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Little Pieces Of Marmelade: “Il nostro è un album delirante”

Il duo risponde con la musica all’oppressione della pandemia e a quella di X Factor. L'intervista.
Little Pieces Of Marmelade: “Il nostro è un album delirante”
Credits: Francesca Tilio

Suoni sporchi, urla che arrivano dalle viscere, psichedelia, testi in cui tutto scorre fino all’orlo del baratro. Un incontro a metà strada fra le canzoni più violente dei Verdena e i primi Beastie Boys. L’Ologenesi è la teoria evoluzionistica secondo la quale ogni specie vivente si trasforma continuamente e indipendentemente da ogni fattore esterno. I Little Pieces Of Marmelade hanno chiamato così il loro nuovo album, prodotto da Manuel Agnelli. Il primo in italiano, un concentrato di istinto e tecnica che per il duo formato da DD (voce e batteria) e Frankie (chitarre) è una risposta a un tempo storico stagnante che li ha visti uscire dalla scatola magica della tv (sono arrivati secondi a X Factor 2020) e ritrovarsi nel bel mezzo di una pandemia mondiale. Il duo farà partire il suo nuovo tour il 21 ottobre da Treviso.

“Ologenesi” è un disco che vuole ribellarsi a un’oppressione?
“Sì, un’oppressione avvenuta per cause maggiori. La pandemia per i musicisti è stata davvero dura. È un album delirante, figlio di un periodo delirante. Ed è un vaffanculo a tutto quello che avevamo vissuto poco tempo prima di lavorare al disco quando ci dicevano ‘metti quel l’abito lì’, ‘fai questa cosa qua’. No, basta”.

Vi riferite a X Factor?
“In quella bolla, se avessimo fatto uscire qualche cosa, non avremmo potuto neppure scegliere la copertina. Abbiamo preso in mano la situazione e abbiamo fatto quello che volevamo grazie all’aiuto di Manuel (Agnelli, ndr) che ci ha dato i giusti consigli e ci ha fatto entrare in un circuito lavorativo importante”.

Se aveste vinto?
“Chi vince a volte scompare. E poi non credo proprio che Sony (etichetta con cui firmano gli artisti del talent, ndr) ci avrebbe permesso di realizzare un disco così”.

Perché?
“Perché non è trap, non è indie, non strizza l’occhio a nulla. Per noi questo è un progetto controcorrente”.

Perché partecipare a X Factor?
“Noi siamo stati chiamati da loro. Non ci saremmo mai iscritti. E anche quando ci chiamarono discutemmo molto sull’andare o meno. Era il 2020, era tutto chiuso, non si poteva suonare da nessuna parte. Noi l’abbiamo presa come un’opportunità in più per andare a suonare. Ci dissero che potevamo portare degli inediti. A vedere poi come è andata, intendiamoci, noi X Factor dobbiamo solo che ringraziarlo. Quando siamo usciti, però, era nuovamente tutto bloccato. Il disco è un grido in risposta a tutto questo”.

Chi vi ha segnalato al programma?
“Fabrizio Ferraguzzo e Marica Casalinuovo, che adesso lavorano con i Maneskin. Due grandissimi talenti nel trovare talenti”.

Come nascono le vostre canzoni?
“In passato solo attraverso delle jam. Per questo disco invece abbiamo fatto un lavoro maggiore sulla composizione per cercare un suono che sentissimo solo nostro. Quando abbiamo portato i provini a Manuel in studio, lui ha messo ordine al caos, facendoci registrare delle voci, ma gli piaceva molto il sound che avevamo costruito. Ha percepito l’urgenza che volevamo trasmettere. Ambivamo a fare un disco “italiano”, che non suonasse “italiano”. Non abbiamo lavorato normalmente, cioè registrando tutta la canzone in studio e via. Facevamo degli spezzoni, poi li lavoravamo o partivamo da un preciso frammento. È un approccio hip hop e non da normale rock band”.

Punti di riferimento?
“Death Grips e i primi Beastie Boys, quelli più criticati. Abbiamo sempre amato l’idea di mischiare il rock e l’hardcore con un’attitudine hip hop. Per noi questo album è uno schiaffo in faccia”.

I testi trasmettono tensione, sembra che stia per crollare tutto.
“‘Canzone 5’ parla di quello che succede nel mondo, di quei cortei in cui molta gente parla a vanvera e del potere dei social. E sì, sembra che tutto ci stia sfuggendo di mano. È un disco con testi non rassicuranti. A un certo punto sembra che diciamo: ‘raga, ci dispiace, ma questo mondo è una merda’ (ridono, ndr)”.

Perché “Ologenesi”?
“Rappresenta appieno la genesi di questo disco, frutto di mutazioni. Anche la copertina con gli uteri vuole trasmettere quel tipo di sensazione. L’album lo abbiamo partorito chiudendo i contatti con l’esterno, senza farci condizionare da nulla. In particolare, il cambiamento più grosso per noi è stato quello che ci ha portato a scrivere in italiano sull’onda della passione per band come i Verdena e gli Afterhours”.

Voi avete accompagnato e state accompagnando Manuel Agnelli nelle sue date soliste. Siete diventati due dei suoi musicisti di fiducia. Che sensazione provate nel mettere mano sulle canzoni degli Afterhours?
“Non si può sbragare, bisogna seguire un certo modo di fare musica. Con Manuel suoniamo in modo differente rispetto a quando siamo solo i Little Pieces Of Marmelade. È un grande mettersi in gioco. Lui non ci ha mai inserito in gabbie, ci ha lasciato grande libertà. Il lavoro più tosto è stato fatto sulla ritmica, sulla batteria. Sentirlo dire ‘questa versione di Bye Bye Bombay è la più bella degli ultimi dieci anni’ (imitano Agnelli e ridono, ndr) è stato bellissimo”.

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