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La scena hardcore italiana è ancora viva e vegeta

È tornato il Venezia Hardcore Fest: mantenere vivo l’underground anche dopo la pandemia

Con l’intento di far sentire la voce controcorrente di migliaia di ragazze e ragazzi, smaniosi di far valere i propri ideali, e dare sfogo ai margini, intorno ai primissimi anni Ottanta prese piede in Italia il fermento di veicolare il proprio messaggio legato a tematiche impegnate con una musica distante dalle regole del mainstream e delle major. Sulla scia di quei movimenti che in Gran Bretagna e Stati Uniti si distaccavano dagli atteggiamenti nichilisti e autodistruttivi rilanciati da alcuni esponenti del primo punk, da nord e a sud della Penisola si formarono così gruppi che - come i seminali Minor Threat di Washington DC - in risposta alle patinate atmosfere delle multinazionali, proponevano qualcosa di commercialmente considerato inascoltabile. Attraverso la loro musica, veloce, talvolta aggressiva, dalle sonorità distorte e dal cantato urlato o in scream, e bollata spesso dal mainstream come troppo rumorosa, queste band sputavano in faccia l’insofferenza della vita contemporanea, smaniavano per esprimere la propria creatività, far valere le loro idee e veicolare posizioni impegnate come - per esempio - l’antifascismo, l’antirazzismo, l’anarchismo, il pacifismo e l’antimilitarismo, il veganesimo, i diritti degli animali, gli ideali straight edge (ovvero il rifiuto dell’alcol e delle droghe) e l’oppressione del sessismo. Attorno a queste realtà musicali, strettamente legate al sottosuolo dell’underground, tra arti creative e skateboard, e sostenute da piccole etichette e dalla diffusione di fanzine, nacque quindi la scena hardcore italiana. È proprio grazie al fervore e all’idea di comunità alla base di questo movimento che anche dopo decenni, durante i quali la scena è cresciuta a dismisura, inglobando sottogeneri (hardcore melodico, metalcore, post hardcore, screamo e altri), prima di evolversi, le piccole realtà riescono ancora a mantener vivo l'underground in Italia. E ora, nel 2022, il ritorno del Venezia Hardcore Fest, ormai punto di riferimento di questo movimento a livello europeo, segna che la scena hardcore italiana è ancora viva e vegeta, soprattutto dopo la pandemia.

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La scena hardcore italiana è ancora viva e vegeta

Dalle storiche band italiane, dai bolognesi Nabat ai milanesi Wretched e i torinesi Negazione, dai baresi Chain Reaction ai Nuvolablu di Ivrea, passando per i romani Growing Concern o i genovesi Kafka, fino a gruppi recenti come i To Kill e alle nuove leve odierne, teatri di ritrovi e occasioni musicali delle rispettive scene sono sempre state realtà legate ai circuiti alternativi. Mentre dall’estero formazioni che nel tempo sono arrivate anche a orecchie mainstream, come Bad Religion, NOFX, Lagwagon, Offspring, hanno continuato a giungere nel nostro Paese in contesti più o meno grandi - vedi il Bay Fest di Igea Marina - i centri sociali autogestiti, le case occupate o i circoli ricreativi italiani sono invece sempre stati il terreno di concerti e festival underground. Lo spirito di fratellanza che contraddistingue le varie scene locali d’Italia e la voglia di scoprire nuova musica, insieme al desiderio di portare anche nomi dall’Europa o dall’America, sono riusciti a tenere attiva la rete di questo genere negli anni, nonostante le difficoltà che hanno portato anche alla chiusura di molti punti di ritrovo o la crescente mancanza di attenzione. A fronte di un momento drastico e drammatico come la pandemia, però, le conseguenze per la scena hardcore italiana sono state ben più severe che per altre figure della filiera musicale tricolore, che si sono comunque ritrovate in ginocchio. Con il ritorno della musica dal vivo e dei concerti senza restrizioni, e la possibilità di tornare a creare situazioni di aggregazione, anche il sottosuolo musicale italiano ha ripreso a respirare. Le band hanno rimesso piede sui palchi, i dischi autoprodotti insieme al merchindise sono riapparsi ai banchetti dei piccoli live, e anche i festival hanno ripreso. Tra le manifestazioni che, prima dell’arrivo del Coronavirus, erano riuscite a diventare dei punti di riferimento della scena a livello europeo, il Venezia Hardcore Fest è tornato gli scorsi 23 e 24 settembre per la sua prima edizione dal 2019, anno che vide esibirsi proprio i succitati Nabat e To Kill, oltre che i Satanic Surfers.

