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8 marzo: otto donne cantate da Francesco De Gregori

Raccontate da Giommaria Monti
8 marzo: otto donne cantate da Francesco De Gregori

ALICE

Musica e parole di Francesco De Gregori

Come la protagonista di Lewis Carroll, Alice guarda lo specchio, che però non attraversa. Come una sfinge immobile al quarto piano, dove vive, guarda disincantata un mondo surreale che le passa davanti agli occhi. Alice è una donna fuori dalla realtà, lo specchio dove si riflette è la superficie su cui scivolano le storie che non hanno nessun nesso tra di loro: Lili Marleen, la protagonista della canzone di Marlene Dietrich che fu profanata dal regime nazista cui la Dietrich si ribellò; Cesare Pavese che aspetta per una notte intera sotto la pioggia Costance Dowling, la ballerina bellissima che aveva visto in un caffè concerto a Torino e di cui si invaghì senza nessuna speranza; il mendicante arabo con un cancro nel cappello (che la sciagurata censura nel 1973 costrinse a cambiare in “qualcosa”) di cui non ha consapevolezza. E lo sposo che fugge dall’altare lasciando  gli invitati di stucco, soprattutto perché la sposa aspetta un figlio. 
Alice è una figura oscura e misteriosa che non si fa ridurre a un senso unico di lettura. L’evocazione del romanzo di fantasia per eccellenza è un magnifico espediente per raccontare un mondo disincantato. Alice è una donna che guarda le cose compiersi, aspettando qualcosa che non arriva mai. 

Dopo l’icona di libertà che De Gregori aveva descritto in "Signora aquilone" soltanto l’anno prima, questa ragazza che non sogna il mondo oltre lo specchio ma lo guarda riflesso e deformato senza nessun interesse è una figura femminile assolutamente nuova nella canzone italiana. Alice è una donna sopra le cose, con sguardo da Medusa guarda i gatti che guardano il sole in attesa di trasformare il proprio futuro. Come lo sposo che fugge via da un destino segnato.


CATERINA

Musica e parole di Francesco De Gregori

Il ritratto a mano libera di una grande interprete della canzone popolare italiana, Caterina Bueno, con cui un giovanissimo De Gregori esordisce come chitarrista grazie a Giovanna Marini. Ma è soprattutto il ritratto di una donna dall’aspetto fragile ("con due spalle da uccellino in un vestito troppo piccolo") ma coraggiosa, che affronta le difficoltà con la forza che le arriva dal suo rigore e dalla determinazione. Una donna che anche quando ha chiesto aiuto ha potuto contare solo su se stessa ("quante volte hai chiesto aiuto, ma non ti è servito a niente"), che affronta la vita rischiando anche la solitudine: perché chi ti sta a fianco non capisce le tue scelte, anche quando il legame sembra indissolubile. 

Le "cinquecento catenelle che si spezzano in un secondo" sono quelle  “che hanno legato lo tuo cuore al mio”, come nell’antico canto popolare toscano della sposa che prepara il letto nuziale, che Caterina Bueno ha reso immortale. È la vita che ti tradisce, è una donna che da sola affronta il mondo popolato da mascalzoni da tenere lontani. Caterina è l’immagine della forza di una donna che può contare solo su se stessa e che trova la forza nella sua indole: è il canto che rende allegre le cose difficili, come un carnevale anche quando non c’è l’allegria, anche quando non hai tutti gli strumenti che servirebbero (Caterina sa cantare ma non sa suonare) e sai che puoi contare solo su te stessa. Una donna che non ha bisogno di consolazione dal dolore ma di grandi sentimenti. 


