Gianna Nannini: “Non comprometterti mai, rimani ciò che sei”

Nel 2016 Gianna Nannini, la regina del rock italiano, decide di raccontarsi in un libro. Con schiettezza, a piglio duro, in un’autobiografia che sin dal titolo riassume la sua attitudine e la sua sincerità nel mettersi a nudo: “Cazzi miei”. Quel libro finisce anche sul comodino di una sua amica di vecchia data: la regista Cinzia TH Torrini, toscana come lei, artista come lei, che le venne presentata da bambina dalla mamma.
Due mamme intraprendenti degli anni ’70 che fanno conoscere le loro figlie, vedendo qualcosa che le accomuna. Mezzo secolo dopo, il legame tra le due si trasforma in un attestato di fiducia. Gianna si affida all’amica Cinzia per trasformare i suoi ricordi in un film biografico che racconti un frammento della sua vita. Quello più turbolento, quello degli anni giovanili, dello smarrimento psicologico e poi della ricerca della propria vera identità, umana e artistica, lontano da casa.
“Sei nell’anima”, diretto da Torrini, ricostruisce gli anni della gioventù di un’icona della musica italiana. Racconta la fuga in Germania di Gianna Nannini, il rapporto complicato con l’industria discografica e quello salvifico con la musica. Nannini ha preso parte attivamente alla lavorazione del film, aiutando l’interprete Letizia Toni a trasformarsi in lei, soprattutto dal punto di vista vocale.
Come è nata l’idea del film?
Il film è nato durante il periodo del COVID, quando Cinzia mi avvicinò e mi disse che le sarebbe piaciuto fare un film su di me. Quel periodo fu un’occasione unica, per lei e la sua squadra di sceneggiatori, per placcarmi, perché io sono sempre in giro, spesso irreperibile. Invece durante la pandemia dovevo stare a casa, non potevo sfuggire. Così ogni giorno mi prendevo il mio bel bicchiere di vino bianco e mi mettevo davanti allo schermo del PC e per ore rispondevo alle loro domande su quegli anni, raccontavo aneddoti. Se non mi ricordavo qualcosa, chiamavamo al volo Mara Maionchi e lei completava i miei ricordi di quel periodo.
Non c’è mai stato il progetto di fare un documentario al posto di un film di finzione?
Un docufilm? Per questo tipo di storia? No, che palle! Molto meglio raccontarla in un’intervista, a questo punto! No, il film affronta un periodo della mia vita davvero complicato e credo che funzioni meglio così.
La nostra speranza, mia e di Cinzia, è che sia una storia che possa essere apprezzata anche nei paesi lontani, dove magari nemmeno mi conoscono, ma dove anche oggi ci sono giovani che affrontano difficoltà simili.
Tu e Cinzia vi conoscete da tanti anni, vero? Affidarsi a lei per il tuo film deve essere stato rassicurante.
Sì, ci siamo frequentate molto in gioventù, ci conosciamo da una vita. Mi ricordo che nel 1983 io e Cinzia ci incontravamo spesso, perché lei studiava all’Accademia di Monaco. Mi ha aiutato in un paio di un paio di occasioni difficili.
Era il periodo in cui io soffrivo d’asma e mi venivano date parecchie medicine per curarlo, ma continuavo ad avere attacchi. A un certo punto andai a vedere questo spettacolo di Pina Bausch a Monaco di Baviera e mi venne un attacco fortissimo di asma. Nessuno fece niente, nessuno chiamò un’ambulanza. Fu Cinzia a trovarmi. Ero viola, per terra. Mi portò all’ospedale.
Del film colpisce molto l’assenza di reticenza, la sincerità con cui racconti tutto: gli amori, la droga, le crisi psicotiche…
Io non volevo essere autoriferita, volevo comunicare con gli altri. Credo che intorno ai 30 anni tutti, chi più chi meno, affrontiamo una crisi. Nel mio libro “Cazzi miei” avevo già fatto questo esercizio di apertura, avevo capito come raccontare molti passaggi del mio vissuto con sincerità.
Nel film si parla dei tuoi timori da giovane, il timore della pazzia. Provi sempre quella paura?
No. Da giovane finii la scuola superiore con un anno d’anticipo e convinsi mio padre a mandarmi a Bologna, poi mi trasferii a Milano, facendo la spola con Pisa. Decisi di frequentare i corsi di psichiatria e mi colpì moltissimo una lezione in cui il docente ci portò in aula una paziente, l’additò e ci disse: “questa è un’isterica”. Io prendevo appunti ma ero davanti a questa paziente e mi sentivo così mortificata... Da quell’esperienza scrissi una canzone, “Maria Paola”. Raccontavo questa donna esclusa dalla società, rinchiusa in un’ospedale psichiatrico, che a fine lezione ci guarda e fa: “ma mica starete scrivendo che sono pazza eh?”
