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Paolo Nutini travolto dall'amore nel suo ritorno a casa

Dopo sette anni, il cantautore torna a esibirsi in Italia: il racconto del concerto al Vittoriale
Paolo Nutini travolto dall'amore nel suo ritorno a casa

Se ti chiami Paolo Nutini e tua mamma da piccolo ti chiamava “bischero”, forse stare lontano dall’Italia sette anni è davvero eccessivo. L’artista italo-scozzese sale infatti sul palco dell’Anfiteatro del Vittoriale degli Italiani di Gardone Riviera, in provincia di Brescia, con un’evidente e straripante emozione.

Si comincia con “Afterneath”, opener dell’ultimo album “Last Night in the Bittersweet” (qui la recensione). Freschissimo di pubblicazione, il disco che segna questo attesissimo ritorno discografico è ovviamente l’assoluto protagonista della serata. La scelta di abbandonare la comfort zone e addentrarsi in nuovi territori sonori è doppiamente vincente, perché oltre a restituircelo nuovamente in fermento artistico, regala sensazioni inaspettate anche dal vivo. C’è qualcosa di diverso anche nel suo sorriso, che investe la platea fin dal suo ingresso sul palco, con la promessa implicita di restare incollato a quel volto per tutta la durata dello show. Il Nutini che salutava la città di Barolo e il suo Collisioni Festival lo scorso 18 luglio del 2015 sembrava avesse qualche ombra in più. Sicuramente aveva qualche passo di danza in meno. "Ultimamente mi sono concentrato sui miei movimenti, si vede?", afferma Paolo divertito, mentre sfoggia delle movenze un po’ goffe ma piene di entusiasmo ed d’energia.

“Last Night in the Bittersweet” domina il primo set full-band della serata, in cui “Lose It”, “Acid Eyes”, “Stranded Words” e “Radio” si presentano per la prima volta al pubblico italiano come un lotto compatto, interrotto solo dal celebre singolo “Scream (Funk My Life Up)”, da “Caustic Love” (2014). La fiducia di Nutini nei suoi nuovi brani è linfa vitale, estremamente incoraggiante. Si percepisce la fierezza verso un lavoro volto a definire una nuova fase, intrapresa in un momento in cui si diffondevano con insistenza interrogativi circa le sue intenzioni. Tornerà? Vuole ancora fare musica? Lo rivedremo mai dal vivo? Questo ricco e affascinante album, congiuntamente alla sua prova dal vivo, arriva come una molteplice risposta che rassicura e scalda i cuori di tutti i fan. Sì, sì, sì. Paolo è tornato, forse meglio di prima.

Dopo i primi sei brani la band abbandona momentaneamente la scena e Nutini si ritrova solo col suo pubblico, per un mini-set acustico. “Dream a Little Dream of Me”, cover di Ozzie Nelson, e l’immancabile “Last Request”, primissimo singolo della carriera, sono i due pezzi scelti per questo momento a tu per tu con chi non smette di chiamarlo a gran voce e rivolgergli ovazioni. "Mi sento travolto dal vostro amore, è un privilegio essere in questo posto stupendo", afferma: "Mancavo da sette anni, forse sono troppi, vero?". L’emozione percepibile nella sua voce è talmente genuina da irradiarsi verso tutto l’anfiteatro, stabilendo una connessione indissolubile, che non farà altro che crescere durante tutta l’esibizione.

Nonostante sia uno degli artisti meno prolifici tra le stelle musicali nate nei Duemila, con appena quattro album in sedici anni è riuscito a creare un repertorio di assoluto rilievo. Il terzo segmento del concerto è dedicato proprio a rimarcare questo, regalando alcuni dei pezzi più amati. Da “Coming Up Easy” a “Pencil Full of Lead”, passando per “Cherry Blossom”,  la doppietta “Jenny Don't Be Hasty” / “New Shoes” e “Petrified in Love”: "Questa canzone l’ho scritta per una donna", dice con l’unico sorriso un po’ amaro della serata.

Gli encore sono due, il primo dei quali sgancia tre bombe: la nuova “Through The Echo”, a cui seguono “Iron Sky” - personalmente, il momento più alto nella carriera della voce più graffiante del soul britannico - e “Shine A Light”. Durante quest’ultima la rinnovata vitalità di Nutini esplode sul palco, insieme ad un bellissimo gioco di luci. Il secondo encore, infine, è un fuori programma che richiama alla mente proprio quell’ultimo appuntamento di sette anni fa, quando nello stupore generale Nutini iniziò a cantare in italiano. Lo fa ancora, con più leggerezza e forse un pizzico di sentimento in più. “Guarda Che Luna”, di Fred Buscaglione, è ancora una volta l’anello di congiunzione tra l’artista scozzese che oggi si esibisce in tutto il mondo e il “bischero” che da bambino assorbiva inconsapevolmente le sue origini italiane. La quasi luna piena e rossa che domina il borgo dall’alto, specchiata nel Lago di Garda, magari non è proprio un caso, eh?

Forse la lontananza dalle scene ha avuto un ruolo salvifico per Paolo Nutini, che non ha fatto altro che aspettare il momento giusto per ripartire. A pensarci bene questo è anche uno dei concerti a cui assistiamo in Italia senza che sia frutto di precedenti annullamenti, reschedule, nuove location e altri cambi di programma ai quali ormai ci siamo tristemente abituati. È come se sapesse esattamente come e quando ritornare. Soprattutto tornare a casa.

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