Il genio Caparezza appare quando si allestisce un palco
Mondi. Caparezza, un genio della lampada che si tiene distante dai social e dalle apparizioni tv, si manifesta solo quando si allestiscono palchi. Il suo regno da vent’anni. La sua verità senza filtri. È lì che può portare il suo mondo interiore, la sua musica. È lì che esaudisce i desideri più sinceri del pubblico che lo invoca. E lo fa affidandosi ad altri mondi: quello artigianale di tecnica, tradizione e sudore (qui alcune foto), che trasforma in materia tangibile i suoi pensieri scenografici, oltre a quello dei musicisti, customisti e perfomer che rendono ogni suo concerto un grande show, un musical alternativo, uno spettacolo da vedere e sentire. Proprio per il successo delle sue performance, gli chiedono sempre più date, sempre più date.
Ma Capa non può, come racconta. Deve tutelare la sua salute, tenendo a bada il cane infernale dell’acufene. Ecco quindi spuntare nella sua vita, da poco, un altro e inedito mondo, quello dei fumetti. In cui, nei momenti difficili, ha trovato rifugio. Il suo nuovo tour, che si preannuncia come sempre spettacolare, partirà il 25 giugno da Treviso, sarà incentrato sul suo ottavo album “Exuvia”, e lo porterà a viaggiare per tutta l’estate. Qui l’elenco di tutte le date.
Come ti stai avvicinando emotivamente a questo tour?
“Adesso che lo vedo in dirittura di arrivo sono molto contento di mettere ‘in piazza’ il disco. E poi non suono da quattro anni…Non vedo l’ora di mostrare al pubblico il lavoro dietro questo tour. C’è un grande dispiego di forze, come sempre accade quando faccio concerti, che si traduce in scenografi e customisti. Quest’anno ci saranno anche dei performer. Quattro ragazzi che vengono dal mondo del musical. È uno show che merita di essere ascoltato e visto”.
I concerti per te sono anche delle vere “manifestazioni”. Scompari per lunghi periodi e i social li usi poco. Nei live presenti le nuove canzoni, ma ti racconti anche. Sono il punto più alto della tua carriera?
“Ho fatto tantissimi concerti nella mia vita. A centinaia e centinaia. Ho anche patito questo espormi a suoni e rumori (Caparezza come ha più volte raccontato soffre di acufene, ndr). Ma ti dico la verità: i concerti sono il mio vero strumento di racconto. E ho bisogno di tempo per farlo bene. I live mi permettono di presentare le canzoni, ma anche di spiegare le idee che sono alla base. Non dico che devo tutto, ma sicuramente devo tanto al palco in questi vent’anni di carriera”.
Ti sei “sposato” con il palco?
“L’ho voluto. A un certo punto della mia vita ho proprio deciso di puntare tutta la mia attività sull’esposizione sul palco, più che in tv o negli altri ambiti. Questa scelta ha ripagato nel lungo periodo e mi ha permesso, per l’appunto, di vivere vent’anni di musica”.
Come cambia la tua musica quando ti esibisci dal vivo?
“Il mio modo di interpretare il live è diventato una sorta di marchio di fabbrica. Quando porto i pezzi sul palco emerge una parte più energica e rock, che forse nei dischi si percepisce meno. Dal punto di vista scenico inoltre c’è una vera dimensione teatrale con tutta una serie di figure fanciullesche che vengono evocate da oggetti che sembrano usciti da un mondo fumettistico”.
Le canzoni come si inseriscono in tutto ciò?
“Come perline che scorrono su un filo. Formano il vero concept di quello che è il grande tema della trama di ‘Exuvia’: il cambiamento, il passaggio. Racconterò questo rito passando attraverso un universo surreale. La scaletta sarà incentrata molto sul nuovo disco, ma ci saranno anche canzoni di altri album che, inserite nel live, avranno un senso narrativo. Io sul palco do veramente tutto, chi ha visto un mio spettacolo lo sa”.
Quale scaletta ci dobbiamo aspettare?
