"Lateral": Singing Christmas Creep

Le canzoni natalizie andrebbero cantate solo a Natale, eppure da alcuni anni iniziano a essere ascoltate quando da poco è passato Halloween. Complice l’inizio sempre più anticipato di decorazioni e luminarie e la globalizzazione del Natale che trascende qualunque significato religioso, le canzoni di Natale iniziano a risuonare nei negozi e nelle radio già all'inizio di novembre, creando un clima festivo prematuro. È l’unico momento dell’anno in cui si recuperano brani e suoni degli anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta che sembrano non passare mai di moda, nel regno dell’accessibilità totale delle piattaforme musicali. Pezzi che attraversano generi e attitudini, quanto nel mainstream tanto nel mondo indie e alternative, con la nostalgia a far da collante. Sono migliaia le playlist a tema natalizio e forse serve fare un poco d’ordine. Perché, a Natale puoi.
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Il 31 ottobre del 2024 Bruce Springsteen apre il suo live a Montreal con “Ghostbusters” di Ray Parker Junior. Il giorno dopo, la canzone - numero uno nella classifica americana di Billboard nell’agosto 1984 e insostituibile sigla del franchise - svetta in testa alle Top 50 di Spotify di Stati Uniti, Canada, Regno Unito e Irlanda. Passano ventiquattr’ore e il brano scompare dalle Top 50, proprio mentre in quella UK fanno il loro ingresso “All I Want for Christmas Is You” e “Last Christmas”. È il 2 novembre, mancano quasi due mesi al Natale, eppure le due canzoni sono già lì. Non era mai accaduto prima. Negli anni Novanta e nei primi anni duemila era molto più comune che una canzone di Natale raggiungesse la Top 40 solo nelle ultime due settimane dell'anno.
Nello spazio di due giorni trovano conferma almeno tre fenomeni. Il potere di Spotify che grazie alle sue playlist tematiche è in grado di far rivivere nello spazio di poche ore e per il tempo di una sera una canzone di quarant’anni prima, senza costringerci ad andare a scovare il 45 giri impolverato in garage. L’approccio sempre più nostalgico alle celebrazioni, che ci spinge a utilizzare canzoni che fanno oramai parte della memoria collettiva per creare un senso naturale di gruppo. La conferma che il Christmas Creep è qui per restare. Una lenta ma costante conquista del calendario da parte di articoli, canzoni e pubblicità a tema natalizio per cui il 9 dicembre 2024, la Top 40 del Regno Unito vede 9 (di cui 7 di 30 anni fa o più) canzoni di Natale tra le prime 10, 17 tra le prime 20, 39 tra le prime 50. Perché si ascoltano sempre le stesse canzoni ogni anno? Perché il Natale è l’unico momento in cui suoni completamente diversi dai generi imperanti per tutto il resto dell’anno dominano gli ascolti?
Le origini delle canzoni di Natale
Dal soul al jazz, dal reggae all'indie-pop, dai crooner ai rocker (l’hip hop è l’unico genere che sembra da sempre sfuggire al contagio), l'impulso di cantare una canzone di Natale sembra essere irresistibile. C'è un'universalità nella musica natalizia che trascende la religione. È un momento per tornare da dove veniamo, con un sentimento di nostalgia per i tempi passati, specialmente per l'infanzia, quando il Natale era avvolto da un’atmosfera quasi magica. Le canzoni natalizie sono associate a ricordi felici, come momenti trascorsi con la famiglia o con gli amici, i regali, e l'atmosfera calorosa delle feste, ma anche a temi universali come la condivisione e la gioia, capaci di creare connessioni emotive che rendono queste melodie particolarmente piacevoli. Cantarle o ascoltarle rafforza il senso di appartenenza e continuità con il passato. Farlo ogni anno, le fa diventare parte della tradizione e della memoria collettiva.