IPERCARMELA

Musica e parole di Francesco De Gregori

Carmela è una bambina nata dentro una città pulita e violenta, probabilmente la Torino operaia della fine degli anni Settanta (ma questo la canzone non lo dice, lo fa solo intuire). È figlia del suo tempo difficile e tormentato, dove progettare il futuro era un privilegio per pochi. La super, o meglio l’iper bambina, figlia di un uomo che ha realizzato il piccolo e fondamentale sogno di una casa e di una donna che sogna sulle immagini dei fotoromanzi, è una meteora lanciata sul futuro. Il padre sembra uscito da "Rocco e i suoi fratelli", la madre è una Anna Magnani in bianco e nero. Sulla casa dell’uomo e della donna, sulla loro esistenza difficile, sui loro pensieri tormentati inseguiti lungo il filo di fumo di una sigaretta verso la luce della lampadina, cade come una stella un bambina col sorriso della vita che esplode. Carmela non piange mai, è l’apparizione che deflagra dentro lo scenario asfittico della vita quotidiana. 

A marcare la grandezza dell’evento è la musica che all’improvviso diventa sincopata e veloce, perché cambia il tempo. Carmela è il futuro che non ti aspetti più e che irrompe improvviso nella vita quotidiana di una coppia dall’esistenza identica a quella di milioni di persone partite da un paese del sud verso la città produttiva e operaia, dove comprarsi una casa è un traguardo inimmaginabile e capace di ribaltare il mondo. Carmela è iper proprio per questo, perché è capace di portare dentro la vita conosciuta la vita nuova. E di staccare dai muri la tristezza della vita conosciuta davanti a un bicchiere mezzo vuoto, dentro uno scenario da neorealismo cinematografico. 


MIMI' SARA'

Musica e parole di Francesco De Gregori

Mimì è una donna di mezza età che cammina per mano alla figlia lungo un ponte, figura dolente con gli occhiali scuri come i suoi pensieri: quelli di una vita difficile, passata a incassare colpi che lasciano il segno, talmente tanti che nemmeno fanno più male. Quelli di una vita in solitudine dopo gli amori bugiardi dalle gambe corte, che le hanno lasciato una figlia da tenere per mano e dirle guardando il fiume “tutto passa, come l’acqua che vedi anche se sembra ferma. E domani sarà migliore”. La solitudine di una vita di abbandoni e delusioni, di partenze che lasciano ferite che non si chiudono mai. 
Mimì non è solo il nomignolo affettuoso di Mia Martini, segnata per sempre da una nomea feroce ed assurda, ma è anche la sintesi del dolore di quella solitudine, dell’abbandono costante di chi non ti accetta per quello che sei. La vita di Mimì è fatta di esperienze che sbarrano il cuore, che le fanno dire mai più, non c’è più spazio per altro amore che non sia quello per la figlia che tiene per mano. Nel canto dolente del "Chiamatemi Mimì" riecheggia la "Bohème" di Puccini, “Sì, mi chiamano Mimì. Ma il mio nome è Lucia”. 

La Mimì di De Gregori ci consegna la fatica, le amarezze celate dietro gli occhiali neri, i punti di non ritorno. Ma quel dolore ha forgiato Mimì, che è proiettata sul futuro: Mimì sarà e quello che sarà parte da quello che è stata. Sarà, perché la sua vita non è stata lineare ma tortuosa, sarà che l’inverno è arrivato all’improvviso gelandole il cuore, sarà che ha passato la vita a difendersi dal male, sarà per tutto questo che Mimì, per mano alla figlia, pensa solo a quello che sarà il domani. Ancora una volta è il coraggio della solitudine la cifre delle donne ritratte da De Gregori. 

 

