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Quella di Madison Beer è una delle storie più brutte del pop

Da bimba prodigio ai tentativi di suicidio, passando per abusi e dipendenze. Stasera a Milano.
Quella di Madison Beer è una delle storie più brutte del pop

“Mi sono odiata abbastanza”. No, non è una citazione di “Pazza”, l’autoritratto che Loredana Berté ha cantato all’ultimo Festival di Sanremo. È una delle dichiarazioni alle quali si è lasciata andare negli ultimi tempi Madison Beer, la 25enne cantautrice statunitense di “Reckless” e “Good in goodbye”. Se pensate che sia il classico piagnucolio di una popstar desiderosa di attenzioni, beh, sbagliate. Perché nonostante la giovane età la “musa di Justin Bieber”, così come è conosciuta negli Usa - perché fu il cantautore canadese nel 2012 a farla scoprire al mondo intero condividendo sui suoi canali social ufficiali un video trovato su YouTube in cui lei, all’epoca appena 13enne, cantava “At last” di Etta James (“Wow, 13 anni. Questa sa cantare”, twittò Bieber) -Madison Beer ha già compiuto il ciclo di ascesa, caduta e redenzione che certi artisti percorrono in una vita - e una carriera - intera. Il suo ultimo album, “Silence between songs”, che è uscito lo scorso settembre e che presenterà stasera a Milano sul palco del Fabrique (la data è sold out), è come se segnasse una sorta di nuovo esordio.

Del resto c’è un prima e un dopo nella carriera di Madison Beer e lo spartiacque è rappresentato dal libro “The half of it”, uscito nel Regno Unito e negli Usa la scorsa primavera (non è stata pubblicata, al momento, la versione in italiano). Nelle 160 pagine dell’autobiografia la cantautrice newyorkese ha raccontato il suo rapporto con il lato oscuro del successo e di come l’essere catapultata nello show biz ancora bambina l’abbia fatta finire in una spirale di traumi e esperienze negative che l’hanno segnata per sempre. Tanto da spingerla a scrivere a 25 anni di aver “fatto un percorso di riconciliazione con tutto ciò che è successo prima di oggi: ho attraversato molti momenti estramamente bui per arrivare qui”. Tra i ringraziamenti, ha citato la se stessa adolescente, quella che a 13 anni, senza volerlo, si ritrovò al centro di interessi enormi, firmando da bimba prodigio un contratto discografico con la Island Records, in quel momento gestita dal manager di Bieber Scooter Braun: “Grazie per avermi condotta qui”.

In “The half of it”, che ha avuto una eco mediatica gigantesca, Madison Beer - tra le altre cose - ha raccontato apertamente di aver abusato di sostanze e di essere stata vittima di violenze sessuali. Ha scritto che aveva solamente 14 anni e si trovava ad un party a Los Angeles quando è stata abusata: “Sono orgogliosa di potermi relazionare con altre che hanno avuto esperienze simili. Trovo la forza in questo”, dice oggi. A 15 anni si è vista pubblicare foto di sé stessa nuda in rete: aveva condiviso quelle immagini con un ex di cui si fidava e mai avrebbe pensato che in futuro quel ragazzo avrebbe mandato quegli scatti ad altre persone, e che quelle persone le avrebbero a loro volta condivise in rete, rendendole virali. L’etichetta, nel momento della fisiologica flessione dopo l’exploit iniziale, la scaricò: “L’unica via d’uscita era porre fine alla mia vita”. E per un attimo pensò di togliersela davvero: “Era una giornata particolarmente pesante: mi arrampicai oltre il bordo del mio balcone a Los Angeles e rimasì lì, con un milione di pensieri che mi attraversavano la testa mentre fissavo il terreno. Non credo che sarei saltata giù. Si trattava più che altro di sapere che avevo una via d'uscita se tutto fosse diventato troppo. Tuttavia rimasi lì a lungo, raggelata dal fatto che non avevo poi così tanta paura di trovarmi così in alto. Il mio fratellino mi vede e gridò per chiamare i miei genitori”. Nel 2019 sfiorò l’overdose di farmaci: “Presi una manciata di pillole, tutte quelle che avevo intorno, e pregai di non svegliarmi la mattina”.

A salvarla è stata la terapia. Scrivere e fare musica ha fatto il resto. Le quattordici canzoni contenute in “Silence between songs”, a partire dalla stessa “Reckless”, che da sola conta 468 milioni di streams su Spotify, sono il suo manifesto di rinascita: “Ho pensato: ‘Io non sono un fottuto marchio’. Sono una persona. E ho molto da dire”.

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