Leggenda racconta che quando il compositore Irving Berlin finisce di scrivere “White Christmas” nel 1940, se ne esca con una dichiarazione del tipo: "Non solo è la migliore canzone che abbia mai scritto, è la migliore canzone che chiunque abbia mai scritto". Se misurassimo la grandezza di una musica in base ai dischi venduti, Irving non si era sbagliato. Registrata da Bing Crosby e pubblicata nel 1942 nella sua compilation “Merry Christmas”, “White Christmas” diventerà il singolo più venduto di tutti i tempi, con un numero infinito di cover. La canzone è ancora una delle più ascoltate oltre 80 anni dopo e dà inizio alla tradizione delle canzoni di Natale in ambito pop, dopo gli inni religiosi e le carole che avevano caratterizzato il secolo precedente. Il testo racchiude tutti gli elementi che si imporranno nelle canzoni degli ottant’anni successivi: la volontà di rivivere momenti felici passati, un senso sottile di malinconia e soprattutto la nostalgia per qualcosa che non c’è più.
Il primo artista rock’n’roll a seguire la lezione di Bing Crosby è Elvis Presley che nel 1957 pubblica l’“Elvis’ Christmas Album”, con il classico “Blue Christmas” che emerge da un mix di canzoni religiose, canti natalizi tradizionali e brani pop e country, definendo la matrice di molti altri album a venire. Il disco rimane in cima alle classifiche di Billboard per un mese e con le sue oltre 20 milioni di copie rimane il più venduto di tutti i tempi, nonostante Irving Berlin sia talmente scandalizzato dalla versione di “White Christmas” da cercare di farla bandire dalle radio. In contemporanea, Bobby Helms reinterpreta in chiave country-pop un classico di cento anni prima e pubblica "Jingle Bell Rock" raggiungendo il sesto posto nelle classifiche di Billboard. Il dado è tratto. L’industria discografica capisce che con il Natale si può guadagnare molto e non lo dimenticherà più.
L'anno successivo è il turno di Chuck Berry che scrive “Run Rudolph Run”, ispirata all’ottava renna di Babbo Natale, quella con il naso rosso già raccontata in un’altra canzone precedente che ne detiene in qualche modo il copyright. Per evitare una causa, Berry non firma il brano che si ferma al numero 69 della Billboard Hot 100. La canzone rientra in classifica nel 2019 e raggiunge il numero 10 nel 2021, 62 anni dopo il suo debutto in classifica originale.
I Sessanta
Elvis genera un’infinita schiera di seguaci pronti ad approfittare del Natale per consolidare la propria popolarità e negli anni Sessanta si moltiplicano i brani a tema festivo. La musica diventa meno classica, si evolve, mescolandosi e contaminandosi con diversi generi e stili musicali. Quasi nessuno rimane immune, ma il capolavoro assoluto, quello che non solo diventerà l’album di Natale per antonomasia e codificherà il suono che ascoltiamo ancora oggi, ma è un vero e proprio classico pop a sé stante (l’album preferito di Brian Wilson, nella Grammy Hall of Fame e al numero 142 dei 500 migliori album di tutti i tempi per Rolling Stone) esce nel 1963, quando Phil Spector lavora a “A Chistmas Gift To You”, trionfo di uno stile produttivo allo stesso tempo drammatico e massimalista. Spector venera da sempre i grandi compositori degli anni '30 e '40 – George e Ira Gershwin, Jerome Kern e Irving Berlin: ha una conoscenza enciclopedica delle loro canzoni e sa cantarne molte a memoria. Berlin è uno dei suoi preferiti e "White Christmas" una delle principali ispirazioni per il suo album mentre è alle prese con la registrazione di “Be My Baby” delle Ronettes. Anche se è di confessione ebraica, il Natale è il suo periodo preferito dell’anno. Ama i regali, ma anche le luci e i ninnoli tipici delle festività. Cosa c'è di meglio che dare alle sue canzoni di Natale preferite il trattamento del suo Wall of Sound con cui ha cambiato la storia della musica pop e creare piccole sinfonie per accompagnare il risveglio di bambini e adulti la mattina di Natale? Il momento sembra propizio. Oltre a Crosby e Presley, nei primi anni Sessanta altri artisti americani hanno pubblicato album natalizi e "Rockin' Around the Christmas Tree" di Brenda Lee è stato un grande successo. Spector decide di portare il genere a un livello completamente diverso, talmente diverso che non verrà mai superato. Nell’agosto del 1963 chiama negli studi della Gold Star a Hollywood tutti gli artisti della sua etichetta e per sei settimane, nel caldo soffocante dell’estate californiana, lavora senza badare a spese, a volte anche tutta la notte fino all’alba. Alla fine cantanti e musicisti sono stravolti: sei settimane d’inferno, tra mix e remix continui. Spector riversa di tutto in dodici canzoni tradizionali natalizie e un originale: archi a iosa, approcci R&B, campane da slitta, il suono dei carillon e il nitrito dei cavalli. Gli arrangiamenti splendidi di Jack Nitzsche fanno il resto. Il prodotto finale suona magico, innocente e consapevole allo stesso tempo: con un investimento di 55.000 dollari, Phil Spector si regala la rappresentazione di tutti i Natali felici che ha solo sognato e mai davvero vissuto.