LA DONNA CANNONE

Musica e parole di Francesco De Gregori

Un sogno di libertà, di evasione dalla realtà quotidiana, dal ruolo assegnato che ti sta stretto. La donna cannone è una metafora potentissima di libertà, è il ritratto della forza, del coraggio di vivere oltre il limite della propria condizione. Quella descritta nella più famosa delle canzoni di De Gregori rappresenta l’immagine perfetta del coraggio: è la forza di volare via senza certezze, senza rete. Racchiude tutto l’immaginario dei sentimenti, con le parole elementari e potenti che una donna che è l’emblema contrario della schematizzazione della figure patinate riesce a pronunciare senza paura. Una donna che vola via senza fame e senza sete, senza più i bisogni elementari che ti tengono ancorato al mondo anche quando il mondo è una prigione. "La donna cannone" è il peso del sentirsi inadeguati, diversi, strani, come ha raccontato il suo autore. Quella scappata dal circo che ispira la canzone è l’esile, magrissima figura sparata nel dalla bocca di un cannone. Nel linguaggio comune, testimoniato anche dai disegni della copertina del disco, "donna cannone" è anche la donna dalla grassezza deforme che nella canzone si libera dalle convenzioni stereotipate e ha il coraggio di volare oltre la cappa che la opprime, oltre l’azzurro della tenda. È un ritratto di libertà, è il coraggio  di avere sentimenti elementari come l’amore. 

E proprio per questo, forse soprattutto per questo, è cucita su una musica dall’afflato verdiano, perfino operistico, con un arrangiamento di archi quasi romantico. Ma è anche una grande canzone sulla leggerezza, sul proiettarsi verso il futuro. La malinconia è la tristezza diventata leggera, ha spiegato Calvino. E con lui vogliamo pensare alla donna cannone come “lo sciamano che annulla il peso del suo corpo, trasportandosi in volo in un altro mondo, in un altro livello di percezione, dove poteva trovare le forze per modificare la realtà”.


RIMMEL

Musica e parole di Francesco De Gregori

Un ritratto in una fotografia, simile a quello incorniciato nella copertina del suo disco più noto: "Rimmel", ovvero il cosmetico per le ciglia. Il racconto ruota intorno alla parola trucco e a quel ritratto femminile: è un amore, anzi un matrimonio finito. Dove come sempre colpe e ragioni non sono mai da una parte soltanto. È la storia di una sconfitta, di una partita persa malgrado le previsioni, malgrado il vaticinio del futuro vincente fatta con le carte. Perché quella previsione era il trucco di uno zingaro. E le carte con i quattro assi dello stesso colore e il Come Quando Fuori Piove del poker sono l’emblema dell’azzardo dei sentimenti.  

Il ritratto femminile scolpito tra gli accordi del pianoforte ci consegna una donna che si vuole dimenticare, da cancellare  dal proprio presente perché devastante. A lui resta quella fotografia dove lei nemmeno lo guarda, anche se la tiene tra le pagine dei suoi libri, tra le pagine di quella storia fatta di chiari e di scuri. Un ritratto femminile che parla del destino, della sfida; quando dopo tanto tempo i due si rincontrano dopo essersi rifatti una vita e lei gli chiede se conserva ancora quella foto e lui risponde sì, ce l’ho ancora. "È tutto quello che puoi avere di me, il mio ritratto che evita il tuo sguardo". "Rimmel" è una canzone potente, una canzone evocativa dell’anima come l’ha definita Roberto Vecchioni. È il ritratto della lealtà di sentimenti compromessi dai trucchi. 


RAGAZZA DEL '95

Musica e parole di Francesco De Gregori

La ragazza di 17 anni (la canzone è del 2012) è l’immagine dei ragazzi contemporanei e incarna il futuro: stacca l’ombra da terra su un volo a basso costo, quelli che ti fanno arrivare dovunque con pochi euro, e va incontro al futuro. Una condizione molto diversa dalla ragazza di "Stella stellina" ritratta trent’anni prima nel disco "Viva l’Italia". Nessuna retorica, in questo ritratto di giovane donna che viaggia verso la vita: sa che deve camminare in salita, sa che il futuro non è solo un diritto che tutti a quell’età dovrebbero avere, ma anche un dovere. Il richiamo al dovere farà storcere il naso a molti, e invece affiancato alla parola futuro è un ponte formidabile verso la consapevolezza di sé. Quella che a 17 anni non si ha e si imparerà ad avere. 

