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Annalisa: “Le grandi artiste mi hanno insegnato la spudoratezza”

La cantautrice presenta “E poi siamo finiti nel vortice”: "A livello musicale amo i Depeche Mode".
Annalisa: “Le grandi artiste mi hanno insegnato la spudoratezza”
Credits: Warner Music

La prima a finire nel vortice è stata lei. Annalisa ha stravolto il suo immaginario e la sua musica, diventando in poco più di un anno uno dei nomi più luminosi del pop italiano. La pioggia di stream e di dischi di Platino, sull’onda del trittico “Bellissima”, “Mon Amour” e “Ragazza sola”, l’ha portata anche a fare l’occhiolino alla storia: non solo è stata la prima donna al numero uno della classifica Fimi con un singolo da tre anni a questa parte, ma è anche l’unica donna solista a essere presente con un singolo nella graduatoria Fimi da più di un anno. “E poi siamo finiti nel vortice”, il suo nuovo album in uscita venerdì 29 settembre, è un tuffo dentro il mare tempestoso dei sentimenti della vita, ma è soprattutto il primo album della “nuova” Annalisa, ironica, spudorata e fatale come le grandi cantautrici e donne che la ispirano.

“E poi siamo finiti nel vortice” è una finestra su un nuovo mondo?
“È il mondo che ho individuato, ideale per me. È una partenza giusta, come mai mi era successo prima. La consapevolezza di essere davanti a un nuovo corso è arrivata scrivendo ‘Bellissima’. La scrissi nel settembre 2021”.

Che cosa stava succedendo dentro di te?
“Nel momento in cui nasceva quella canzone, la volontà era quella di unire la vocalità, la melodia e l’uso delle parole della musica italiana, in particolare delle grandi donne che mi hanno ispirata, fonte di amore costante, alle caratteristiche tecniche del pop elettronico internazionale, anche quello più oscuro del passato, quello dei Depeche Mode per esempio. Una band che amo intensamente”.

Quanto è stato importante il team di lavoro per questo cambiamento?
“Quando ha iniziato a prendere forma ‘Bellissima’, mi sono subito resa conto che stava per succedere qualcosa. Da lì ho lavorato tantissimo con i miei co-autori, non sono tanti (Paolo Antonacci e Davide Simonetta, ndr), volevo creare un team che fosse in sintonia con questa strada e che la sposasse appieno. Abbiamo curato tutti i dettagli”.

Lo possiamo definire il primo album di una "nuova" Annalisa?
“Sì, assolutamente. Fino al disco ‘Nuda’ ho lavorato in modo diverso, ovvero per sottrazione, togliendo delle costruzioni, dei preconcetti e delle sovrastrutture, volevo andare alla radice. Quel processo ha raggiunto l’apice proprio con ‘Nuda’ del 2020, un traguardo, ma anche un foglio bianco”.

Ti sei spaventata davanti a quel foglio bianco?
“No, mi sono detta ‘finalmente, da adesso ogni cosa che farò sarà per spettacolo’. Volevo costruire qualche cosa per farmi guardare, sono sincera, non più per farmi immaginare buona e in casa, come magari prima alcuni pensavano. Da lì è nato proprio un concetto diverso: lavorare al servizio dello spettacolo”.

Ma perché non è successo prima? La tua carriera era iniziata da oltre dieci anni.
“Ho riflettuto a lungo su questo. Sono stati tre i fattori. Il primo: quando ho iniziato a fare musica sentivo la necessità di farmi conoscere. Volevo essere compresa. Non pensavo di mettermi al servizio dello spettacolo. Dopo ‘Nuda’ ho capito che volevo anche altro. Da lì sono nate le mie ‘trasformazioni’. Il secondo fattore è l’essere riuscita a individuare i due lati che amo di più e che funzionano su di me e per me: la vocalità e l’elettronica. Il terzo fattore: quello che è successo fuori. Dove si sposta il mondo, il periodo storico: tutto ha contribuito. La gente voleva questo cambio di passo, i tempi erano maturi per farlo”.

Se non avessi vestito i panni da "supereroina" in “Bellissima” e “Mon Amour”, trasformandoti come hai detto, che cosa sarebbe successo? Ti saresti fermata?
Meno male che è arrivata quella supereroina... (scoppia a ridere, ndr). Non lo so cosa sarebbe successo, da quando ho avuto questa chiarezza dentro di me, però, non ho più avuto dubbi su quale fosse la mia strada”.

Sul palco sei molto sicura di te.
“Sul palco mi sento forte, però sono sempre stata insicura nella fase di costruzione musicale, ho sempre avuto bisogno di confronto. Ma ho capito che non devo avere paura dei dettagli. Man mano che cresco, ho meno timore di affidarmi all’istinto e soprattutto non voglio più accontentarmi: voglio che le canzoni siano esattamente come dico io. Questa visione ha senz’altro contribuito all’essere come sono oggi”.

Indaco violento” è la canzone simbolo del disco?
“È la traccia che ha all’interno il titolo. Anche qui c’è la fortissima voglia di unire la tradizione del grande cantautorato con l’elettro pop. Questa canzone racconta la volontà di farsi travolgere dalla vita. Gli altri brani fotografano delle fasi: ‘Euforia’ è l’inizio, il fuoco, ‘Bollicine’ la voglia di recuperare il te bambino nei sentimenti e nell’amore. In ‘Indaco violento’ c’è tutto questo e di più. C’è il vortice dell’esistenza, quello che se ti lasci trasportare, può trasformare quello che ti succede in opportunità, anche se all’inizio non sembra così”.  