Più tardi, con Antonietta Bernardoni, a Modena, seguii dei corsi, mi confrontai con pazienti e dottori. Era il periodo di Basaglia, dell’anti-psichiatria. Era facile vedere un po’ di se stessi in ciò che curavi nei pazienti. Era una tematica che mi appassionava ma mi preoccupava enormemente, perché più studiavo, più vedevo quella realtà e più mi rendevo conto che quando hai problemi di questo tipo, sei una preda. Tutti possono farti del male, approfittarsi di te. La pazzia permette agli altri di controllarti.
Nel film vediamo raccontato un momento personale molto difficile. Anche oggi molto artisti, come te allora, subiscono la pressione psicologica di un mondo discografico e mediatico asfissiante, tanto da prendersi periodi di pausa, da fare annunci pubblici in merito. Ma allora nulla è cambiato?
Io vivevo davvero male l’ossessione per la hit della casa discografica. Come fai a chiedere a un’artista di creare artificialmente una canzone di successo? Una hit, in sé, è un miracolo, è qualcosa di bellissimo che accade senza pianificazione, no? Invece era un continuo: facci una hit, tira fuori una hit, una hit, una hit… quella pressione mi ha mangiato dentro. Si è aperto un periodo molto buio, ma poi sono riuscita a uscirne a trovare in me le risposte. Dopo è diventato tutto più luminoso, più facile. E alla fine, quando non ero più sotto pressione, le hit sono arrivate una dopo l’altra.
In “Sei nell’anima” il tuo personaggio ha un mantra, la frase “Non comprometterti mai, rimani ciò che sei”.
È una frase di Janis Joplin che sento vicina a me e uso così spesso che considero ormai come mia. Quando arrivai a Milano nemmeno sapevo chi fosse, Janis Joplin. Mi dissero che le somigliavo, così andai a curiosare in un negozio di dischi, comprai qualche suo disco. Acquistai anche la sua biografia in inglese, anche se in realtà capivo poco la lingua. Mi bastò però per capire cosa ci univa: il nostro venire dalla provincia, le nostre origini umili, il rapporto con i genitori e quello con la musica, che aiuta a combattere le proprie insicurezze.
Com’è stato rivedere la tua storia raccontata nel film?
Avevo già visto alcuni spezzoni del film ma quando mi sono rivista ieri sera, sul grande schermo, devo dire che ho provato un’emozione molto forte.
Per me e la mia famiglia è complicato rivederci. Mio padre non è riuscito a vederlo tutto, la parte del 1983 è stata troppo forte per lui. Non oso immaginare poi cosa sia rivedersi per Letizia, sapere che le persone faranno raffronti.
Quando ti sei vista interpretata da Letizia Toni, cosa hai pensato? Ti ci sei ritrovata?
Per molto tempo ho pensato che il film non si sarebbe fatto, perché non sarebbero mai riusciti a trovare qualcuno in grado di interpretarmi com’ero a quell’età. I primi riscontri sembravano darmi ragione, vedevo più che altro caricature della me dell’epoca. Cinzia ha provinato duemila ragazze. Solo quando ha trovato Letizia è venuta da me, di persona, per mostrarmela. Lei e il management erano vicini alla decisione definitiva, ma volevano sapere cosa che pensassi.
Credo di averla vista interpretare me per la prima volta in uno spezzone di film ambientato in Germania. Ho guardato quelle immagini insieme a mia figlia. Quando ho visto lei che mi interpretava ho avuto i brividi, ho capito all’istante che era quella giusta, mi sono commossa. Anche mia figlia si è animata, vedeva una somiglianza. Ho detto subito a Cinzia: “per me lei è quella giusta”. Lei mi ha fatto delle foto, voleva catturare la mia reazione.
Sei entrata in contatto con Letizia? Ti ha chiesto consigli?
Sì, ci siamo sentite, soprattutto per mettere a fuoco la parte di canto. Lei ha cantato tutto a parte gli audio dei live, tipo quello al Festivalbar. Già dall’inizio cantava bene, poi è stata seguita da un insegnante. Quando era a buon punto, ci siamo trovate in Germania e l’ho aiutata a rifinire il timbro della voce, quella sua tonalità rauca.
Nel film a un certo punto il tuo personaggio dice che la felicità è un bicchiere di vino, un pianoforte e una moto in giardino. Corrisponde al vero? Che rapporto hai oggi con le due ruote?
La motocicletta oggi è finalmente in garage. A 16 anni mi feci comprare da mio papà una moto che potessi guidare. Attendevo impaziente di compiere l’età necessaria per poterlo fare. Al giorno d’oggi la uso meno, ma quella moto, la mia prima moto, ce l’ho ancora in garage, ogni tanto la pulisco, la sistemo, la riporto allo stato originario.
“Sei nell’anima” sarà disponibile su Netflix dal 2 maggio 2024.
foto: Netflix