Il 22 novembre del 1963 è la data scelta per la pubblicazione dell’album, anche perché Billboard ha appena annunciato il lancio di una classifica speciale dedicata ai dischi a tema natalizio. Centinaia di migliaia di copie di “A Christmas Gift to You” vengono spedite ai distributori, pronte a inondare i negozi di dischi per Natale. Quel giorno, il 22 novembre, il presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy viene assassinato a Dallas, in Texas. In uno stato d'animo di shock e lutto nazionale, Spector blocca le copie non ancora spedite e sembra rinunciare al suo sogno. Nell’anno in cui è riuscito a piazzare nove dei singoli prodotti nella classifica americana, l’album di Natale è un fallimento commerciale e la canzone originale di Darlene Love "Christmas (Baby, Please Come Home)” - un'epica ballata di romantica disperazione che le Ronettes avevano inspiegabilmente scartato – passa sostanzialmente inosservata. Avrà il suo riscatto grazie alle innumerevoli cover a seguire – dagli U2 ai Death Cab for Cutie - e con i ripetuti ingressi nella Top 10 mondiale di Spotify di dicembre negli ultimi anni cinque anni. Ci vorranno invece nove anni prima che l'America tutta riceva finalmente lo speciale regalo di Natale di Phil Spector, grazie alla ristampa nel 1972 della Apple, l’etichetta dei Beatles.
Gli anni Sessanta continuano con il Natale surf celebrato nell’album dei Beach Boys del 1964, la versione light soul delle Supremes dell’anno dopo e tante altre pubblicazioni, tra le quali spicca "The Soul Christmas Album" del 1968, che presenta una selezione di artisti della Atlantic Records. Il disco include canzoni eseguite da Ruth Brown, Drifters, King Curtis e Clyde McPhatter, ma soprattutto una straordinaria versione di "White Christmas" di Otis Redding, incisa poco prima della sua scomparsa, l’anno precedente. Mr. Pitiful rallenta e asciuga il brano di Crosby senza stravolgerlo, cambia leggermente la melodia, inserisce fiati e chitarre negli arrangiamenti e arricchisce il testo con una nostalgia struggente che risuona con la sua esperienza personale. Il risultato è la versione più suggestiva, intensa ed emotiva di sempre del brano che si trasforma e raggiunge un pathos che va ben oltre l’originale. L’evocazione di un senso di solitudine e il desiderio universale di riconciliazione, contrastanti con l’ottimismo tipico delle tradizionali canzoni natalizie, definiscono inconsapevolmente un modello per tutte le interpretazioni indie e alternative che seguiranno, soprattutto a partire dagli anni Novanta. Il Natale diventa un tema più personale, intimo e malinconico. All’Atlantic risponde con minor forza e personalità la Motown con "A Motown Christmas", un album dove figurano Jackson 5, Temptations, Smokey Robinson & The Miracles e tanti altri. Tra tutte, si distingue "Someday at Christmas" di Stevie Wonder.
Dal 1963 al 1969, anche i Beatles inviano ai loro fan dischi natalizi speciali che contengono messaggi personali, saluti e performance esclusive. Questi dischi non sono pensati come raccolte di canzoni natalizie tradizionali, ma piuttosto come regali unici per il fan club ufficiale, senza una distribuzione commerciale. Per produzioni più istituzionalmente natalizie bisognerà aspettare le carriere da solisti.
