Per la creatività sono su un freno. Mollandoli la creatività è esplosa in 16 tracce. Il disco è venuto fuori da solo. In quel periodo avevo altri progetti, ho fatto un libro e la serie tv “Gangs of Milano”. Proprio per la serie ho dovuto essere un’altra persona, un personaggio: Snake. Come fa lui nella serie, alla fine mi sono isolato anche io, ho affrontato i miei demoni. Mi sono ispirato alla sua vita, è stato assurdo, ma è andata così.
Come hai lavorato?
Sono tornato in Sardegna, dove abito, in collina. Ho fatto entrare nel mio mondo solo chi ha collaborato al disco. Mi sono riconnesso con la terra, con quei posti. Ovviamente il ranch rappresentato sull’album e nei video non è il mio, quello è un set in Bulgaria dove è stato girato l'ultimo capitolo di Rambo. Il mio è “sardo”. Sto costruendo i recinti, mi piacerebbe in futuro avere anche degli animali, oltre ai tanti gatti che già mi tengono compagnia. Quello che posso dire è: ognuno cerchi il suo ranch per la mente, lo costruisca.
Perché come unico feat Kaos?
Per me è stato doveroso inserirlo. È stata una delle persone che mi ha ispirato più di tutti. Da ragazzino ero timido, avevo i denti storti, ero disagiato. Un giorno ho visto un live in vhs, era di Neffa, e a un certo punto entra in scena Kaos, con i capelli sparati alla Sid Vicious. Dissi: “Io voglio fare questo”. Con il rap sono uscito dal mio guscio. Chiamando Kaos in questo album volevo chiudere un cerchio.
C’è chi dirà: “non fa numeri”.
Chissenefrega. Oggi molti feat si fanno proprio per fare numeri, ma a me non interessa.
Dove hai guardato per realizzare questo album?
Non ho guardato fuori dalla finestra, ma dentro di me. Ho 40anni e ho fatto un’auto-analisi. Non ho fatto come in “90min”, che era una canzone-tg, non ho parlato molto della società. Non volevo ripetermi. Per tanto tempo ho voluto mostrarmi duro, ora non mi interessa più. Alla fine sono una brava persona…
In “Titoli di coda” ironizzi sul concetto di hit. La tua quale è?
I numeri dicono “Il cielo nella stanza”, ma per me è proprio “90min”, che spaccò. Un po’ come se i Rage Against The Machine fossero entrati in classifica.
Hai realizzato 16 video, uno per ogni canzone.
Vanno visti tutti, uno dopo l’altro, perché compongono una storia ed è come se insieme formassero un unico video, con un finale. C’è dentro un concept parallelo al disco. Siamo nel futuro, c’è stata una guerra tra umani e intelligenza artificiale, robot. E il protagonista è solo, nel suo ranch, con i suoi gatti.
Come è stato pensato il Park di settembre?
Il Park è stato pensato per i fan. Per non stare tre ore sotto il sole a cuocere. È una festa di paese. Ci saranno giochi come il toro meccanico, si potrà sparare alle lattine, divertirsi per tutto il giorno. E poi a un certo punto si aprono i cancelli, parte la musica e inizia l’inferno. Dopo il Park farò i palazzetti e poi un tour mondiale. Avrei dovuto farlo anni fa, ma la pandemia lo fece saltare. Sarà in vari club sparsi per il pianeta, sarà un ritorno alle origini.
“Conta su di me” a chi è dedicata?
Alla musica. È una canzone d’amore per lei, che non mi ha mai lasciato solo.
Un pezzo come “Incapace” mostra un tuo lato molto cantautorale.
Sai, credo che questo lato sia l’inizio di qualche cosa. Non volevo fare solo un disco rap. Un brano come “Incapace” lo volevo fare da tempo. È da cantautore, ma anche punk. Vince l’intenzione, su tutto. Ed è stato fatto in presa diretta.
In “Crudele” racconti la storia della tua famiglia.
Sì, l’ho ricostruita nel tempo grazie ai racconti di mio padre. Quando ho deciso di fare la canzone, è uscita velocissima perché era già scritta dentro la mia testa.
In “N€urologia” ribadisci che hai rinunciato a un milione di euro per fare X Factor. Ci racconti qualche cosa in più rispetto a quello che avevi già svelato?
Quello è un pezzo alla Fabri Fibra. Nel 2019 ho fatto una prova per diventare giudice, è stato divertente. Dissi delle cose molto tecniche. E piacqui. Ho mollato non perché non mi piace X Factor, ma perché, per una serie tv, in quel periodo dovevo vestire i panni di un personaggio che era completamente all’opposto. Non volevo andare a X Factor per piangere, perché non c’è nulla che mi faccia piangere più della musica. E il tutto avrebbe stonato con il personaggio che stavo interpretando.
Nel disco c’è anche della spiritualità. Credi in Dio?
Sì, è vero, ma non credo in Dio, credo nell’energia degli esseri umani. Alla fine di "Mauri" c'è un coro gospel meraviglioso, che abbiamo registrato in una chiesa. E quell'aspetto magico, spirituale, è stato possibile grazie a delle persone in carne ed ossa, non grazie a un Dio.
Chi ti piace tra i rapper di nuova generazione?
Sayf, Kid Yugi, Rrari dal Tacco, e altri. Io vengo da una scuola in cui tutti scrivevano e scrivono benissimo. Primo Brown, Marra, Fabri Fibra, Kaos sono alcuni esempi. Oggi c’è povertà di linguaggio. Primo Brown faceva cine-rap. In “Un mestiere qualunque” si immedesimava in un poliziotto, senza insultarlo, ma per capirlo. Quello è il vero potere della parola, ma questa cosa oggi si è persa. Io adesso se avessi 16 anni non farei rap. Ai ragazzi dico: se volete farlo, dite la verità. Se siete degli sfigati, ditelo. E fatelo bene, con attitudine e stile.
È sempre attuale il tema dei “testi espliciti” nel mondo rap. La tua posizione?
C’è un problema legato alla libera espressione. Io credo che si dovrebbe dare meno peso ai testi dei rapper. Basta dare la colpa ai rapper per quello che succede ai ragazzini. Se avessi dovuto dare retta a tutti gli artisti che ho ascoltato, oggi sarei in galera.