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Lucio Corsi: “Reinvento il passato per riscrivere il domani”

Tra l'album “Volevo essere un duro” ed Eurovision: un salto dentro il suo mondo magico. L’intervista
Lucio Corsi: “Reinvento il passato per riscrivere il domani”
Credits: Tommaso Ottomano

Ascoltare “Volevo essere un duro”, il nuovo album di Lucio Corsi in uscita per Sugar Music, è come entrare in un saloon popolato da un mare di personaggi variegati. Un mix tra il bar di Guerre Stellari e quello di una provincia maremmana che profuma di Far West. Si ride, si piange, si sogna, si immagina, si incrocia lo sguardo con la realtà. “Il disco è nato strisciando sui marciapiedi, nascondendomi negli armadi o sotto le zampe dei tavoli, girando tra i panni sporchi nelle lavatrici, appendendomi con le mollette ai capelli, ai panni stesi, cercando ricordi non miei nei cappelli degli altri, cercando nuovi orizzonti nelle scarpe degli altri”, racconta il cantautore toscano. La sua vita, dopo la partecipazione al Festival di Sanremo, è stata stravolta: tour sold out da migliaia e migliaia di biglietti staccati, i riflettori dell’Eurovision a maggio, dopo la rinuncia di Olly, e persino due mega-date negli Ippodromi a Roma e a Milano. È passato dal vestire i panni di outsider all’essere un vero fenomeno musicale. “Voleva soltanto essere Lucio”, ma è diventato una stella che non vuole bruciare come una supernova.

Come hai reagito alla rinuncia di Olly?
Eravamo in ballo e siamo convinti, con tutti i ragazzi che suonano con me, di dover continuare a ballare. Quindi mi sono detto: andiamo all’Eurovision, andiamo a modo nostro, senza cambiare la canzone. Lì conta tanto la messa in scena, ma non mi interessano i fuochi d’artificio. Andremo scarni, diretti. Forse avrò giusto un’armonica in più.

In questo disco ti sei messo nelle scarpe degli altri, che poi è quello che dovrebbe fare in qualche modo un cantautore. Che cosa ti piace di queste storie?
Molte delle storie dell’album hanno a che fare con il passato, con l’adolescenza, sono storie vissute da me, o da amici, o da altri o da persone che ho inventato. Reinventare il passato è qualche cosa di magico. Il futuro è sorprendente, il passato in teoria no perché lo abbiamo già vissuto. Per questo se lo si rielabora può sorprendere esattamente come il domani, può avere lo stesso effetto e permette di crearsi un’altra storia personale.

Chi popola il mondo che racconti?
Francis Delacroix, un amico immaginario per me e per Tommaso Ottomano (autore, produttore e artista visuale, ndr), o forse non lo è. È un fotografo e viaggia nel tempo. C’è Rocco, il bullo della scuola. Meravigliosamente mostruoso. E poi anche il Re del Rave, da cui, in gioventù, sono sempre rimasto affascinato.

De André scrisse: "Noi cantastorie andiamo in giro sollevando la polvere dai fatti memorabili, cerchiamo di farne mito o leggenda”. È così anche per te?
Io sono molto affezionato alle canzoni con protagonisti dei personaggi particolari. Le loro, in effetti, possono essere storie piccole, ma contenere un’epica che merita di essere raccontata e che a volte è più interessante di quella delle grandi vicende. Solo che oggi ci sono sempre meno pezzi che si concentrano su questo tipo di personaggi. A me interessa invece approfondire questo genere, questo modo di fare canzoni. Inoltre mi piace l’idea che questi brani mettano le ali, che partano dalla realtà e volino oltre.

Per mettere le ali, insegna Peter Pan, serve una combinazione tra pensieri felici e polvere di fata. Tu la polvere di fata ce l’hai senz’altro, i pensieri invece come sono?

Sia felici che tristi. Ed è questo il bello. Io ho sempre amato gli artisti che hanno il potere di farti sbellicare dal ridere e poco dopo commuovere. Mi piace l’equilibrio costante tra risata e malinconia. Lucio Dalla, Paolo Conte, Ivan Graziani, Vasco, Randy Newman sono sempre riusciti a scandagliare vari stati d’animo. E l’aspetto più interessante è quando questi nomi non fanno capire quale direzione emotiva stanno prendendo. È quello il bello ed è esattamente quello a cui tendo io.

Il nostro è un mondo tragicomico come in “Situazione complicata”?
Basta guardarsi intorno per rendersene conto. Siamo tutti tragicomici.

Viene in mente un verso della tua canzone “Questa vita”: “Questa vita ci schiaccia, ma non ha alcun peso, siamo talmente tante ombre diverse che formano l’arcobaleno”.
In quel brano c’è una presa di coscienza, mette in risalto la nostra esistenza, il suo valore. È una riflessione sulla vita. È la prima canzone che ho scritto del nuovo disco, oltre un anno e mezzo fa. L’ho registrata subito. Non sapevo se avrebbe trovato casa o no, poi invece ha preso una stanza in quel palazzo che è diventato l’album.

“Nel cuore della notte” è uno dei brani più splendenti del disco. Possiamo definirlo come il brano simbolo del progetto?
È un raccoglitore dei temi principali: ci siamo io, i miei amici, ci sono le storie di altri, c’è l’amicizia, c’è il tempo che scorre, ci sono le luci e le ombre del nostro vivere. Lo pubblicai nel Natale del 2024 come anticipazione dell’album. Mi piace anche come struttura musicale: è lungo, ha una frase che si ripete e sono molto felice di non essere riuscito ad arrangiarlo. È una telecamera, piazzata su un cavalletto, che racconta ciò che passa davanti, racconta storie della Maremma, di notti passate in giro. È una telecamera semplice, non è un drone. Per me resterà sempre importante perché è stata la prima canzone in cui ho provato a raccontare gli altri…


Ma non lo hai sempre fatto?
Si, ma sempre attraverso altri elementi: il vento, la terra o gli animali. In questa canzone e in questo album queste metafore non ci sono più.

Il successo ti spaventa? Qualche mese fa per strada ti riconoscevano in pochi, ora hai difficoltà a camminare.
Sono felice di quello che mi è successo. Perché mi è capitato a trent’anni, dopo dieci passati a fare dischi e concerti. Tutto è avvenuto con le giuste persone a fianco, che sono quelle che suonano e mi accompagnano da sempre. Sento che sotto di me ci sono delle fondamenta per restare in equilibrio. Voglio stare con i piedi per terra perché non voglio che qualcosa cambi a livello musicale. Voglio conservare e difendere l’istinto primordiale che mi ha sempre spinto a scrivere canzoni.

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