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Il ritorno del Venezia Hardcore Fetival

A distanza di tre anni dalla sua ultima edizione, il Venezia Hardcore Fetival è tornato ad animare il Centro Sociale Rivolta di Marghera (VE) come poteva essere ricordato prima del Covid. Dall’area merch in cui trovare dischi, magliette delle band, insieme a fanzine o stampe, fino al contest di skate e, ovviamente, ai concerti, il festival ha ripreso vita senza mostrare segni di cedimento dopo lo stop a causa della pandemia. Più di ogni altra cosa, però, la manifestazione nata nel 2012 dal collettivo locale Trivel, non ha mancato di riproporsi con le stesse intenzioni messe in gioco prima della pandemia, e la risposta da chi ha partecipato è arrivata forte e positiva.

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“L'idea alla base di tutto, quando è nato il festival, era fare qualcosa per un mondo che ci piaceva. Non c'erano degli obiettivi veri e propri, l'idea alla base era contribuire per uno spaccato di mondo di cui ci sentivamo parte: quello della musica e dello skate”, ha raccontato a Rockol Samall Ali, organizzatore del Venezia Hardcore Fest, all’indomani della due giorni: “Credo che le intenzioni di noi che stiamo dietro le quinte siano rimaste le stesse, ovvero dare qualcosa alla gente come noi e al nostro territorio”. Ha aggiunto: “Sicuramente negli anni il progetto si è evoluto, diventando a tratti più ambizioso e creando delle responsabilità maggiori. Di fondo però rimane ancora quella vena romantica, in cui facciamo questa cosa ‘per i fioi’; il Venezia Hardcore non è il lavoro di nessuno di noi, ma un momento in cui tutte le persone del territorio si organizzano per portare in provincia di Venezia due giorni di musica, arte e skate in cui le persone stanno assieme, condividono cose, staccano dalla quotidianità”. La forza del Venezia Hardcore Fest, che quest’anno più di altri si è concentrato nel portare sui due palchi della manifestazione gruppi italiani e locali, sta soprattutto nelle “persone che ci sono all'interno della crew”, ha sottolineato Samall, prima di aggiungere: “Non è un ‘one man show’, ma davvero un lavoro di squadra - a mio avviso quest'anno tra le migliori mai avute delle varie edizioni”.

Quest’anno il festival ha portato a Venezia gruppi come gli americani Dropdead da Providence, ormai colonne portanti del genere, ha dato spazio al thrash italiano dei Game Over, ha proposto il grindcore dei Guineapig, il death metal dei Fulci e ha riportato dall’UK i Flex e i Big Cheese. Per l’edizione 2022, però, molto spazio si è deciso di dare a nomi storici italiani e a band nostrane, tra cui Klasse Kriminale, Short Fuse, Cheap Date, Madbeat, Why Everyone Left, Blv of Death, Golpe, Baratro, Cocks, giovani realtà locali come Mother e Jaguero, e molti altri. L’entusiasta partecipazione del pubblico che ha permesso a tutti di respirare appieno l’essenza del Venezia Hardcore ha spazzato così via le paure legate al ritorno dopo tre anni. “La paura era che la gente si fosse dimenticata di cos'era il Venezia Hardcore Fest”, ha affermato a Rockol Samall Ali: “Devo dire invece che se lo ricorda molto bene, e mi ha scaldato il cuore vedere quello che ho visto questa edizione. La gente ha voglia di stare assieme. Noi facciamo questa cosa per riunire le persone, oltre che per portare i gruppi a suonare. Non ci sarebbe un festival, se le persone non lo vivessero attivamente; è stato davvero bellissimo vedere così tante facce prese bene, zero scazzi o problemi legati a mancanza di rispetto di qualsiasi natura”.

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Con le sue oltre 2500 presenze all’edizione del 2022, il Venezia Hardcore Festival ha lanciato un messaggio importante per la ripartenza della musica dal vivo e nel tenere vivo l’underground, una scena di cui Samall Ali ha detto: “ha i suoi pro ed i suoi contro, esattamente come quelle all'estero". Ha contiuato: "Non sono uno che ama fare focus solo sugli aspetti negativi della scena italiana, come qualcuno è più solito fare. Anzi, devo dire che il Venezia Hardcore Fest oggi continua proprio perché vuole mettere sulla mappa una situazione quanto più possibile di qualità e che sia un punto di riferimento per le band underground italiane”. Concludendo con una riflessione sulla line up dell’edizione di quest’anno legata alla scena italiana, dopo aver portato con orgoglio in Italia al festival gruppi come Trash Talk, Cro Mags, Integrity, La Piovra, To Kill, Samall ha raccontato: “Quest’anno la lineup era al 95% fatta di italiani, e chi c'è stato ha visto qual è stata la reazione del pubblico. È stato bello poter mettere in luce i gruppi di casa, credo che in Italia ci sia molta qualità dal punto di vista artistico e di songwriting”.

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