L’impatto di Jamie xx sulla scena elettronica (e non solo)

Chiunque abbia avuto modo di intervistare gli xx ai tempi del primo, eponimo album d’esordio del gruppo che ha ridefinito l’elettronica degli ultimi quindici anni, nel 2009, ricorda come tra Romy Madley Croft, Oliver Sim e Jamie xx quest’ultimo fosse in assoluto il più silenzioso dei tre: James Thomas Smith, questo il vero nome del musicista, era lì nella stanza ma era come se non fosse lì, totalmente estraneo alla conversazione. Un paradosso. Sì, perché degli xx Jamie è sempre stato la mente, l’eminenza grigia, il regista oscuro, nonostante tra i tre fosse l’ultimo arrivato. Oliver Sim e Romy Madley Croft si conoscevano e facevano musica insieme già da molti anni quando nel 2009 ai due si aggiunse Smith, un (allora) ventunenne folgorato dal deejaying che scoprì la passione per la consolle grazie a due zii, entrambi disc jockey, uno di New York e l’altro di Sheffield. A ricordare l’influenza delle visioni sonore di Jamie su “xx”, il disco che a pochi mesi dalla sua uscita permise al trio inglese di aggiudicarsi l’ambito Mercury Prize, tra i premi musicali più ambiti del Regno Unito, è stato il discografico di lungo corso Richard Russell, capo della XL Recordings, l’etichetta di cui faceva parte quella Young Turks che spedì sugli scaffali dei negozi di musica l’album. Smith produsse “xx” praticamente per gioco, dopo che il trio aveva provato a lavorare con altri produttori, tra cui Diplo: “Lo trovai davvero stimolante come beatmaker. Suonava l’MPC come se fosse uno strumento, quando in realtà è un pezzo di equipaggiamento che in studio viene impiegato per la registrazione e il sequenziamento. Quell’idea mi fece impazzire. Iniziai a imitarlo, facendo la stessa cosa con i progetti ai quali stavo lavorando insieme a Bobby Womack e Damon Albarn”.
Da Robyn ai Radiohead: tutti pazzi per Jamie
Quindici anni dopo l’uscita di “xx”, mentre pubblica il suo nuovo album da solista “In waves”, Jamie xx è universalmente riconosciuto come uno dei più grandi innovatori del macro-genere dell’elettronica degli ultimi decenni, capace di mettere d’accordo icone come gli Avalanches, Panda Bear e Robyn - tutte presenti tra gli ospiti del disco - con Adele, che nel 2011 gli affidò un remix della sua “Rolling in the deep”. E di piacere anche al mondo rock: citofonare ai Radiohead, che in tempi non sospetti gli hanno commissionato una rivisitazione di “Bloom”, uno dei brani originariamente contenuti nell’album “The King of limbs”. Con “In waves” Jamie xx punta a consolidare il suo ruolo nella scena elettronica globale a nove anni di distanza dal debutto da solista con “In colour”, che nel 2015 per via di quella capacità di mescolare abilmente nostalgia e innovazione, con un uso sofisticato dei campionamenti e il mix tra grandi melodie e ritmi accattivanti fu osannato dalla critica e ricevette pure una nomination ai Grammy Awards come “Miglior album dance/elettronico” (la statuetta alla fine andò a Skrillex e Diplo con il loro “Skrillex and Diplo present Jack Ü”).
Lo stile che lo ha reso un'icona
Lo stile di “In waves” è quello che ha reso Jamie xx il regista oscuro degli xx e, per osmosi, dell’intera scena elettronica mondiale, considerando l’impatto che il trio ha avuto sul genere con dischi come il già citato “xx”, “Coexist” del 2012 e “I see you” del 2017: una fusione di generi che spaziano dalla dubstep alla musica soul, dall’house al garage, passando per la techno. Arricchito però ulteriormente dalle influenze della musica degli Anni ’60 e ’70: “Sono stato in tour per gran parte della mia vita e quella possibilità di fermarmi e riflettere su tutto è stata fondamentale per poter realizzare questo disco”, ha raccontato. Tra le tracce più rappresentative del disco c’è “Dafodil”, con Kelsey Lu, Panda Bear e John Glacier, basata su un sample di “I just make believe (I’m touching you)” della compianta star dell’r&b J. J. Barnes: “È stato il primo pezzo che mi ha fatto capire che potevo fare di nuovo un album. Mi è sembrato fresco, come qualcosa che non avevo mai fatto prima. Ascoltavo principalmente canzoni degli Anni ’60 e ’70 perché era la musica che mi faceva pensare meno al fatto di dover finire un album”.
Un disco che suona come un dj set
Lo scorso maggio Jamie xx ha fatto una serie di serate, dieci in tutto, al Venue Mot di Londra, discoteca di culto della zona sud-est della capitale britannica. Tra gli ospiti Charli XCX, 2ManyDJS, John Glacier, Jockstrap, Axel Boman, DJ Python e altri. Poi ha testato le tracce di “In Waves” sui palchi dei festival sui quali si è esibito quest’estate: “Molte delle idee per le strutture delle tracce sono venute suonandole e osservando la folla, cambiando leggermente le tracce ogni volta. Alla fine ha decisamente finito per suonare più come uno dei miei dj set”. “Treat each other right” è un inno breakbeat che incontra un soul futuristico. “Life”, con Robyn, è un self-empowerment in stile nu-disco condito da un tripudio di fiati e loop filtrati. Nel disco ci sono anche Romy Madley Croft e Oliver Sim, in “Waited all night”: “C’è semplicemente una certa alchimica che funziona tra noi tre. Ho lavorato con molte altre persone, ma tra noi tre c’è qualcosa: quando funziona, funziona, e ognuno di noi tira fuori qualcosa che non avrebbe mai tirato fuori da solo”. Ora tutti e tre sono concentrati sulle rispettive carriere da solisti, ma si incontrano almeno una volta al mese per lavorare insieme a nuova musica.