I Settanta
La fine dei Sessanta e l’inizio dei Settanta, con l’affermarsi dell’impegno, delle rivendicazioni sociali e del rock come lo intendiamo oggi, vede un rallentamento della produzione di canzoni natalizie in senso tradizionale, viste spesso come un genere eccessivamente commerciale e sentimentale. Il Natale è trattato con maggiore complessità emotiva, con una nuova apertura verso l'esplorazione di emozioni più ambigue e profonde. Le canzoni natalizie non sono più semplicemente gioiose o celebrative, c’è maggior spazio per la malinconia, la solitudine e soprattutto la riflessione su temi come il desiderio di pace e di giustizia sociale. John Lennon, da poco fuoriuscito dai Beatles, è il primo artista mainstream capace di unire il clima natalizio a temi politici e socali - inclusa la protesta contro la guerra in Vietnam - con il singolo "Happy Xmas (War Is Over)", pubblicato nel 1971 insieme a Yoko Ono. Due anni prima, la coppia aveva lanciato la campagna "War Is Over (If You Want It)" con manifesti apparsi in città come New York e Toronto. Il messaggio era chiaro: la guerra del Vietnam non era inevitabile, ma poteva essere fermata se le persone avessero scelto di lottare per la pace. La canzone viene pensata come una continuazione della campagna, utilizzando il Natale come simbolo di speranza e cambiamento, con un invito a riflettere sulla responsabilità collettiva nell'imporre la pace e fermare i conflitti. Il pezzo è registrato a New York con il supporto della Plastic Ono Band e il contrappunto gospel dell’Harlem Community Choir. A Lennon, diversi anni dopo risponde McCartney con “Mull Of Kintyre”, che inaugura il filone delle canzoni di Natale in un certo senso apocrife. Anche se non è tecnicamente una canzone natalizia, è spesso associata al periodo festivo per via della sua melodia calda e accogliente, del tono emotivo e dell’arrangiamento evocativo a base di cornamuse. Il titolo fa riferimento a una penisola nella parte sud-occidentale della Scozia, vicino alla casa di campagna di McCartney, e il testo esprime l’affetto di McCartney per quel luogo, descrivendo la bellezza del paesaggio e il senso di nostalgia che prova quando si trova lontano da casa. La canzone si presta perfettamente al periodo delle festività, quando le persone riflettono sui legami affettivi, la connessione con un luogo speciale e l’importanza dell’unione familiare, della casa e del tempo passato insieme ai propri cari. Il fatto che venga pubblicata a ridosso del Natale fa il resto. La canzone raggiunge il numero uno delle classifiche del Regno Unito, dove rimane per ben 9 settimane consecutive, inclusa quella del Natale 1977, fino a diventare il singolo più venduto di tutti i tempi nel paese fino a quel momento.
C’è però chi alle cornamuse preferisce un arrangiamento rock’n’roll, anche quando si tratta di fare la cover di una canzone del 1934 che invita i bambini a essere buoni perché Babbo Natale sta arrivando con i regali. Houston, 8 dicembre 1978. Nella scaletta del concerto di Bruce Springsteen con la E Street Band c’è “Santa Claus Is Comin’ To Town”, un classico natalizio scritto nel 1934. Clarence Clemons impersona Babbo Natale. Il pezzo è noto ai fan già da anni: è stato registrato live nel 1975 in vista di un album mai realizzato. La versione di Springsteen è basata su quella delle Crystals nell’album di Natale di Phil Spector. Stravolge la dolcezza dell’originale in una performance tutta energia, cuore e intensità, ma anche con un sottotesto ironico dato da un tono quasi esagerato e dall'interazione con il pubblico in un call and response che diventa parte integrante dell'esperienza.
Gli Ottanta
Gli anni Ottanta infondono nuova vita alle canzoni di Natale con l'introduzione di brani pop originali che ancora oggi dominano le playlist in un mix di tradizione e modernità. La crescente influenza di MTV rende i video musicali una parte integrante dell'esperienza natalizia. Il Natale del 1982 vede la pubblicazione di uno dei duetti più improbabili di tutti i tempi, quello del 1977 tra Bing Crosby e David Bowie, alle prese con il classico “Little Drummer Boy”, talmente detestato dal Duca Bianco che chiede alla produzione di scrivere un pezzo sul momento che possa fungere da controcanto all’esibizione di Crosby. Nasce così il medley “Peace on Earth / Little Drummer Boy” che cinque anni dopo arriva al terzo posto posto delle classifiche britanniche e segna l’addio di Bowie alla RCA.
