Claudio Simonetti: “I Goblin e Profondo Rosso, 50 anni di paura”
Dici “Profondo rosso” e la prima cosa che ti viene in mente è l’iconico tema principale della colonna sonora del capolavoro di Dario Argento, quell’arpeggio fatto di poche note, sì, ma ossessive, incalzanti, spietate, proprio come l’assassino del film. Non solo tanti i titoli nella storia del cinema che possono vantare musiche così identificative come il film che il maestro romano dell’horror faceva uscire nelle sale il 7 marzo 1975, esattamente cinquant’anni fa. A firmarle, una band fino a quel momento sconosciuta, ma che proprio grazie a “Profondo rosso” diventò un fenomeno da 4 milioni di copie vendute, per un totale di quindici settimane trascorse al primo posto della classifica dei dischi più venduti in Italia. I Goblin di Claudio Simonetti, figlio d’arte (il padre, Enrico, era un direttore d’orchestra e bandleader popolarissimo, anche per via delle sue partecipazioni in varietà come “Senza rete, “Canzonissima” e “Formula due”), erano nati pochi mesi prima in uno scantinato dell’Eur, a Roma. Argento li scoprì grazie all’editore Carlo Bixio, con la cui Cinevox il gruppo aveva da poco firmato un contratto. Il regista era convinto che la colonna sonora del suo film dovesse essere caratterizzata da sonorità rock aggressive, potenti: voleva che suonasse «differente rispetto alla musica che si sentiva normalmente nei film» e per questo nel Regno Unito aveva provato a trattare con i Genesis e i Pink Floyd, dai quali incassò due pesanti «no». Rientrato in Italia, aveva provato ad affidarsi a Giorgio Gaslini, lo stesso jazzista che due anni prima aveva firmato per lui le musiche del film “Le cinque giornate”. Ma il risultato finale lo aveva lasciato insoddisfatto. «Un giorno ce lo ritrovammo dall’altra parte del vetro nella sala dove stavamo lavorando al nostro primo album, gli Studi Titania, a Roma. Con lui c’era Daria Nicolosi. Cominciò tutto così», ricorda Claudio Simonetti, 73 anni, che con i suoi Claudio Simonett’s Goblin da anni porta avanti l’eredità della band. In occasione del 50esimo anniversario, il 4 aprile uscirà per Warner Music Italia “Profondo rosso (50th Anniversary)” su vinile picture disc autografato, disponibile da domani in pre-order sul sito dell’etichetta. E il 6, 7, 8 aprile Simonetti e compagni suoneranno la colonna sonora dal vivo in tre serate all’interno della programmazione della quarta edizione di Roma Film Music Festival, il festival delle colonne sonore: «Lo faremo in un luogo non casuale, ma nel teatro dei Forum Studios, a Roma, dove furono registrate le musiche, cinquant’anni fa».
Ti ricordi cosa accadde il giorno in cui incideste il tema principale?
«Eccome. L’arpeggio lo registrammo con una spinetta a clavicembalo, una chitarra acustica e un moog. Siccome doveva durare tre minuti e non c’erano ancora i computer, registrammo questo loop, chiamiamolo così, su un nastro a due piste che poi inserimmo nella macchina, facendolo girare. Poi lo riversammo sul ventiquattro piste. Ci suonammo sopra gli altri strumenti e così nacque il tema».
E l’organo, invece?
«In studio c’era anche Dario. Ci dissero che sopra gli studi fondati da Ennio Morricone, Piero Piccioni, Luis Bacalov e Armando Trovajoli negli ambienti inferiori della Basilica del Sacro Cuore Immacolato di Maria, in piazza Euclide, c’era l’organo da 15 mila canne, collegato proprio alla sala di registrazione: decidemmo di impiegarlo nelle incisioni. Senza quello strumento, forse la colonna sonora di “Profondo rosso” non sarebbe quella che tutti oggi conoscete».
È vero che Dario Argento vi suggerì di ispirarvi a “Tubular bells” di Mike Oldfield, l’autore della colonna sonora de “L’esorcista”?