Il futuro è intoccabile, racconta De Gregori, ma ai giovani bisogna anche spiegare che va coniugato con l’impegno, i sacrifici. E' un futuro, quello della giovane ragazza, fatto di opportunità e di rischi, dove non tutto è dovuto ma che dovrà affrontare da sola comunque. Quando comincia il viaggio è ancora tutto da capire e da decidere, è ancora tutto da sperare, come dice un orwelliano Ministro della Speranza (quello vero con questo cognome era molto di là da venire). Salita a bordo, spegne il cellulare: adesso è davvero sola nel viaggio oltre Gibilterra. Quel viaggio dovrà farlo senza poter chiedere nulla, solo con il proprio bagaglio e senza poter controllare, verificare, avere risposte, come il cellulare consente costantemente. La ragazza del ’95 è magnificamente sola almeno per la durata del viaggio verso il mare, lasciandosi la terra alle spalle.


STELLA STELLINA

Musica e parole di Francesco De Gregori 

È l’altra faccia della Ragazza del ’95: Stella stellina parte dal profondo sud (è nata “nell’Africa d’Italia”) con la corriera o con il treno verso la città del nord. Probabilmente col sogno di diventare una stella del cinema, in una città feroce e accogliente, minacciosa e protettiva come è Roma. La giovane ragazza ha nel cuore canzoni e libri d’amore, e si prepara al salto nel futuro oltre la sua vita da contadina con le unghie laccate: un’immagine che sembra uscita da "Bellissima", il film di Luchino Visconti. La sua ingenuità la porterà a fidarsi di tutti, anche quando mentono, anche quando le dicono “non t’impicciare più della tua vita”. 

"Stella stellina", come l’antica cantilena dei bambini, ha un aspetto leggero perfino nella musica, un motivetto di facile presa perfetto per descrivere una sognatrice ingenua, come ha raccontato l’autore “una creatura patetica, un fiorellino destinato ad avvizzirsi molto presto”. Ma guai a rinunciare a quei sogni: anche se i sogni si infrangono contro la realtà feroce e contro il disincanto, deve esserci sempre il modo per sognare ancora e trovare “un sogno ancora intero”. La ragazza che arriva dalla campagna non ha la scaltrezza della ragazza del ’95 che prende il volo a basso costo e sorvola l’Atlantico, come De Gregori canterà nel 2012: nella sua semplicità c’è la storia dell’Italia che cerca il suo riscatto anche con sogni ingenui. Gli stessi di cui sono piene la letteratura e la cinematografia che si porta dentro quando chiude lo sportello e parte verso il futuro.  

 

(Bonus track) LA RAGAZZA E LA MINIERA - L'ABBIGLIAMENTO DI UN FUOCHISTA


Il minatore che scrive alla mamma raccontando del suo amore di vent’anni è uno dei ritratti più taglienti di De Gregori. Il dialogo tra il figlio che racconta il lavoro della miniera alla madre di "La ragazza e la miniera" è molto simile a quello tra il fuochista e la madre che lo vede imbarcare sul Titanic di "L’abbigliamento del fuochista". In entrambi la madre raccoglie la fatica del lavoro del figlio: quello in miniera, nel cuore della terra, e quello nella caldaia del Titanic, sotto il livello del mare. Sono le madri le protagoniste di entrambe le canzoni. Il minatore scrive alla madre del suo giovane amore di vent’anni che prima o poi lo sposerà, la mamma del fuochista lo guarda partire mentre la saluta col berretto in mano. Il minatore si chiede se ne valesse la pena di fare quella scelta di vita, al fuochista lo chiede la madre: qui non ti mancava niente e ti imbarchi per l’America su una nave che, ti hanno detto, non potrà affondare. 

Nelle due canzoni le madri sono figure femminili potenti e disperate, il grido della mamma del fuochista è un vero lamento funebre, come se il figlio stesse partendo sul Titanic per non tornare più, con un presentimento di morte. La mamma del minatore raccoglie l’alienazione del lavoro sommerso, che comincia col buio, finisce col buio e si svolge nel buio del cuore della terra. E sono le madri, sono queste madri a raccogliere il racconto della vita rubata dalla fatica. 

 

Testi di Giommaria Monti, autore di "Francesco De Gregori. Dell'amore e di altre canzoni".
 

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