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“Opus”: il vero film horror è come si promuove la musica oggi

Arriva nelle sale la cronaca horror su come si promuove oggi un comeback musicale
“Opus”: il vero film horror è come si promuove la musica oggi

“Opus” è un film horror che racconta il comeback musicale di Moretti (John Malkovich), bizzarra e leggendaria pop star di cui nessuno sente più parlare da decenni, almeno fino a quando su YouTube viene caricato un video che ne annuncia il nuovo EP in arrivo. 
In pieno stile “Charlie e la fabbrica di cioccolato”, un gruppo selezionatissimo di professionisti riceve un cesto regalo con bizzarri articoli omaggio e l’invito alla magione dove l’artista si è rintanato. Il biglietto d’oro del giornalismo musicale. Segue viaggio della suddetta comitiva - una sorta di barzelletta 4.0 con il podcaster, l’influencer, la conduttrice controversa, l’attempata firma prestigiosa, l’ex paparazzo e l’imbucata - alla comune dove la suddetta pop star ha creato una setta a sua immagine e somiglianza.

La brutta notizia per “Opus” è che alla critica non è particolarmente piaciuto perché sa di già visto e racconta in maniera piuttosto approssimativa la parte settaria della storia. La buona è che ha parecchie cose interessanti da dire in merito all’industria musicale di oggi e al rapporto malsano che talvolta s’instaura tra la stessa e il suo tramite presso il pubblico: il giornalismo culturale. Tanto che, se avesse puntato su questi argomenti, forse l’esordio registico di Mark Anthony Green avrebbe lasciato il segno.
"Opus" si affida al registro del grottesco per raccontare la sua pop star Moretti; un incrocio tra Elvis, Mariah Carey, Michal Jackson e Boy George con numerosi record di vendite e di permanenza nella nella classifica di “Billboard”. L’annuncio del suo ritorno musicale genera comprensibilmente entusiasmi, perplessità e in generale molto fermento. Riuscirà un musicista il cui ultimo giro di giostra risale a un’era in cui non esisteva Internet a conquistare un mercato discografico così differente?
La mossa di Moretti è invero molto attuale e mirata: è lui a selezionare chi sentirà l’album in anteprima, invitando sei fortunati nella sua enorme proprietà dove nessuno di non iniziato ha mai messo piede. Il gruppo selezionato dal cantante è un po’ la summa di un certo scenario giornalistico attuale. Moretti infatti richiama una selezione di nomi prestigiosi che hanno trovato modo di sopravvivere professionalmente esasperando i toni. C’è una fotografa che paparazzava le star all’epoca nei loro momenti più imbarazzanti, c’è la giornalista ancora piacente che conduce un talk molto pungente e l’ex firma di prestigio che si ricicla come podcaster incendiario. 

La protagonista Ariel (Ayo Edebiri) è una giovane giornalista che sogna di fare carriera ma viene trattata dal collega Stan (Murray Bartlett) come una sorta d’assistente. Lui è la grande firma di un tempo, che tutto sa di tutti, che ha vissuto sotto il palco i momenti di cui lei ha letto su Wikipedia. Momenti di cui poco o nulla sa l’influencer d’aspetto incantevole che non si occupa propriamente di musica ma ha abbastanza follower da giustificare la propria presenza. Stan sarebbe un grande giornalista, in teoria, se non fosse che è fermamente intenzionato a scrivere l’unico pezzo in merito all’esperienza, anteponendo il proprio prestigio alla possibilità di pubblicare una copertura esaustiva su quanto di sinistro lui e Ariel stanno scoprendo.

Quel poco di musica che sentiamo in “Opus” è grottesco quanto il film: tracce vecchie e nuove di Moretti sono cacofoniche e ridicolmente pacchiano nel loro prendersi mortalmente sul serio pur essendo la versione nemmeno troppo nobile di una disco dance dai testi seduttivi.
Solo che Moretti non è un cantautore dalle idee politiche così forti da scatenare un’ondata d’odio e violenza della stampa generalista nei suoi confronti. Le sue canzoni sono un riflesso della sua personalità vanesia e gli attacchi per cui si è mortalmente offeso riguardano commenti poco positivi rispetto al suo guardaroba, al suo gusto musicale e al suo aspetto fisico. Essendo in un horror, Moretti porta il concetto di “domanda sgradita” o “silenziare una voce scomoda” a un livello molto violento. L’evento di presentazione del disco è in realtà uno scontro di personalità che Moretti, in maniera molto furba, decide di giocare nel suo territorio, alle sue regole.
Il punto non è davvero la musica in sé o la setta, ma questo rapporto in cui al centro non c’è l'oggetto culturale di cui si sta parlando, ma ambizioni personalistiche su entrambi i fronti. Da una parte c’è una vecchia popstar così abituata a essere venerata da aver fondato una setta attorno alla sua persona, dall’altra un gruppo di professionisti che per fama pregressa o attuale ha un codazzo di proseliti. Chi dovrebbe raccontare e commentare lo fa con la supponenza di chi è abituato a pensare che il punto non sia tanto ciò di cui si sta parlando, ma l’opinione che la firma prestigiosa ha in merito.

In questo scontro di personalità è Ariel stessa a postulare una delle grandi verità messe a fuoco da "Opus": si scrive delle star perché sono persone interessanti in quanto famose. Il suo piano professionale è quello di diventare a sua volta una star giornalistica, una persona di cui importa l’opinione a prescindere dal tema, perché legittimata proprio dal grande seguito che ha. Lei è convinta che raccontare un album come quello di Moretti possa essere la sua occasione, perciò ricopre il suo quaderno di appunti. Non è però particolarmente interessata alla musica o al personaggio, quanto piuttosto alla possibilità di scrivere un articolo forte per acquisire notorietà.
Nel suo fanatismo pseudo religioso, Moretti ha organizzato questa presentazione proprio per venire incontro a queste aspettative, che ovviamente si ripercuotono a cascata sul pubblico. L’ascolto dei nuovi brani dell’album viene rapidamente messo in secondo piano, mentre i giornalisti vengono coinvolti in bizzarre “esperienze”.

Quello raccontato in "Opus" è una sorta d’incontro di personalità che non può che portare alla disfatta, perché chi è lì per raccontare la musica è alla ricerca di un argomento su cui rafforzare la propria immagine. Moretti a sua volta ha creato tutta questa elaborata messa in scena più per mostrare l’impatto che ha sulla comunità di persone che ha plasmato che per regalare ai suoi fan un nuovo tassello della sua opera musicale.
La testimone di questa guerra personalistica d’identità che vogliono raccontare sé stesse sullo sfondo dell’ennesimo “evento” (un album evento) non può che essere Ariel, contraddistinta proprio dalla mancanza di personalità, di fama, di seguito. È lei a spiegare la perversa logica dietro a "Opus" e alla smania di rendere un album, un singolo, con tour “un evento”. Per essere meritevole d’attenzione, una nuova uscita deve creare uno scontro frontale tra opinioni diametralmente opposte, ciascuna delle quali capitanata da uno o più esponenti eccellenti. Da qui la necessità di consumare (velocemente) quel qualcosa da parte del grande pubblico, per sapere da che parte stare, per stabilire la propria posizione identitaria.

In tutto questo, ovviamente, la musica, il cinema o la letteratura sotto i riflettori non sono mai il vero fulcro dell’attenzione. Non in una società in cui è facilissimo che il consumo culturale assuma le forme, appunto, delle logiche settarie e del culto delle personalità.

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