«Sì. Voleva una musica ripetitiva, ossessiva: era quello che aveva in mente e che aveva cercato per mesi, prima di trovare finalmente noi».
Senza la vostra colonna sonora, “Profondo rosso” avrebbe avuto il successo che ha avuto?
«Il successo fu frutto del cunnubio perfetto tra immagini e musica. La colonna sonora restò per 15 settimane al primo posto: fummo scalzati da mio padre Enrico, che firmò le musiche di un popolare sceneggiato televisivo, “Gamma”. Vendemmo un milione di copie solo nei primi dieci mesi. E all’epoca i dischi si vendevano sul serio, eh, mica come oggi…».
Negli Stati Uniti e in Giappone, dove vai spesso a suonare, sei accolto ogni volta con grandissimo affetto da parte di un vasto seguito di affezionati. In Italia ti senti sottovalutato, nonostante gli 8 milioni di dischi venduti grazie alle musiche di “Profondo rosso”, “Suspiria” e “Zombi”?
«Sì. Del resto lo ha detto anche Dario Argento, quando nel 2019 vinse il David alla carriera: “Per premiarmi ci avete messo quarant’anni”. In Italia l’horror viene percepito come genere di serie b. Ma “Profondo rosso” non vale meno dei film di Fellini. Nel 2022 al Festival del Cinema di Sitges, in Spagna, mi hanno dato un premio alla carriera. Qui in Italia sono anni che provo a propormi a Sanremo, ma non mi prendono».
A Sanremo?
«Come ospite, intendo. Mi piacerebbe suonare i miei temi con l’orchestra. Niente. Spero che qualcosa cambi, ora che ho iniziato a collaborare con la Warner dopo anni di produzioni indipendenti».
“Gioca Jouer”, la hit che nel 1981 firmasti per Claudio Cecchetto, sigla del Festival di quell’anno, è più croce o più delizia?
«Delizia. Magari potessi firmare una “Gioca Jouer” al giorno».
Quando negli Anni ’80 ti desti all’italo disco, con gli Easy Going e Vivien Vee, i puristi della scena come reagirono?
«Il rock era morto, in quel periodo. I sessantottini erano diventati trentenni. Della politica non importava più niente a nessuno: andavano in discoteca a divertirsi. E così anche io».
La musica italiana oggi come se la passa?
«È tutto uno scimmiottamento della musica internazionale. Ho seguito Sanremo. Bah».
Cosa non ti è piaciuto?
«Cantano tutti la stessa cosa, allo stesso modo, con l’autotune».
Nicola Piovani, premio Oscar, ha detto che “quelle canzoni lì l’intelligenza artificiale ne sforna centinaia al giorno”. La pensi allo stesso modo?
«Ha ragione. Ne ho la prova: conosco dei software, che ho provato solo per divertirmi, che ti buttano giù un’intera canzone con pochi input. Sarò un boomer, come si dice, ma quando sento Giorgia cantare mi si riempie il cuore di gioia».
Non la pensi come Mogol, che ha detto che Giorgia canta come trent’anni fa?
«Stronzate. Non aggiungo altro».
Tra i nuovi talenti chi ti piace?
«Rose Villain. L’unica artista italiana che può ambire a un successo internazionale».
Più di Elodie?
«Ma Elodie è una così… Invece Rose Villain lascia il segno. Ha un background diverso: so che ha vissuto negli Stati Uniti, che aveva una band punk. Un altro che mi piace è Damiano David: una rockstar vera».
E Lucio Corsi?
«Mi ricorda gli Anni ’70. Ma non so che futuro possa avere un personaggio del genere, dopo il Festival».
Elio, parlando di Olly, ha detto che la sua umiliazione massima “è stata ascoltare la canzone vincitrice di Sanremo cantata con l’autotune”. Anche per te?
«Sì. Olly da qui mi è entrato (indica l’orecchio destro, ndr) e da qui mi è uscito (indica l’orecchio sinistro, ndr)».