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Brian Eno, l'intervista d'epoca di Maurizio Baiata (1976)

“Uscire dal sentiero della Musica di Consumo”
Brian Eno, l'intervista d'epoca di Maurizio Baiata (1976)

Maurizio Baiata è una firma "storica" del giornalismo musicale italiano. Da qualche tempo ha iniziato una riorganizzazioone sistematica della sua vastissima produzione di articoli e interviste, che ha visto una prima ripubblicazione nel volume "Rock memories" (che abbiamo recensito qui), del quale sta lavorando a un secondo capitolo. Baiata ha selezionato per Rockol alcuni articoli che non saranno inclusi nei libri e che riproponiamo qui ai nostri lettori.

 

Intervista a Brian Eno
“Uscire dal sentiero della Musica di Consumo”
(Nuovo Sound n. 15 – 9 aprile 1976)

Il non-artista colpisce ancora: una nuova etichetta discografica, la Obscure Records, e un nuovo album confermano la genialità di Brian Eno. Il futuro del rock inglese è nelle mani di chi ha coraggio. E lui ci ha detto: “Il rock di oggi impone questa scelta: 'Qualunque cosa accada io non userò il mio cervello', mentre la posizione della musica sperimentale dice: 'Qualunque cosa accada io devo semplicemente usare il mio cervello'."

Londra, Marzo 1976
La nascita di una nuova etichetta discografica dovrebbe passare inosservata – dicono sia musica sperimentale – invece la stampa si interessa di questa Obscure Records perché è il frutto più consistente del rinnovamento in atto nella musica inglese, il lavoro ormai maturo di un non musicista che ha dato moltissimo: Brian Eno, ex Roxy Music e una carriera solistica di soli tre anni.
La cronaca parla di bassissimi costi di produzione per la Island che patrocina la nuova creatura, di minima promozione e pubblicità ridotta all’osso, i dischi sono sul mercato a tremila lire italiane: si tenta così di incoraggiare il pubblico ad aprirsi verso queste creazioni di tipo alternativo.
Stupisce che Eno abbia scelto la Island – e viceversa – per lanciare sul mercato dieci, dodici album che costituiscono una serie totalmente nuova e di taglio anticommerciale. Nella nostra intervista gli abbiamo chiesto di queste sue idee ed iniziative, che in parte corrispondono al modo rivoluzionario in cui si esprime la sua personalità, rappresentando la musica inglese più coerentemente avanzata.

Brian Eno: Mi sono posto il problema di comunicare con il pubblico attraverso i mezzi che il sistema può offrire sin dai tempi dei Roxy, ma solo oggi mi interessa l’industria come mezzo di sviluppo di una ricerca che, priva delle necessarie strutture, fallirebbe nel compito di aprirsi alle masse. L’idea da realizzare, ed in parte già realizzata, è di lanciare nuove proposte che escano dai canoni comuni della musica di consumo – in termini inglesi si può dire la via principale del rock come “mainstream” – e mostrare la loro efficacia, cosa che puntualmente le case discografiche tradizionali non fanno. Se esse seguissero l’esempio delle multinazionali, cioè immettendo sul mercato un gran numero di prodotti contemporaneamente, muovendosi così su diverse direttrici che coprono le mutazioni di gusto della gente, questa sarebbe secondo me una politica razionale. Ma è chiaro che senza l’adesione di una casa discografica più aperta questo è impossibile; con la Island sono riuscito a stabilire un rapporto di cooperazione. È nata così la Obscure Records, che la Island commercializza e distribuisce, ma per la quale faccio personalmente tutto da solo, compresi gli acconti economici per i musicisti, le spese di realizzazione tecniche, la stampa dei dischi, l’artwork, sino a che il prodotto non è completo.

Maurizio Baiata: Parlare di te per la tua fisionomia all’interno del gruppo di Ferry è ormai anacronistico: è possibile conoscerti e apprezzarti meglio per i tuoi lavori solistici o in compagnia di Robert Fripp (King Crimson), per il gusto dandy-elettrico con cui hai manipolato la musica degli ultimi anni, per il modo stesso di affrontare il problema della comunicazione artistica – quando la funzione creatrice dell’artista in te viene ribaltata e diviene l’interprete di una musica che appartiene a tutti – per l’importanza che il tuo suono ha assunto oggi, quando il rock è fermo al ‘72 e c’è bisogno di un grande rinnovamento a livello di contenuti.

Eno: Ho scelto la mia strada quando verso il ‘68 venni spinto dall’amico Tom Phillips ad interessarmi più professionalmente ai mezzi elettronici; ho studiato a lungo presso il centro di musica sperimentale dell’Art School, dove ho avuto modo di confondermi e migliorare in un insieme di musicisti dalla provenienza più diversa, dal folk, al popolare, al classico, e il cui unico intento era “creare” prescindendo dalle basi scolastiche che ognuno possedeva. Mi interessava arrivare ad una posizione nella quale mi fosse possibile osservare la musica che mi circondava, tutta, frugandole dentro e prendendone quanto mi sembrava più importante. Volevo diventare un “magnete di suoni”.

