Gianni Morandi, Bruno Zambrini e "Sei forte papà" (ma non solo)

Ci fu un tempo in cui i grandi compositori, le grandi orchestre, erano al servizio della musica leggera, dando vita a un pop di qualità che non a caso cantiamo ancora oggi. Il quartier generale romano era la RCA, fra i maestri c’era Bruno Zambrini, classe 1935, che firmò decine di successi di Gianni Morandi (tra i quali “Non son degno di te”, “Se non avessi più te”, “In ginocchio da te”, “I ragazzi dello shake”, “La fisarmonica”, “Chimera”, “Un mondo d’amore”, “Sei forte papà”), oltre a comporre per Mina, Domenico Modugno, Rita Pavone, Patty Pravo (“La bambola”), Paul Anka, Nicola Arigliano, e dedicarsi poi a sigle, colonne sonore e una lunga lista di musiche da film, “Fantozzi” compresi.
Maestro Zambrini, ricorda il primo incontro con Morandi?
«Quando arrivai in RCA, lui era già uscito con “Andavo a cento all’ora” e “Fatti mandare dalla mamma”. Nel 1964 il suo autore e produttore, Franco Migliacci, cercava una canzone e scrissi la strofa di “In ginocchio da te”. Gli piacque molto e disse: “Adesso ci vuole un ritornello eccezionale”. Non mi usciva fuori. Era un rompicapo. Un’equazione irrisolta. Poi persi mia mamma, era giovane, e lasciai Roma per andare al suo funerale. Al ritorno dalle Marche, con la Cinquecento, attraversai la Valnerina e all’improvviso, proprio lassù in mezzo alle montagne, mi suonò in testa il ritornello. Non sapevo dove appuntarlo, ma intravidi una casa di contadini, bussai e chiesi carta e penna. Feci il pentagramma e scrissi il ritornello. All’altezza di Terni mi fermai in un bar e con i gettoni chiamai Migliacci: “Ce l’ho. Vado a posare i bagagli e vengo da te”. E Migliacci: “No vieni subito qui!”. Non poteva aspettare. Lo trovò formidabile. Scrisse il testo in un quarto d’ora. Fu poco doco che incontrai Morandi. Gli feci ascoltare il brano, con quel famoso pianoforte ostinato, e lui rispose che lo avrebbe provato prima dal vivo in qualche serata. La settimana dopo mi comunicò che il pubblico impazziva».
Ma la RCA continuava ad essere contraria a quella canzone.
«Successe un caos. Il direttore artistico Ettore Zappegno mi aveva chiesto per Morandi anche un brano allegro e io composi “Se puoi uscire una domenica sola con me”, con testo di Giancarlo Guardabassi. Zappegno e Melis, capo della RCA, preferivano che Morandi continuasse a cantare quel tipo di canzoni spensierate, così decisero che “Se puoi uscire una domenica sola con me”, sarebbe stato il lato A, la facciata più importante. Ma Migliacci, Morandi stesso, e i delegati alle vendite, avevano visto la reazione del pubblico e puntavano su “In ginocchio da te”. Si urlarono contro da un terrazzo all’altro».
E come si risolse?
«Alla fine Melis stabilì: “Non facciamo come al solito un 45 giri con la foto dell’artista davanti e i titoli dietro. No. Faremo una doppia facciata uguale, come fossero due lati A”. È l’unico disco in cui c’è la stessa foto di Morandi fronte e retro, cambia solo il titolo del brano».
“In ginocchio da te” vendette uno sproposito.
«Migliacci lo aveva previsto: “Il fatto che un ragazzino canti una cosa più grande di lui sarà commovente”. E infatti. Io assicuro che furono vendute due milioni di copie. Lo so perché il rendiconto mi cambiò la vita. Inoltre, si vendettero altre duecentomila copie di falsi. Melis in ufficio decise di incorniciare un falso».
La stessa squadra Migliacci-Zambrini-Morricone-Morandi completò la trilogia con “Non son degno di te” e “Se non avessi più te”. Eravate chiamati “Quelli del te”.
«Ci usciva un brano dietro l’altro. Su “Non son degno di te” ci fu una grande discussione. Morricone portò un arrangiamento meraviglioso ma Migliacci mi disse: “Così non lo balla nessuno. Va cambiato, manca la batteria». Risposi: «E chi glielo dice a Ennio?». Aveva un caratterino. «Glielo dici tu, perchè hai composto il brano» replicò Migliacci. Morricone s’infuriò con me: «Ma come? Hai scritto una romanza e vuoi che ci metta una batteria? Così roviniamo tutto!”. Se ne andò e, quando tornò con il nuovo arrangiamento, buttò la partitura sul tavolo: “Ecco, questa è la roba che piace a voi due!”».
Con Morricone parlavate la stessa lingua. Lei si era diplomato in composizione al Conservatorio di Santa Cecilia. Come si ritrovò nel pop?
