Diana Ross, icona della Motown Records

Compie oggi 80 anni una delle regine della musica black, Diana Ross. Interprete leggendaria che ha venduto oltre cento milioni di copie, protagonista fin dalla più tenera età nei primi anni Sessanta con la Motown Records. Per festeggiarla abbiamo ripreso quanto da noi scritto sull'album solista intitolato con il suo nome pubblicato nel 1976.
In un’epoca ad elevatissimo tasso di feat e collaborazioni come quella attuale, un album come “Diana Ross” potrebbe proporsi a buon titolo come precursore della tendenza: nel suo caso non sono le co-produzioni a regnare sovrane, ma un numero impressionante di cover contenute e successivamente originate dal disco. “Diana Ross” si colloca nella carriera dell’artista come l’LP che la consolidò definitivamente come solista in una fase in cui il suo soul stava ormai facendo ampio spazio sia al pop che alla disco music.
Seconda di sei figli, Diana Ross era nata a Detroit, la Motor City per antonomasia, nel 1944. Era stata vicina di casa di un’altra leggenda e collega, il grande Smokey Robinson, che avrebbe poi aiutato la futura cantante a pagarsi la scuola serale e le classi di cosmetologia e di design di moda in un momento in cui le condizioni economiche della sua famiglia erano ai minimi termini. A quindici anni Diana Ross si unì al suo primo gruppo femminile, The Primettes – il nome è la versione femminile del gruppo vocale maschile dei Primes. Dopo aver vinto un concorso nello stato dell’Ontario, le ragazze furono invitate a un’audizione alla Motown; qui William “Smokey” Robinson, sempre lui, ricomparve sulla scena della vita di Diana, prendendole provvisoriamente sotto la sua ala protettiva (fu anche vice-presidente della label) in cambio del prestito del chitarrista delle Primettes, Marv Tarplin, che intendeva portarsi in tour con i suoi Miracles. A questo punto, storia e leggenda si mescolano.
La seconda vuole che Berry Gordy, fondatore e capo supremo della Motown, durante una riunione nel suo ufficio sia rimasto folgorato sentendo Diana che cantava “There goes my baby”. Precipitatosi in studio per scoprire a chi appartenesse quella voce, scoprì che – purtroppo – aveva a che fare con un gruppo di quindicenni: consigliò loro, quindi, di tornare alla label solo dopo avere conseguito il diploma. Il che non dovette scoraggiare le Primettes, però, le quali diventarono invece parte dell’arredamento degli Hitsville Studios dell’etichetta, prestando la loro collaborazione in mille modi, ogni giorno e, nel frattempo, incidendo un paio di singoli che ne rafforzarono la presenza a Detroit. Diana Ross fungeva in questo periodo anche da stilista e parrucchiera del gruppo. Il quartetto, alla fine, fu messo sotto contratto da Gordy nel 1961, a condizione che cambiasse il proprio nome da Primettes a Supremes; e, successivamente, divenne un trio quando Barbara Martin lasciò il gruppo. Diana, pertanto, fu investita della leadership da Gordy in persona, ed il resto è storia.
Diana Ross divenne negli anni Sessanta il simbolo stesso del successo del soul femminile, front-woman di un gruppo vocale che, in un decennio circa, mise a segno una dozzina di primi posti in classifica, scolpendo un pugno di classici sulla roccia del genere e volando verso la leggenda con un singolo imperituro come “Where did our Love Go”. Ma quei primi anni che resteranno nella memoria di ogni fan del soul si sarebbero rivelati solo l’aperitivo di una carriera solista che, per Diana Ross, prese a formarsi intorno al 1968, quando il gruppo era un po’ a fine corsa e la sua leader soffriva di ansia e stress. Gordy volle farne un’icona solista e, a giudicare dal centinaio di milioni di dischi che Diana avrebbe venduto in carriera (alla Motown fino al 1981), evidentemente sapeva di cosa parlava.
Uscito nel febbraio 1976, "Diana Ross" fu il settimo album solista dell’artista - oltre che il secondo da lei pubblicato con questo titolo (il primo, suo esordio solista, era uscito nel 1970) - e, al momento della sua pubblicazione, si impose come il suo maggiore successo. Il disco fu trainato in particolare da due singoli che raggiunsero il primo posto nella classifica americana: "Theme from Mahogany (Do You Know Where You're Going To)" e "Love Hangover". Le loro origini e le loro differenti particolarità sono utili a collocare l’intero album nel pieno della sua epoca.
Il primo dei due aveva già fatto parte della colonna sonora del film “Mahogany” del 1975, prodotto dalla Motown (etichetta dell’artista) insieme alla Paramount; ancora prima, la canzone era stata incisa nel 1973 da Thelma Houston, senza assurgere allo stesso livello di popolarità. Per Diana Ross quella di Mahogany era la seconda colonna sonora originale della carriera, dopo il grande successo di Lady Sings the Blues del 1972 (biografia della grande cantante jazz Billie Holiday). In questo secondo film diretto da Berry Gordy (che prese il posto del regista britannico Tony Richardson dopo averlo licenziato) Diana recita nella parte di Tracy Chambers, aspirante stilista di moda che poi diventerà famosa a Roma.
Se il brano in questione è un classico esempio del metodo Motown nella composizione di un LP, con ripescaggi e cover in abbondanza (non è finita qui…), è diverso il caso di “Love Hangover”, considerato un classico del genere disco music che valse all’interprete anche una nomination ai Grammys e che… tagliò la strada per il successo a quello che era stato designato come il singolo principale di “Diana Ross”, ossia "I Thought It Took A Little Time". Siccome i 5th Dimension stavano entrando in classifica con una loro versione di "Love Hangover", l’etichetta di Diana ne ripubblicò la sua versione in fretta e furia (era uscita già nel 1975 e stavolta venne riproposta anche come 7" single) riposizionando l’artista – già icona del soul femminile – come regina della disco per una breve stagione, sia grazie anche al contributo di un altro pezzo di genere contenuto nell’album come "One Love In My Lifetime", sia per il richiamo nemmeno troppo velato ai toni e allo stile del super-classico “Love to Love You Baby” di Donna Summer (1975).
“Love Hangover” divenne anche una fucina di cover, nel tempo, ma fu anche il simbolo di un livello di scambio artistico eccezionale e ben più ampio che caratterizza l’intero album “Diana Ross”. Si considerino, in proposito, le vicende incrociate di "After You", che originò una versione incisa a stretto giro da parte di Roberta Flack nel 1977; di "I Thought It Took A Little Time", che sarebbe stata una cover per Stacy Lattisaw nel 1985; di "One Love In My Lifetime", destinata a essere ripresa da Joss Stone (soul singer britannica) nel 2012; di “Smile”, che a sua volta era stata un classico niente meno che di Charlie Chaplin; di "Ain't Nothin' But A Maybe", la quale era stata precedentemente incisa da Ashford & Simpson (i suoi stessi autori) e anche da Rufus & Chaka Khan. E’ questa, dopo tutto, la legacy di “Diana Ross”, signora del soul, musa di Smokey Robinson e Berry Gordy, scopritrice dei Jackson 5 e donna della Motown.