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Nella musica oggi c’è bisogno di anti-eroi come Michael Kiwanuka

Arriva stasera a Milano l'outsider della nuova black music, con una storia tutta da leggere.
Nella musica oggi c’è bisogno di anti-eroi come Michael Kiwanuka

Qualcuno ricorderà la sua “Home again”: era il 2012 quando quella ballatona soul in cui l’allora 24enne cantautore britannico, cresciuto nel nord di Londra da genitori ugandesi fuggiti dalle grinfie del regime di Idi Amin Dada, cantava della ricerca delle radici. Fu una hit internazionale, che permise all’omonimo album d’esordio del musicista, pubblicato dalla Polydor, di scalare le classifiche di mezza Europa, conquistando recensioni entusiastiche e vincere quattro Dischi d’oro e un Disco d’argento nel Regno Unito pari a 200 mila copie vendute. Ma Michael Kiwanuka, che prima di arrivare a firmare un contratto con la multinazionale aveva fatto il chitarrista per artisti come Chipmunk e Bashy, pubblicato un paio di Ep per la piccola etichetta indipendente Communion Records e collezionato esibizioni su esibizioni sui palchi dei piccoli club londinesi, aveva le idee chiare su quale dovesse essere la sua identità di artista. E la corsa ai primi posti delle classifiche, le copertine delle riviste e gli eventi di gala non rientravano esattamente nei suoi piani. Da allora Kiwanuka ha portato avanti un percorso artistico straordinario, con coerenza e coraggio, ritagliandosi negli anni un posto di rilievo nel panorama della nuova black music mondiale: l’ultimo album, “Small changes”, uscito lo scorso autunno, è stato incensato dalla critica, che ha promosso quell’affascinante miscela di chitarre, bassi e atmosfere soul e r&b messa a punto insieme ai produttori Danger Mouse e Inflo, che fa di lui l’erede naturale del mito Bill Withers. Stasera lo presenterà ai fan italiani con l’unica data italiana del tour europeo, ospitata dall’Alcatraz di Milano.

Le lotte con i discografici

Non è stato semplice resistere, per Kiwanuka. Tutt’altro. Fu lui stesso, in un’intervista concessa all’Evening Standard qualche anno fa a rivelare che ancor prima di pubblicare “Home again” i discografici della Polydor, che lo scoprirono dopo che Adele gli fece aprire i suoi concerti, gli suggerirono di cambiare cognome per «essere più appetibile a livello commerciale», perché temevano che Kiwanuka potesse portare il pubblico a supporre che si trattasse di «un artista africano di musica tradizionale». Il musicista ci scrisse un pezzo su quella vicenda, "Hero", contenuto nel 2019 intitolato semplicemente Kiwanuka: «Mi sentivo un po’ spaesato. Stavo pensando di mollare». Vinse il Mercury Prize, uno dei premi musicali più ambiti nel Regno Unito. Non solo: ottenne pure una nomination ai Grammy Awards come “Best Rock Album”.

La sigla tv diventata più croce che delizia

Le lotte con i discografici sono finite in un modo o nell’altro anche in “Small changes”. In “Lowdown”, una delle canzoni contenute nel disco, Kiwanuka canta: «Gotta wonder how I survived», «Mi chiedo come sia riuscito a sopravvivere». A distanza di tredici anni da “Home again” incide ancora per la Polydor, ma con dischi come “Love & hate” e “Kiwanuka” si è guadagnato una propria indipendenza artistica. “Small changes” è il terzo disco al quale lavora insieme a Danger Mouse (vero nome Brian Joseph Burton, classe 1977, guru del rock contemporaneo amato dagli U2, dai Red Hot Chili Peppers e dai Black Keys) e Inflo (Dean Josiah Cover, classe ’88, paladino della nuova scena soul). A proposito della collaborazione con i due musicisti, Kiwanuka dice: «Non so cosa combiniamo esattamente in studio, ma so che funziona. Il vantaggio di non essere al centro dell’attenzione? Puoi tirare fuori le cose migliori: sei libero». Piccola curiosità: nella scaletta dei concerti del tour europeo c’è anche quella “Cold Little heart” che nel 2016 la Hbo scelse come sigla della popolarissima serie tv “Big Little lies” e che per Kiwanuka diventò più croce che delizia. «Non vorrei sembrare presuntuso, ma ho scritto anche altra musica», si sfogò. Ma sui palchi la suona in versione tagliata, nel bis, come per dare un contentino al pubblico.

Un ribelle

L’attitudine, lo avrete capito, è quella di un ribelle: «Penso di essere stato fortunato a non vendere milioni di copie: nessuno pensa di poter guadagnare grazie alla mia musica e va bene così. Non sono uno che fa crescere del 5% il pil di un paese in cui fa tappa con il suo tour». Nella musica oggi c’è bisogno di anti-eroi come Michael Kiwanuka.

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