L’anno dopo arriva una canzone ascrivibile al filone apocrifo del Natale, quando i Pretenders pubblicano "2000 Miles". Il chitarrista della band, James Honeyman-Scott, è mancato l’anno prima e Chrissie Hynde scrive una canzone che riflette il dolore della perdita e il desiderio di riunirsi con una persona cara, esprimendo il tema universale della solitudine. Il brano mescola immagini invernali al racconto di un viaggio - fisico ed emotivo - di due persone che si amano, ma che sono separate da 2000 miglia. Buon riscontro commerciale, ma nulla lascia immaginare quello che accadrà l’anno successivo. Arriva l’inverno del 1984 e, senza chiare avvisaglie, è come se una serie di artisti si mettessero d’accordo per riportare l’attenzione sulle festività tipica di vent’anni prima e per generare il maggior numero di brani sul Natale e dintorni che un singolo anno abbia mai lasciato in eredità alla musica pop. Tutto ha inizio un pomeriggio a casa dei genitori di George Michael, mentre i due Wham guardano una partita di calcio in tv. Michael sente un’ispirazione improvvisa e corre al piano di sopra per comporre la melodia della canzone che è destinata a dominare – in compartecipazione con un brano scritto tredici anni dopo - la playlist di Spotify di dicembre almeno per i prossimi vent’anni. Il video è girato a Saas-Fee, in Svizzera e racconta un amore perduto e una nuova relazione che nasce sullo sfondo di una festa di Natale. “Last Christmas” esce a dicembre e resta al numero 2 nelle classifiche per tredici settimane, diventando per oltre trent’anni il singolo più venduto tra quelli non arrivati al numero 1. Ci arriverà solo nel 2021, peraltro a gennaio. Per godere della vetta nel giorno di Natale, bisognerà aspettare il 2023. Il numero uno nel 1984 viene mancato perché pochi giorni dopo il rientro da Saas-Fee, in un fax si chiede a George Michael di prendere parte a uno dei dei singoli più importanti della storia del pop. L’appuntamento è il 25 novembre ai SARM West Studios di Notting Hill – quelli di Trevor Horn, il produttore del momento - per la partecipazione a un brano di Natale. Bob Geldof e Midge Ure, frontman degli Ultravox, sono riusciti a radunare alcuni dei più grandi musicisti di Regno Unito e Irlanda, sotto il nome collettivo di Band Aid, per registrare un singolo di beneficenza che vuole ispirare il mondo e raccogliere soldi per la carestia in Etiopia. Scrivono un pezzo originale basato su alcune liriche inutilizzate del gruppo di Geldof, i Boomtown Rats, e un ritornello scritto da Ure. Il giorno dopo la registrazione viene inviata agli impianti di produzione dei dischi e il 3 dicembre arriva nei negozi. Otto giorni per fare tutto. La copertina del disco è un gentile omaggio dell'artista pop britannico per eccellenza, Peter Blake, già responsabile dell’artwork dell'album “Sgt Pepper's Lonely Hearts Club Band” dei Beatles. “Do They Know It’s Christmas” diventa il singolo più venduto nella storia in Gran Bretagna. Cinque, venti e trent’anni dopo ci saranno versioni da parte di nuove formazioni Band Aid, nessuna delle quali riuscirà a recuperare la magia e la naïvetè dell’originale. Tra ricorrenti accuse di paternalismo e di voler stereotipare l’Africa senza la necessaria connessione emotiva alle esperienze reali di chi vive in povertà nel continente, la canzone riesce nel suo scopo di raccogliere milioni di sterline per beneficenza. Il suo impatto culturale non sembra avere fine, come conferma la versione “2024 Ultimate Mix”, una sorta di mashup creato da Trevor Horn delle quattro versioni precedenti, con tre Bono al prezzo di uno, di nuovo in classifica nel dicembre 2024.