“Io sono il referente di tutto quello che avviene sul palco. Parlo con gli scenografi, con i customisti, con tutti i lavoratori. Sono il regista del mio concerto. E anche sulla scaletta lavoro a lungo. Ci saranno quasi tutti i brani del nuovo album ‘Exuvia’. Tutte le altre canzoni che inserisco hanno un senso narrativo e anche musicale, il flusso del suono, i suoi picchi o l'estensione per me sono fondamentali per creare un’esperienza anche uditiva. E poi c’è il bis, che è una zona anarchica in cui può succedere di tutto (sorride, ndr)”.
A che cosa si ispirano i tuoi show?
“Il mio primo punto di riferimento è ‘The Wall’. Ma ovviamente stiamo parlando di una performance irraggiungibile. Poi c’è dell’altro: mia madre, insegnante delle elementari, insieme alle colleghe, organizzava degli spettacoli. Mio padre portava l’impianto e i dischi. Mia madre produceva i vestiti. I bambini delle classi erano i protagonisti in scena. Ogni anno aspettavo quel momento. Credo che le radici dei miei show siano anche lì: il mondo dell’infanzia è alla base di ogni creatività”.
Insomma, un tuo live è un mix fra i Pink Floyd e la recita della scuola elementare?
“Esattamente (ride, ndr). Qualche anno fa a Milano ho visto i Flaming Lips in concerto. Anche loro, fra pupazzoni giganti e cavalli alati, hanno un impatto visivo pazzesco e favolistico. Credevo di essermi fatto qualche cosa. Anche in quel caso non c’erano solo ledwall come nella maggior parte dei live di oggi, ma c’era qualche cosa di vero e tangibile. Il solo passaggio di video non è il mio mondo. Io cerco un compromesso: anche io li uso, ma l’artigianalità rimane insostituibile perché regala qualche cosa di più immersivo”.
Il mondo che crei si deve poter toccare?
“Sì, il ledwall alla fine è solo un televisore. Punto ad altro, punto a qualche cosa di più. Gli artigiani che lavorano con me sono quasi tutti della mia terra: c’è Deni Bianco, maestro cartapestaio di Putignano, che crea gli oggetti, poi Tommaso Gianfreda di Molfetta che ne crea altri, ci sono dei ragazzi di Milano che ci aiutano, c’è la customista che è delle mie parti, tutti in qualche modo sono legati ai posti dove abito, alla Puglia. Mi piace mantenere il chilometro zero”.
Che cosa rappresenta per te un concerto e qual è il rapporto con il pubblico?
“Non è un modo per andare in giro perché ‘va fatto’. Non è un mettersi a posto economicamente. Il concerto, per me, è qualche cosa di molto, molto serio. Il pubblico merita rispetto e uno show all’altezza”.
Da chi è formato il tuo pubblico?
“Da tante persone che mi danno fiducia. Sin da subito, nella mia carriera, ho avuto una risposta forte ai live. Tanta gente viene a vedermi, più di quella che magari compra i dischi. Questo perché i miei spettacoli possono piacere anche a chi non è super fan della mia musica. I miei concerti sono ‘cose che accadono’ e per questo coinvolgono un pubblico eterogeneo a più livelli”.
Alla Milano Music Week 2021 mi avevi raccontato che stavi scoprendo il mondo dei fumetti. Ti hanno regalato qualche stimolo particolare?
“Per questo live no. Però posso dire che mi hanno aiutato in un periodo difficile. Non amo parlare della mia vita, ma come tutti ho dei problemi. E quando i problemi sfuggivano al mio controllo, mi sono sempre rifugiato nella musica. Mi dicevano ‘aggiungi date, aggiungi date’. Ma io non posso farlo, devo tutelare la mia salute. Il fumetto è arrivato come una ciambella di salvataggio e mi ha permesso di trovare un altro rifugio oltre alla musica. Leggere fumetti mi ha permesso di ritrovare una pace interiore”.
Se un giorno, a causa dei problemi di salute, dovessi ridurre la creatività musicale, il fumetto potrebbe essere una nuova avventura?
“Tutto mi auguro tranne che smettere di creare mondi. Quelli che creo e tiro fuori nei dischi e sul palco sono mondi interiori che si manifestano oggettivamente. Se dovesse mancarmi la musica, certo, intraprenderei altre strade. E infatti ho fatto un corso di sceneggiatura del fumetto. Sono fatto così: quando mi fisso su qualche cosa, entro in tackle scivolato”.