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La playlist più lunga di Spotify, o quasi

L'impronunciabile e infinita selezione di Four Tet, 156 ore di musica
La playlist più lunga di Spotify, o quasi

Fino a qualche tempo fa, Spotify aveva messo un tetto alle sue playlist: 10.000 canzoni. Nel 2020 l'ha rimosso, dopo le proteste di utenti che avevano ammassato oltre 800 ore di musica in una singola raccolta e volevano andare avanti.

Se 800 ore di musica vi sembrano un oceano, c'è un mare un po' più piccolo da navigare, con un navigatore d'eccezione: il produce, musicista e DJ inglese Kieran Hebden, alias Four Tet. Sul suo profilo trovate i suoi album, i suoi brani (ne sono appena usciti tre: "Scythe Master", "Mango feedback", "Watersinth"), una playlist autoreferenziale denominata "Everyting" (60 ore, con tutta la sua produzione, compresi i remix) ma soprattutto una mega selezione di 156 ore dal titolo impronunciabile, composto da emoji e caratteri ascii. 

Contiene veramente di tutto: ovviamente amici e colleghi della cosiddetta "musica elettronica intelligente" come Caribou (sotto le vesti del progetto dance Daphni), Anthony Naples, Overmono, Floating Points, Koreless, uno dei padri del genere come Aphex Twin, Hagop Tchparian (ovvero la sua ultima produzione per la sua etichetta Text) ma anche il jazz cosmico di Sun Ra, e nomi di diversissima estrazione come Ry Cooder, Metallica, Tortoise, Stereolab, il rock dei Sonic Youth o dei King Crimson, demo acustici di Lou Reed e Suzanne vega, il pop di Vanessa Carlton. Oltre a produzioni dello stesso Four Tet, che per inserire delle esclusive nella playlist ha iniziato a pubblicare musica sotto diversi alias.

La playlist, nata nel 2016, riflette la storia di Hebden, che ha iniziato negli anni '90 con una band post-rock, i Fridge, per poi entrare nell'elettronica frequentandone diversi generi, dalle contaminazioni acustiche (la cosiddetta "folktronica") all'ambient, alla trance, alle contaminazioni con il pop. Hebden, da un decennio, è completamente indipendente: recentemente ha vinto un battaglia con la Domino records incentrata sui diritti relativi ai suoi dischi degli anni zero, incisi e pubblicati prima dell'era dello streaming.

In una recente intervista a Pitchfork, Hebden - che raramente parla con i media - ha spiegato che la nascita della playlist è avvenuta proprio per non farsi ingabbiare dalle logiche delle piattaforme, per trovare un modo proprio di usarle, andando oltre ai limiti, in particolare quelli relativi al modo in cui canzoni e albun musica vengono presentato

Sulle piattaforme le copertine diventano sempre più piccole, mon puoi avere note e crediti. Soprattutto per alcuni generi—jazz, classica, cose del genere—la presentazione non rende giustizia alla musica. È brutto, è scomodo. E la cosa che in realtà mi ha colpito di più è che tutti i problemi che hanno a che fare con i soldi.
Stavo guardando Spotify con molta frustrazione, volendo renderlo mio in qualche modo, volevo dare una sorta di segnale sul mio profilo, dire al mio pubblico che sto cercando di ottenere un certo controllo. qui.
Ho avuto l'idea di non dargli un nome, basta dargli questi glitch, simboli, emoji: ogni volta che c'è stato un aggiornamento della playlist, le emoji e i simboli cambiano. Non ho spiegato quel codice a nessuno.

 

Anche il processo di selezione è molto particolare, spiega il producer:

Ascolto principalmente dischi e nella  salotto di casa mia non puoi nemmeno ascoltare lo streaming. Quando compro alcuni dischi, vado su Spotify e cerco cosa c'è lì e divento davvero un nerd. Con vecchi dischi soul e cose del genere, confronto tutte le diverse versioni su Spotify e mi assicuro che quella che va nella playlist sia la migliore per la qualità audio che riesco a trovare e che non sia stata impropriamente tagliata per adattarsi a una compilation o qualcosa del genere.

Ecco la playlist: buon ascolto!

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