«Sono cresciuto in Romagna, davanti a una balera. Quella musica l’avevo assorbita. Poi a sedici anni entrai a Santa Cecilia. Tra una pausa e l’altra componevo temi, mi veniva facile. Ma scrivevo in modo complicato. Fu Migliacci a dirmi che dovevo semplificare. In RCA mi legai a Morricone e Luis Bacalov, anche loro con una formazione classica».
Che rapporto stabilì con Morandi?
«Strettissimo. Composi una valanga di canzoni per lui e diventammo amici. Direi quasi parenti. Avevamo figli grosso modo della stessa età. Mio figlio Andrea e sua figlia Marianna nel 1976 cantarono insieme in “Sei forte papà”».
Sigla dello show “Rete Tre” ma su Rai Uno, perché Rai3 doveva ancora nascere. Fu un successo clamoroso.
«Milioni di copie tra Italia, Francia, Spagna. Io ero anche co-editore del brano e fui chiamato dall’estero perché voleva interpretarlo Perry Como, che però poi si ammalò».
Ma come nacque una canzone così, una filastrocca, per Morandi?
«L’autore Stefano Jurgens venne a casa con qualche frase del testo, tipo “quel cane alla catena che pena mi fa” e composi la musica. Trovavo l’idea di una roulotte-arca di Noè bella e originale ma gli consigliai di cercare animali più divertenti, così Stefano andò in una libreria per bambini e tirò fuori il gufo con gli occhiali, il picchio col martello, il ghiro dormiglione. Melis capì al volo che avrebbe funzionato».
Morandi no?
«No. Eravamo a cena da Gianni Meccia e Meccia, appena tornato dall’India, tirò fuori una grappa con il serpente. Disse a Morandi: “Se la bevi, venderai un milione di copie”. Morandi rise: «Ma va! Se questo brano vende un milione di copie, io offro la cena a tutti”. Fu così che dovette pagare per otto in un ristorante di Via Veneto».
Nel periodo critico di Morandi, fu lei a mandarlo in Conservatorio.
«Lui espresse il desiderio di studiare musica. Non trovava giusto fare questo mestiere e non approfondire. Lo presentai ai miei amici insegnanti. A cena dissero: “Con quelle mani, può suonare il contrabbasso”. E lui lo fece. È una persona speciale uno che, dopo un tale successo, si rimette a studiare. Lo studio della musica è un valore».
A lei tornò utile lo studio classico nei pezzi per Morandi?
«Assolutamente sì. Prendi “Un mondo d’amore”: è un canto gregoriano. Pensai a una sorta di “Ora pro nobis”. La scrissi in pochi minuti, e in altrettanti minuti Migliacci scrisse il testo. La canzone che sentite è il provino originale. Morandi la cantò così bene che fu tenuta. Aveva un fascino irripetibile. L’arrangiamento con settanta orchestrali venne aggiunto dopo».
Quel brano l’ha rifatto più volte, anche di recente, Joan Baez. Mai incontrata?
«No, però mi bastò vedere migliaia di persone che in concerto lo cantavano a luci accese. Pensai: a questo punto, non è più mia. Sa, questi sono miracoli. Io posso lavorare su una canzone anche per un anno, ma “Un mondo d’amore” uscì in un baleno. Non basta che la canzone sia giusta: deve essere quella. Il pop ha una sua perfezione, non è come il jazz che si può cambiare e improvvisare».
Anche “In ginocchio da te” è tornata internazionale grazie al film sudcoreano “Parasite”: quattro Oscar, Palma d’oro a Cannes.
«Una grande felicità, anche se pochi hanno citato noi autori. Io in genere mi nascondo volentieri, però negli anni 60 e 70 tutti sapevano che un pezzo lo avevano scritto Migliacci-Zambrini. Soprattutto di Migliacci non si parla abbastanza, eppure era di un livello stratosferico. Comunque sono soddisfazioni. Siamo stati molto fortunati».
Perché ne fa questione di fortuna?
«Vede, siamo capitati nel boom economico, la musica contava e i dischi si vendevano. Eravamo quasi tutti ragazzi provenienti da famiglie semplici, dovevamo sfruttare al massimo ogni occasione. E le occasioni capitavano in RCA, un luogo pieno di incontri e scambi. Abbiamo visto atterrare Frank Sinatra sul tetto con l’elicottero, noi ancora arrivavamo in bicicletta».
E in tutto questo, Morandi cosa ha rappresentato?
«È un uomo di intelligenza fuori dal comune e comunica una verità pazzesca. Artisticamente ne voglio parlare al presente, perché non è uno da “rispolverare”. Fa ancora brani che sanno parlare alla nuova generazione. Quando fanno le cover di Gianni, scelgono tutti i brani con un po’ di parlato, perché gli altri sono difficili da cantare. Emerge subito la grossa differenza con lui. Morandi cantava “Tu che m’hai preso il cuor” e sembrava un tenore che lo faceva da una vita. Per me resta la più bella voce italiana».