Tra i due singoli che citano espressamente il Natale nel titolo, a fine novembre 1984 ne viene pubblicato un terzo, anche in questo caso in grado di arrivare al numero uno delle classifiche britanniche per una settimana di dicembre. Altro esempio dei brani natalizi apocrifi, “The Power of Love” dei Frankie Goes To Hollywood è un perfetto pastiche che oscilla tra il sublime e il banale, il melodramma e l’ironia, trapuntato da un’estetica camp, incluse le citazioni del cartone animato di Penelope Pitstop. Complice la portata emotiva, il grandioso arrangiamento orchestrale degno di Stravinski, il video della premiata ditta Godley & Crème che rievoca la natività, nonché il tema della protezione e del potere salvifico dell’amore, la canzone si adatta perfettamente allo spirito natalizio di pace e solidarietà. Rimarrà una delle più belle canzoni da riscoprire ogni Natale. Diversa sorte tocca al singolo pubblicato quasi in contemporanea dai Queen, in quel momento concentrati soprattutto sui loro progetti individuali. "Thank God It's Christmas", un brano in equilibrio su sensazioni di festa e sull'importanza di trovare un momento di speranza e pace durante il periodo natalizio, non riesce a entrare nella Top 20 britannica.
In questo ingorgo di canzoni Natalizie, c’è chi decide di rinviare la pubblicazione del suo singolo all’anno successivo. È il caso di Shakin’ Stevens e della sua “Merry Christmas Everyone” - con tanto di video ben oltre il kitsch girato in Lapponia – che, pronta per il Natale del 1984, viene tenuta in frigorifero per un anno per non scontrarsi con il brano dei Band Aid. Pubblicata nel 1985, va al numero uno delle classifiche britanniche e si aggiunge alla lista dei long seller che ogni anno si danno appuntamento nelle classifiche di Spotify. La canzone è uno di quei brani che sembrano funzionare molto di più nel Regno Unito che nel resto del mondo, un po’ come quella che chiude nel 1987 il quadriennio magico delle canzoni Natalizie - e lo chiude alla grande. “Fairytale Of New York” dei Pogues è probabilmente la migliore del lotto. Un riff di banjo, un piccolo furto a Ennio Morricone e una melodia da musical che esplode in un climax orchestrale. La voce irregolare di Shane MacGowan e il testo meraviglioso fanno il resto. È la storia di due immigrati irlandesi (a cui danno voce Shane e la mai dimenticata Kirsty McColl) che si ritrovano ubriachi a Manhattan a scambiarsi insulti la sera della vigilia di Natale. Un quadretto neo realista di due innamorati disperati, legati da una relazione suggellata da delusioni e sogni infranti, ma anche dalla convinzione che da soli non ce l’avrebbero mai fatta. “Fairytale Of New York” entra in classifica nel Regno Unito al numero quaranta il 5 dicembre 1987 e sale al numero otto la settimana prima di Natale. "Always On My Mind" dei Pet Shop Boys le impedisce di arrivare in vetta. Rientrerà nella Top 20 ogni dicembre a partire dal 2005. Nel dicembre 2012 venderà la milionesima copia, ma nonostante 130 settimane di permanenza nelle chart britanniche – 28 più di “Last Christmas” – non arriverà mai al numero uno. Su questa canzone è stato detto e scritto di tutto, ma nonostante i ripetuti ascolti degli ultimi quarant’anni abbiano rischiato di consumarla e sovraesporla, la qualità della scrittura e la forza dell’interpretazione sono tali che ogni volta sembra la prima. Non hanno sbagliato la BBC e diversi quotidiani e riviste britanniche nel proclamarla più di una volta la più bella canzone di Natale di sempre ed è divertente pensare che sia stata prodotta da un gruppo folk-punk alieno alle concessioni commerciali e abbia un testo non privo di qualche espressione non esattamente politically correct. Una canzone contemporaneamente pro e contro il Natale che ha dato lo spunto finale per l’affermazione del filone delle canzoni alternative, riuscendo nel contempo a diventare mainstream. Shane MacGowan tornerà sul luogo del delitto con i Pogues nove anni con “Christmas Lullaby”, molto forse troppo simile alla “Martha” di Tom Waits.
Un anno prima dei Pogues, gli Housemartins, un’altra band certamente non attesa tra i cantori del Natale, riesce ad arrivare al numero uno nel Regno Unito con “Caravan of Love”. A compensare la mancanza dei classici temi natalizi, ci pensa l’approccio acappella tra il gospel e il soul, il video girato in una chiesa e i temi di unione e amore universale.
