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The Smile, dietro le quinte di “Wall of eyes”

La presentazione milanese dell’album, alla Fondazione Prada
The Smile, dietro le quinte di “Wall of eyes”
Credits: Frank LeBon

Quando si affronta la nuova opera di uno dei tanti progetti che popolano la galassia creatasi negli anni attorno al nucleo Radiohead è impossibile non pensare a quanto tempo dovremo ancora aspettare per ascoltare un disco della band o per assistere all’annuncio della loro fine.
Calendario alla mano le date prossime più importanti, in ambito radioheadiano, sono due: nel 2025 si festeggerà il trentennale di “The bends", secondo disco del quintetto, mentre l’anno successivo sarà passato esattamente un decennio dal loro ultimo album di studio: “A moon shaped pool”.
La nostalgia, però, Thom Yorke e soci l’hanno sempre lasciata ai fan, mentre loro si sono divertiti a sperimentare nuove direzioni sonore e ad imbarcarsi in mille collaborazioni e progetti paralleli che hanno ampiamente dimostrato di poter vivere sulle loro gambe: la musica dei Radiohead, anche se scritta in gran parte da Thom Yorke e Jonny Greenwood, avrà sempre e solo l’impronta dei cinque musicisti di Oxford.

Dai Radiohead a The Smile

In piena pandemia però, in un momento in cui molti dei componenti erano impegnati nei progetti solisti, Thom e Jonny hanno iniziato a mettere le basi per un nuovo progetto con il batterista Tom Skinner, fondatore dei Sons Of Kemet.
La band, rinominata The Smile, dopo alcuni singoli, nel 2022, ha pubblicato il disco di debutto, “A light for attracting attenction”, che, da subito, ha mostrato come i tre volessero far notare quanto potevano discostarsi dai vecchi tracciati. Ascoltando il disco si aveva l’impressione che la neonata band avesse una grande voglia di sperimentare ogni idea e il risultato è stato un disco con molte belle canzoni ma che, nel complesso,  poco si amalgamavano tra di loro.
Dopo due anni passati a suonare sui palchi di tutto il mondo i The Smile decidono di non perdere l’abbrivio e iniziano a registrare delle nuove canzoni: per la produzione viene scelto, un po’ a sorpresa, Sam Petts-Davies (al posto dello storico collaboratore Nigel Godrich) che in passato aveva collaborato con Thom Yorke per le registrazioni della colonna sonora del remake di “Suspiria”, diretta da Luca Guadagnino.


La presentazione milanese di “Wall of eyes”

Il disco, registrato tra Oxford e gli Abbey Studios di Londra, si intitola “Wall of eyes” e, a una settimana dalla sua pubblicazione, è stato presentato in anteprima, per la stampa e i fan più veloci a prenotarsi, in una serie di eventi organizzati in tutto il mondo intitolati “Wall of eyes on film”.
Per l’Italia è stato scelto il Cinema Godard di Milano, all’interno della Fondazione Prada: sabato 20 gennaio, ai presenti è stato permesso di ascoltare il nuovo album in una qualità audio incredibile (Dolby Surround 7.1) e di vedere una retrospettiva di tutti i video realizzati dal regista Paul Thomas Anderson (“Magnolia”, “Il Petroliere”, “Licorice Pizza").
Mentre la sala si riempiva, sullo schermo sono state proiettate alcune riprese (senza audio) fatte durante la registrazione del disco: abituati alla riservatezza dei Radiohead è stato quasi strano poter “spiare” i tre artisti mentre si godevano i momenti in studio, registrando le parti orchestrali. Per la prima volta vediamo una scena che in passato, al massimo, è stata ripresa solo in foto: Thom Yorke e l’artista Stanley Donwood che dipingono le tele che verranno poi inserite nell’artwork del disco.
I dipinti, animati digitalmente, hanno fatto da corredo all'ascolto del disco.

Come suona l’album

Ho avuto la possibilità di ascoltarlo anche nei giorni precedenti e l’impressione immediata è che questo disco sia da ascoltare come un’unica opera. A differenza del precedente non ci sono variazioni rock-punk, tutto suona in modo coeso ed omogeneo. Il sound creato dai tre con l’aiuto del produttore è denso, stratificato, pieno di dettagli, con un'orchestra che passa dall'essere un accompagnamento di fondo a ergersi in muri di archi che fanno mancare il fiato. Certamente la qualità permessa dall’ascolto nella Sala Godard è quasi unica, e difficilmente sarà possibile  ascoltare questo disco allo stesso modo, ma l’impressione avuta nei giorni precedenti è rimasta immutata: questo è il disco di una band che ha creato un amalgama veramente unico, probabilmente grazie ai tanti concerti fatti insieme.
L’album si apre con la title track, uno dei tre singoli anticipati negli ultimi mesi, una ballata per voce e chitarra che lentamente si allarga su un morbido tappeto di archi; è un brano leggero, ma che viene scosso da suoni dissonanti e timpani in lontananza che lo rendono leggermente inquietante. 
Thom Yorke nei suoi testi ama parlare spesso dei suoi demoni, delle sue paure e qui va subito al punto affrontando un tema molto attuale, i social media.