Ma che bella era la centrale elettrica sdraiati sopra il tetto della macchina” oppure “estati ultraviolette tra serate ultraviolente”: scrivi in modo diametralmente diverso dal passato.  
Metto costantemente sotto analisi lo studio delle parole. Il loro uso cambia mentre cambio io. E quindi sì, è vero, scrivo in modo diverso. Ormai da un po’ sento l’esigenza di andare dritta al punto. Cerco di raccontare delle immagini e delle sensazioni per come sono realmente, senza edulcorarle. Non mi interessa che l’involucro sia una canzone pop…”.

Un esempio?
“Ne ‘La crisi a Saint Tropez’ c’è un flusso di coscienza. Dico delle cose che non vorrei dire. Ammetto di mentire, ammetto di volere una cosa anche se dico che non la voglio. L’ho fatto anche in ‘Bellissima’: a pennellate ho urlato ‘chiamatemi un medico’, ma allo stesso tempo mi ripetevo ‘però tu mi piaci’. Ho messo in musica quello che provavo, senza ritocchi”.

Sei anche diretta nel parlare di sesso e molto ironica. Alcuni esempi: “lo facciamo bene prima di scappare”, “dovrei provare yoga e dovrei restare sobria”, “un giorno, non ti accorgi e ti avveleno”. Da dove arriva questa spudoratezza?
“L’essere spudorati è più percepito in altri generi, poco nel pop. Nella trap, per esempio, ci sono donne spudorate. Invece nel pop si era più spudorati in passato secondo me: io ho voluto riprendere quel modo di raccontare storie, trasmessomi dalle grandi artiste. Un modo che trovo senza tempo e intelligente. Se penso a Raffaella Carrà con quel suo ‘A far l’amore comincia tu’, alla Rettore con quelle parole ‘Dammi una lametta che mi taglio le vene’, a Patty Pravo con ‘Pazza idea’ e ‘Pensiero stupendo’ sento spudoratezza, ma non fine a se stessa. Ed è quello che cerco di fare anche io, prendendo esempio da loro”.

Nel 2021 ti presenti a Sanremo con “Dieci”. Parti fortissimo, il brano è molto alto in classifica, ma poi arrivi settima. Una parte della critica musicale, in quell’occasione, non ti supporta. Quella di oggi è una rivincita?
“Feci quel Sanremo molto carica, felice di esserci, nonostante fossimo in pieno Covid e senza pubblico all’Ariston. Se ci ripenso, ricordo tutto in modo offuscato, come in una bolla. È stato difficile gestire le emozioni. Io in realtà sono stata felice di come è andata alla fine, c’ho creduto fino in fondo. La canzone, certamente, poteva andare ancora più forte, ma non ho sentito la necessità di prendermi delle rivincite. Quel Festival mi è servito per fare chiarezza. I due anni di pandemia mi hanno fatto riflettere molto”.

Come ti immagini “E poi siamo finiti nel vortice” dal vivo? Il 4 novembre sarai per la prima volta al Forum di Milano, sold out, e poi nel 2024 ci sarà il tuo primo tour nei palazzetti. 
“Voglio portare nei palazzetti la dimensione dei club, voglio che la gente si diverta, si emozioni. Non voglio solo spettacolo, voglio raccontare una storia. Mi immagino visual e tanto show, ma anche un contenuto”.

Tu ed Elodie siete il simbolo di un nuovo pop femminile nel nostro Paese. Tutte e due, a un certo punto, avete rotto con l’immagine della “cantante da ballate” e avete trovato una vostra dimensione, più forte ed emancipata. Che cos’è mancato al pop italiano in questi anni?
“Non parlo a nome del pubblico. Ti dico quello che è mancato a me. Io vivo la musica in modo totalizzante, è l’ingrediente principale delle mie giornate. A me mancava un po’ di verità. La spettacolarità degli artisti internazionali l’ho sempre guardata con gli occhi luccicanti, ma ho sentito, anche in Italia, la mancanza del potersi rifugiare nelle canzoni come ci si rifugia in una chiacchierata. Io oggi cerco di cantare come parlo e questo aspetto secondo me è mancato per diverso tempo nella musica pop. Non sopporto più quando sento la ‘scrittura’ nelle canzoni pop. Da sempre mi innamoro della sincerità, nelle canzoni che mi hanno cambiato la vita non ci sono trucchi”.

Sei stata molto abile anche a sfruttare TikTok, pur non appartenendo alla Generazione Z.
“Ogni mezzo va vissuto con la propria sensibilità. Non c’è un modo solo per utilizzarlo: le canzoni su TikTok sono molto importanti perché fanno parte del contenuto e questo è rilevante. Ma attenzione, perché in quel mare non c’è solo il ballettino: su TikTok ci sono anche approfondimenti e idee interessanti. Se fai il mio lavoro devi esserne al corrente, senza però fare quello che fanno i ragazzini. Se li imitassi, sarei ridicola. Io mi diverto e basta, è tutto naturale. Anche nella leggerezza c’è grande nobiltà”.

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