Gli Shellac se ne fregano ancora

La noise-rock band Shellac di Steve Albini, Todd Trainer, Bob Weston porta con sé, da sempre, qualche cosa di mitico e inscalfibile. Concepiti originariamente come un progetto di reale alternativa all'industria discografica, gli Shellac, nella loro carriera, si sono mossi secondo dinamiche di totale autogestione accostabili all'esempio dei Fugazi, altra band simbolo di un mondo alternativo: questa visione, all'atto pratico, negli anni si è trasformata nell'autogestione della sfera promozionale, nella relativa refrattarietà ai normali tempi di produzione discografica e in una personale gestione dell'attività dal vivo. Tutte spigolature che, ovviamente, nel tempo, sono andate a limarsi, ma che in qualche modo fanno sempre parte degli Shellac, nati nel 1992 e che, nonostante lo scorrere delle lancette, continuano a non voler compiacere nessuno. Una band che ha una visione altra del fare musica, rispetto a quella dominante più concentrata sul mercato, e per questo motivo continua a essere amata e ad avere una larga fanbase.
Il sesto disco del gruppo di Chicago si intitola “To All Train”, uscirà come sempre per Touch & Go il 17 maggio e arriva a distanza di dieci anni da “Dude Incredible”. Nel 2019 hanno pubblicato “The End Of Radio”, un doppio album contenente le session registrate nel 1994 e nel 2004 per lo storico programma di John Peel negli studi della BBC. Il palco del Primavera Sound (diventato nel tempo "casa") è stato uno spartiacque importante. Dissero che avrebbero suonato live all'ultimo festival spagnolo cinque nuovi brani, ma alla fine ne suonarono due: poco importa, di fatto fu la prima vera fiammata del ritorno.
La registrazione e il missaggio del nuovo progetto si sono svolti all’Electric Audio di Chicago durante una serie di lunghi fine settimana nel novembre 2017, ottobre 2019, settembre 2021 e marzo 2022. Il disco è stato masterizzato da Bob e Steve al Chicago Mastering Service. La confezione e la grafica dell’LP e del CD sono identiche “il CD è solo più piccolo”, come ci tengono a specificare simpaticamente. Ed è già ordinabile online sul sito dell’etichetta. Mentre sulle fotografie che accompagnano il disco evidenziano: “Bob ha scattato tutte le foto, alcune con una bella macchina fotografica e altre con un telefono”. Del disco non ci sono ancora vere anticipazioni, ma è ufficiale la tracklist, che prevede dieci brani. La band tiene poi a raccontare che “non c’è correlazione tra show e pubblicazioni discografiche” e che dunque i propri concerti proseguiranno “con lo stesso ritmo rilassato e sporadico di sempre”.
Steve Albini, in particolare, nel suo percorso, ha sempre appiccato incendi dolosi. Oggi ha oltre sessant’anni. Di gettare acqua sulle fiamme non ne è ancora capace, ma come ha raccontato al The Guardian in un bellissimo e intimo articolo long form uscito l’anno scorso, analizza con più severità il suo passato dinamitardo. Sono diverse le ragioni del perché venga considerato e venerato ancora oggi come uno dei protagonisti più importanti (anche se fuori da una certa cerchia è sottovalutato e purtroppo poco conosciuto) della scena rock internazionale negli ultimi trent'anni e oltre: i suoi lavori come musicista, con band seminali come Big Black, Rapeman e ovviamente gli Shellac, e come mago dello studio, con Nirvana e Pixies su tutti, ma anche con una miriade di band indipendenti di tutto il mondo, Italia compresa (Uzeda, Three Second Kiss e Zu per citarne alcune) parlano da soli. Quei suoni noise, industrial e hardcore sono lì, a ricordarci ancora una volta la sua forza propulsiva, la forza dei suoi Shellac. Ecco, in un sistema discografico in cui si insegue il gigantismo live o la trovata promozionale per vendere dischi, gli Shellac sono una crepa. Come cantavano i CSI non bisogna far di loro o di artisti simili un “megafono” o si incepperanno, ma resta il fatto che rimangono ancora oggi un fulgido esempio di qualche cosa di diverso e interessante, lontano da insegne luminose e logiche di mercato.