“Behind a wall of eyes
of your own device.
Is that still you?”

“Teleharmonic” si apre su tappeti sonori che si sovrappongono in un bellissimo crescendo, uno dei momenti più alti del disco. La canzone era già stata usata nel finale della serie “Peaky blinders”.
“Read the room” spezza l’atmosfera con delle chitarre molto taglienti che lentamente danno spazio ad una parte centrale dove si nota il gran lavoro di Tom Skinner, la cui batteria sembra sempre molto più che uno strumento a percussione, fondendo i suoi ritmi con gli altri strumenti.
La canzone venne presentata per la prima volta durante una data italiana del vecchio tour della band: sul palco Yorke ammise di averla scritta il giorno precedente.
 Le chitarre tornano anche in “Under our pillow”, un brano dalle forti tinte dark seguito da “Friend of a friend” ultimo singolo pubblicato: una canzone che ha bisogno di diversi ascolti per mostrare l’intima semplicità con cui i tre musicisti suonano insieme questa ballata. Il titolo si ispira al termine informatico conosciuto anche con l’acronimo FOAF.
Il testo sembra far riferimento al periodo del lock-down.



“All the window balconies,
 they seem so flimsy as our
Friends step out to talk and wave 
and catch a piece of sun”

“I quit” parte sottotono per poi aprirsi su delle splendide orchestrazioni; nel testo Yorke parla della fine di “un pezzo della sua vita” e dell’inizio di un nuovo percorso - non vogliamo fare speculazioni sul significato di queste parole, ma speriamo che, prima o poi, il cantante dia una spiegazione.
“Bending hectic”, primo singolo che ha anticipato l’uscita dell’album, è uno dei brani più belli del disco, con le orchestrazioni che ricordano un film degli anni Cinquanta. La musica segue il racconto in cui Yorke torna ad affrontare uno dei temi più trattati nei suoi testi: la sua paura per le autovetture. Il cantante narra un viaggio sulle Alpi italiane su un'auto lanciata a grande velocità, finché gli archi si inerpicano su un muro di violini e l’auto esce di strada.

“The ground is coming for me now
Wе've gone over the edge
If you've got something to say
Say it now”


Ma a differenza di brani come “Killer cars”, “Stupid car”, “Airbag", il protagonista non rimane inerme di fronte agli incidenti e cerca di riportare la macchina sulla strada.



“No one's gonna bring me down, no
No way and no how
I'm letting go of the wheel”



Ma l’incidente è inevitabile e lo viviamo sul nostro corpo da ascoltatori con una deflagrazione di chitarre che, a chi scrive, porta alla mente gli Smashing Pumpkins di “Siamese dream”.
Il disco si conclude con “You know me”,  un brano per voce e piano che scivola molto lentamente, ma che nasconde una sorpresa.

Una canzone inedita?

Alla fine della canzone sullo schermo appare la scritta “What’s This Then….?” e subito si sentono rumori registrati durante le sessioni di studio e parte un breve brano non presente nella tracklist ufficiale. Su alcuni siti viene indicata con il titolo TIPTOE, ma non è stato comunicato se sarà una traccia fantasma o è stato un regalo per i presenti in sala. 
Successivamente all’ascolto del disco sullo schermo è stata proiettata una retrospettiva dei videoclip realizzati dal regista P.T. Anderson, partendo da quello ancora inedito di "Friend of a friend" che, per chi scrive, è forse l’opera minore finora realizzata dal cineasta per Yorke e soci. Nel video si vede un piccolo teatro riempirsi di bambini chiassosi che assistono al concerto della band. Per quanto le inquadrature sui volti dei bambini che mostrano emozioni differenti l’uno dall’altro siano divertenti, il risultato finale è piuttosto insipido.
L’album, usciti dalla sala, ha risuonato nelle teste dei presenti per qualche ora. Un prodotto maturo, intenso, con una grande produzione, che va ascoltato tutto d’un fiato per goderne al massimo.

 

 

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