I Novanta e i Duemila
L’arrivo del grunge e la risposta del Britpop sembrano lasciare meno posto alle canzoni sul Natale la cui popolarità diminuisce con l’arrivo dei Novanta. Nessuno poteva quindi immaginarsi che nel 1994, in quindici minuti si potesse produrre la canzone pop che non può mancare nelle playlist natalizie e che ogni anno lotta con “Last Christmas” degli Wham per la supremazia globale. "All I Want for Christmas Is You" di Mariah Carey arriva all’improvviso, completamente inaspettata e riesce a ridefinire il panorama musicale natalizio, cancellando l’orchestrazione tradizionale in favore di un mix di pop e R&B, figlio della tradizione tracciata da Phil Spector con il suo album del 1963. Più che una nuova canzone - ci sono voluti solo 15 minuti alla Carey e Walter Afanasieff per scriverla - è la cover velocizzata e con i suoni degli anni Novanta di “Christmas (Baby Please Come Home)” di Darlene Love. Un po’ come Michael Bublè, altro re dell’industria musicale natalizia, che aggiorna il suono delle big band degli anni ’50 con le tecniche di produzione contemporanee. Le attese sono così basse che non viene inizialmente nemmento pubblicata come singolo. Raggiungerà il numero 1 della classifica Billboard Hot 100 solo il 16 dicembre 2019, venticinque anni dopo la sua prima pubblicazione nell’album “Merry Christmas”. Da allora, è tornata al numero 1 in diverse occasioni, diventando il simbolo del periodo natalizio. Se si prendono le playlist stagionali curate da Spotify ci sono oltre sessanta opzioni a coprire tutti i generi, dai canti natalizi tradizionali, al rock, al punk, ecc. La prima traccia della prima e della seconda playlist proposte dalla piattaforma è “All I Want for Christmas Is You”. Prima canzone natalizia a essere certificata disco di diamante, prossima ai due miliardi di stream, è quasi un genere a sè. Negli ultimi due anni – e in questo - ha scalato le classifiche dei singoli del Regno Unito e degli Stati Uniti più velocemente che mai. La domanda di quanti soldi la canzone generi ogni anno per la Carey sorge spontanea in molte discussioni intorno al camino. Non si conoscono numeri precisi, ma c’è chi stima dieci milioni di dollari l'anno. Negli anni, ascolto dopo ascolto, si è realizzata una perfetta equazione: “All I Want for Christmas Is You” = “Ok, è Natale”.
Il canyon scavato dalla canzone nella cultura di massa è talmente profondo che negli anni Duemila ci si inserisce praticamente chiunque, da Ed Sheeran, ai Coldplay, a Damien Rice e Ariana Grande. Difficile scovare nuovi standard in queste produzioni che suonano spesso poco originali e convinte. L’eccezione è rappresentata da un brano pubblicato nel 2017 da Sia nel suo album "Everyday Is Christmas". Con “Snowman”, la cantante australiana ci regala una canzone sull'amore, la protezione e il desiderio di conservare ciò che è prezioso. Un perfetto mix di dolcezza e malinconia, sorretto da un tocco vintage, con richiami alle ballate degli anni '50 e '60, arricchito da archi morbidi. Il successo arriva alcuni anni dopo la pubblicazione grazie a TikTok, dove milioni di utenti creano video basati sul brano, tanto da spingere Sia nel 2020 a rilasciare a sua volta un video musicale animato che racconta la storia di un pupazzo di neve impegnato in un viaggio avventuroso per restare con la persona che ama.
