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"My way": le storie di una grande canzone

Un documentario questa sera, in anteprima italiana, al Seeyousound Music Film Festival di Torino
"My way": le storie di una grande canzone

C’è un ragazzino di diciassette anni, nome David Jones, che per svoltare la settimana scrive il testo su quattro canzoni francesi, le canta su provino e incassa 200 franchi. Anni dopo, il ragazzino è diventato David Bowie e capta in radio uno di quei brani: ora si intitola “My Way” e lo canta Frank Sinatra. Il testo però non è più il suo, è di Paul Anka. Molto meglio, gli dicono. A quel punto, Bowie si stizzisce e compone qualcosa di simile, stessi accordi, cambia la melodia. Nasce così “Life On Mars?”, infatti sulla copertina dell’album che la contiene, si legge “ispirata da Frankie”.

Qui la storia completa del testo di David Bowie

È solo una delle tante storie che riguardano “My Way”, nel docu che porta lo stesso titolo, in anteprima italiana al Seeyousound International Music Film Festival di Torino, presso il Cinema Massimo, lunedì 24 febbraio alle 20.45, con uno speciale live dei Bluebeaters che proporranno un inedito omaggio al brano. Si tratta di un biopic diretto da Thierry Teston, con Lisa Azuelos, presentato a Cannes nel 2024, dove la canzone parla in prima persona, attraverso la voce di Jane Fonda, e viaggia per ugole, paesi, epoche, significando ogni volta una cosa diversa, accompagnando funerali e matrimoni, rivoluzioni e incoronazioni.

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Nasce in Francia, sulla chitarra di Jaques Revaux, in poche ore. Ma siccome in classifica vanno solo brani in inglese, Revaux la spedisce a Londra, dove appunto incappa nel futuro Bowie. Il provino finito viene mandato a Dalida, Caterina Valente, Petula Clark: rifiutato da ogni interprete. Per fortuna Revaux incontra Claude François in Costa Azzurra e glielo fa ascoltare. François (di madre italiana peraltro) è già strafamoso, un idolo nazionale in crisi sentimentale. Ci mette su un testo straziante, sulla noia di coppia, e completa “Comme d’habitude”, subito un successo nel 1967 ma in un mercato piccolo. Caso vuole che anche il canadese Paul Anka sia in Francia per l’estate. Dalla radio a bordo piscina sente il brano, compra i diritti di adattamento, e da qui parte tutta un’altra avventura.

Anka a New York frequenta Frank Sinatra. Gli è amico, conosce bene le sue tribolazioni. Per The Voice sono tempi duri. Dopo il matrimonio con Ava Gardner, finisce anche quello con Mia Farrow, in più è stanco, tenuto d’occhio dall’FBI e sospettato di avere rapporti con la mafia. Soprattutto, è arrivato il pop. I Beatles dilagano, facendolo sembrare solo un vecchio crooner. Vuole fare l’ultimo disco e ritirarsi. Lo confessa a Paul Anka, che sale in camera, si mette al piano, suona gli accordi di “Comme d’habitude”, batte a macchina la storia di un uomo che sta per chiudere il sipario, e in quattro ore realizza “My Way”: nata da francesi, adattata da un canadese, portata al successo globale da un americano di origini italiane.

Qui il trailer del documentario:

Grazie ai filmati d’epoca riceviamo gli aneddoti dallo stesso Sinatra. L’ingegnere che registrò la sessione per il disco spiega che gli archi provarono appena la loro parte, e Frank cantò una sola volta. Buona la prima. È quella che sentiamo.

Il docu poi segue la canzone nelle sue altre vite. Con Elvis, che la cantò alle Hawaii nel 1973, via satellite, per un miliardo e mezzo di spettatori.

Con Nina Simone, che la elesse inno delle donne afroamericane negli anni ’70. Con Sid Vicious, che la traslocò su suolo britannico e ne diede la versione più brutale (qui l’intervento video è di Malcolm McLaren, situazionista manager dei Sex Pistols; se non l'avete mai visto, non perdetelo qui di seguito);

con Nina Hagen, che la trasformò nel grido della gioventù tedesca per abbattere il muro di Berlino. Poi, certo, lo standard è anche sfuggito al controllo, diventando il preferito dei dittatori. “Faccio a modo mio” è un programma politico preciso, e Trump l’ha usata al ballo inaugurale della sua seconda presidenza. È amata ovviamente da Putin e da Kim Jong Un. Nei primi anni del Duemila, nelle Filippine, si sono addirittura registrati omicidi relativi a “My Way”, tutti avvenuti nei karaoke bar, dove è facile fare risse ed è facile stonare. Se stoni su “My Way” - probabilissimo – ci scappa il morto. Per qualche tempo, dunque, la canzone fu vietata.

Ad accompagnare il viaggio c’è anche Ben Harper. Lo vediamo approcciarsi al brano lentamente, intimidito. Che versione farne? Ne girano migliaia, dai Gipsy Kings a Jay Z, dai Tre Tenori a Robbie Williams. Harper la costruisce piano piano, finisce per farla alla chitarra lap steel, a modo suo.

Tutti si chiedono quale sia il segreto di un brano che non ha nemmeno un vero e proprio ritornello. Cosa renda potente quel testo. La risposta, forse, si può trovare nell’affermazione di Paul Anka: «Esisti e reagisci ai fallimenti, non ai successi».

“My way” ha avuto anche due cover in italiano. La prima da Fred Bongusto, “La mia via”, con testo di Andrea Lovecchio, nel 1971

La seconda da Patty Pravo, nel 1972, intitolata “A modo mio”, sempre con il testo italiano di Andrea Lovecchio.

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