Baiata: La Obscure Records e Brian Eno inseguono un obiettivo culturale?

Eno: Tra le cose interessanti che cerco di proporre c’è lo studio della musica antica, presentata attraverso nuove tecniche di registrazione: queste basi, queste radici non sono quindi delle performance, delle esibizioni che accadono davanti al microfono e che vengono registrate, ma la protagonista è la musica stessa nel suo panorama storico più completo. Voglio dare l’impressione che l’etichetta sia in grado di abbracciare un grande panorama musicale, ma non mi interessa realizzare album di giovani gruppi rock. Anche perché la decisione è solo una e dipende dal fatto che la musica mi piaccia o no. Credo che l’area confinante tra la musica rock e quella sperimentale sia davvero importante; il rock di oggi impone questa scelta: “Qualunque cosa accada io non userò il mio cervello”, mentre la posizione della musica sperimentale dice: “Qualunque cosa accada io devo semplicemente usare il mio cervello”. In questa dimensione, io ho bisogno di vivere contemporaneamente ai margini e al centro, osservare e fare parte, per questo la mia musica è stata fino ad oggi molto sensuale. Nell’ultimo album, “Discreet Music” volevo fare qualcosa che riuscisse scomodo, anche spiacevole, cioè una musica nella quale non ci si dovesse concentrare, ma farne parte come la tua stanza dove vivi tutti i giorni, ed ormai è scomoda, però è tua. La musica deve cambiare un poco le condizioni vitali di questa tua stanza, ma se vuoi realmente arrivare ad un altro livello, allora c’è solo da seguire un nuovo sistema di lavoro.

Baiata: Il rock, quindi, assume per te un ruolo prettamente marginale?

Eno: Noi abbiamo bisogno di sperimentare, ma anche di divertirci, perché la musica di Steve Reich, ad esempio, può divenire monotona… In ogni caso il mio punto di vista sulla storia della musica è che tutte quelle cose che appaiono tangenziali, poco importanti, periferiche, devono invece diventare mainstream. Questa è la grande forza del rock, anche se oggi è in involuzione, sta cadendo in basso dopo un boom formidabile. Sapete perché è esistito il boom del rock? Perché la gente alla fine degli anni Sessanta vedeva ancora il nostro mondo – anche la sua parte artistica – come un posto fondamentalmente amichevole e sfruttabile; oggi lo vediamo ostile, lo spazio individuale viene concentrato nell’autodifesa – abbiamo paura di tutto e tutti e le strutture ci fagocitano – e si sfocia nella violenza.

Baiata: Queste tue parole sono illuminanti, ai margini di una sociologia del rock che è materia tua e di pochi altri, rispetto al revival nazistoide nella musica rock angloamericana, se si pensa alla fine della West Coast come terra rivoluzionaria, se si considera il generale imbastardimento delle strutture socio-culturali della musica d’avanguardia europea.

Eno: Non credo che la nostra arte stia subendo una deriva marxista, o che stia divenendo automaticamente sovversiva, o si possa anche contraddistinguere politicamente. Il suo compito resta quello di farsi mezzo per il rinnovamento culturale dell’individuo; cioè, l’arte è un meccanismo, che pone l’uomo nella possibilità di fronteggiare il caos e l'incertezza. Ed è inutile ricorrere a categorie mentali per comprendere la musica, perché il codice del pensiero è costantemente fallibile e la musica ha valore solo se è in grado di mutare nel tempo insieme a chi la ascolta.

A margine del nostro incontro con Eno vale una nota concernente la sua ultima produzione. In “Discreet Music” e negli altri album usciti per la Obscure Records appare un linguaggio che il rock aveva dimenticato di possedere, appunto la prassi sperimentale. Ma Eno va al sodo anche sparando la musica direttamente verso il cervello, quando affronta un raga indiano, o una porzione di canto medioevale, e trasforma la materia in un tessuto luccicante, divertente, rilassante. Ecco: il suo suono è una fonte di relax continuo, qualcosa in cui affondare la testa come in un cuscino, senza che ci sia bisogno di affrontare la musica con troppo sforzo – quanto accade a volte con il rock più elaborato – ma compiendo in ogni caso una scelta che avvicina automaticamente l’uomo alla musica, senza mediazioni. Forse, secondo questa prospettiva, è grande oggi, questo Eno magro e coraggioso, del quale è stato ancora detto troppo poco. Per questo ho preferito – anziché inventarlo – fare parlare lui di una musica che appartiene a noi tutti.

Maurizio Baiata
 

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