Il Natale Indie
Inconsapevoli del fatto che Mariah Carey ha iniziato la costruzione di un impero natalizio di cui non si vede la fine, gli anni Novanta continuano con la produzione occasionale e senza grandi aspettative di successo commerciale di canzoni a carattere stagionale. Inizia a formarsi una schiera prima sparuta poi sempre più numerosa di artisti alt-rock e indie che fanno canzoni natalizie – o addirittura album a tema – che vogliono suonare alternative e consapevoli. I brani parlano di solitudine, di amore non corrisposto, di ricordi nostalgici e di speranza, esplorando il lato più complesso e a volte doloroso delle festività e restituendo al Natale una dimensione più intima e personale. Nel 1998, Elliott Smith pubblica “Angel in the Snow” che, con la sua bellezza intima e la sua profondità emotiva, è una canzone che si presta bene alla stagione e risuona profondamente con alcuni degli aspetti più riflessivi e complessi del Natale. L’anno successivo i Low rilasciano l’EP “Christmas” che riflette la loro caratteristica atmosfera lenta e meditativa, mescolando temi di solitudine, speranza e riflessione con il contesto natalizio. "Just Like Christmas" parla di un Natale che sembra diverso da quello che ci si aspetta. Piuttosto che concentrarsi sull'allegria delle feste, il brano esplora il desiderio di sentirsi amati e il calore delle relazioni. Si avverte una autenticità emotiva, una sensazione di nostalgia e di attesa, come se il Natale fosse un momento di introspezione più che di pura celebrazione.
Con l’arrivo degli anni Duemila, le produzioni si moltiplicano, passando dal Natale malinconico, ma anche ironico e un po’ cinico degli Eels con "Christmas, Why You Gotta Do Me Like This?", alla visione rurale e romantica in salsa country & western dei Killers con "The Cowboys' Christmas Song". Nel mezzo c’è spazio per le visioni di paesaggi innevati, buio invernale e le riflessioni sulla transitorietà della vita del tonalismo invernale di "White Winter Hymnal" dei Fleet Foxes e i sentimenti di tristezza, solitudine e delusione di "Christmas Will Break Your Heart" degli LCD Soundsystem. Sono solo alcuni esempi di una produzione sterminata che prevede decine di cover alternative di pezzi ultra famosi e produzioni originali. Spesso l’approccio è minimalista, ma una notevole eccezione è rappresentata dai Glasvegas che con "A Snowflake Fell (And It Felt Like a Kiss)" nel 2008 riscoprono la grandiosità e la magniloquenza dell’eredità di Phil Spector.
Le canzoni e la pubblicità
Il marketing cerca sempre di più di capitalizzare al massimo il Natale con campagne ad hoc che usano (e abusano de) gli stessi temi alla base delle canzoni. Un caso particolare è però rappresentato dalle pubblicità di Natale di John Lewis - celebre catena britannica di grandi magazzini - diventate un'istituzione nel Regno Unito e oltre, guadagnandosi un posto speciale nelle festività. Dal 2007, ogni anno, lo spot di John Lewis è atteso con trepidazione grazie alla sua capacità di raccontare storie emozionanti che non mettono in primo piano un prodotto o un brand. È con il 2011 che gli spot di Natale segnano la vera svolta, accompagnando storie di amore, gentilezza, solitudine e connessione con cover di brani molto famosi (“Please Please Please Let Me Get What I Want” degli Smiths è il primo caso, “The Power of Love” dei Frankie Goes To Hollywood il secondo) che vengono rallentati, semplificati e resi in una versione, se possibile, ancora più emotiva dell’originale, soprattutto se accompagnati dalle immagini di questi brevi cortometraggi. Il capolavoro viene sfiorato con lo spot del 2014 che diventa un piccolo fenomeno culturale per il suo mix di dolcezza, emozione e narrazione impeccabile. La storia è quella di un bambino e del suo pinguino immaginario, Monty, che sogna di trovare l’amore. La realizzazione a base di peluche e avanzate tecniche di animazione CGI rende il tutto incredibilmente realistico. Lo spot diventa praticamente perfetto grazie alla canzone scelta da John Lewis per l’occasione, una cover di “Real Love” dei Beatles con Tom Odell voce e pianoforte. Due minuti per celebrare l’importanza di dare amore e di pensare agli altri durante le feste, ma anche la fantasia dell'infanzia, mostrando come i bambini possano trasformare un semplice peluche in un amico vivente. Monty diventa un simbolo di speranza che rappresenta i desideri e i sogni che ognuno di noi ha durante il Natale, rendendo lo spot toccante e memorabile. “It’s real love”.
Buon Natale a tutti quelli che sono riusciti ad arrivare alla fine di questa storia e appuntamento con Lateral nel 2025.
Al link una playlist che raccoglie le canzoni citate in questa storia di Lateral e altre ancora.