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Alice che canta Battiato è un’esperienza mistica

La cantante porta in tour le canzoni di Battiato. Ttrattenere le lacrime è un’impresa. La recensione
Alice che canta Battiato è un’esperienza mistica

“Tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni / questo paese devastato dal dolore / ma non vi danno un po' di dispiacere / quei corpi in terra senza più calore?”, canta Alice, seduta su uno sgabello accanto al pianoforte. Stavolta l’applauso che puntualmente, da tradizione, si alzava dal pubblico sui versi di “Povera patria”, non c’è. Lo spirito di Franco Battiato aleggia sul palco e in sala regna un silenzio che disturba, quasi. A un anno dalla scomparsa il fantasma del cantautore siciliano, reso invisibile negli ultimi mesi di vita dalla malattia, è paradossalmente reale, concreto, e lo percepisci proprio da quell’applauso mancato. Eppure sembra quasi di vederlo, sul palco, accanto alla sua musa, come nell’ultimo tour insieme. Era il 2016. Nel giro di pochi mesi di Franco Battiato si sarebbe persa praticamente ogni traccia. Il pubblico lo invoca, tra standing ovation, applausi e tributi che sono rivolti ad Alice, certo, immacolata al centro del palco, ma anche inevitabilmente a lui, a ciò che rimane del suo transito terrestre.

“Questo programma, come saprete, è interamente dedicato a Battiato”, sussurra la 67enne cantante romagnola, che sembra arrivare sul palco della Sala Sinpoli dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, dove ieri ha fatto tappa il tour “Alice canta Battiato”, direttamente da un altro tempo, da un altro spazio. Proprio come la musica del cantautore siciliano. “Luna indiana”, “È stato molto bello”, “Eri con me”, “Lode all’inviolato” e “Veleni” sono i cinque stati mentali e spirituali per i quali bisogna passare, come in un cunicolo stretto e labirintico, per entrare in connessione con Alice, che qui indossa i panni della medium, nel verso senso della parola: è lei il tramite attraverso il quale le parole e la musica di Battiato tornano a vivere. Nella loro forma più pura: “Questa è stata la prima canzone che ho chiesto a Battiato di scrivere per me – racconta, prima di “Eri con me” – era il 2012. Cercavo un pezzo mistico, come ‘L’ombra della luce’. Rimase in silenzio per un tempo che a me parve infinito e poi mi rispose: ‘Non mi chiedi poco. Sai bene che canzoni così hanno bisogno di un determinato stato d’essere, d’ispirazione. Non so se riuscirò ad esaudire questa tua richiesta’. Ci salutammo. Dopo qualche giorno mi chiamò e mi fece ascoltare al telefono il brano”.

In fondo Alice era l’unica a poter fare un’operazione del genere e non serve nemmeno spiegare perché. O forse sì: nessuno sa cantare Battiato come Alice. È stato lo stesso cantautore siciliano, d’altronde, a eleggerla quasi a suo alter-ego femminile: canzoni come “Il vento caldo dell’estate”, “Per Elisa, “Messaggio”, “Chan-son égocentrique”, che all’inizio degli Anni ’80 fecero di Carla Bissi, in arte Alice, una popstar d’alta classifica, e progetti come l’album “Gioielli rubati” (era l’’85 quando la cantante, un po’ per riconoscenza, un po’ per cavalcare l’onda del successo dei 45 giri precedenti, decise di incidere le sue reinterpretazioni di alcuni brani del cantautore), fino all’ultimo tour del 2016, sono la testimonianza di un sodalizio speciale, di un’intesa che va anche al di là della musica, che è quasi spirituale. Mistica. È con quella delicatezza, quella grazia e quel rispetto necessari, ma anche con l’esperienza della discepola che conosce bene la materia, che la cantante interpreta – accompagnata dal Maestro Carlo Guaitoli, già stretto collaboratore di Battiato, che suona il piano e dirige l’orchestra dei Solisti Filarmonici Italiani, tra le più importanti orchestre da camera italiane – brani come “L’animale”, “Segnali di vita”, “Gli uccelli”, “Summer on a solitary beach”. In certi passaggi trattenere le lacrime è un’impresa.

Centellina le parole, Alice. Sorride quando il pubblico le riserva, puntualmente, alla fine di ogni canzone, un’ovazione. Spalanca le braccia, incredula. Per il resto, lascia parlare la musica. Con “Un’altra vita” ci ricorda quanto fossero al di là di tutto secolari e terreni certi testi di Battiato: “Sulle strade la terza linea del metrò che avanza / e macchine parcheggiate in tripla fila / e la sera ritorno con la noia e la stanchezza”, cantava nell’’83 in “Orizzonti perduti”, mentre si lasciava già alle spalle il successo travolgente de “La voce del padrone”. Con “Io chi sono?” ci conferma invece quanto certi testi del cantautore siciliano fossero profetici nel loro essere universali, eterni: “Da tempo immemorabile/ qui non si impara niente / sempre gli stessi errori / inevitabilmente gli stessi orrori”. “Ci ha lasciato molto di più di semplici canzoni: una parte della propria esperienza. Quasi per prenderci per mano e accompagnarci verso la luce”, riflette Alice.

È raccontando qualche aneddoto che, di tanto in tanto, l’interprete si lascia andare. Come su “I treni di Tozeur”: “Non posso non condividere con voi questa canzone, con la quale Franco e io nell’‘84 partecipammo a quello che all’epoca si chiamava ancora Eurofestival e che oggi chiamano invece Eurovision. “Il vento caldo dell’estate”, “Messaggio”, “Chan-son égocentrique”, “La stagione dell’amore”, “Prospettiva Nevski”. E poi “La cura” e “E ti vengo a cercare”, che diventa una preghiera, un’invocazione, che qualcuno in sala ascolta tenendo le mani giunte sulla bocca e gli occhi chiusi, fino al trionfo finale con “Per Elisa” (“Ad un certo punto l’ho detestata con tutte le mie forze e non l’ho più cantata: poi l’ho ritrovata”, confessa Alice) e “L’era del cinghiale bianco”, tra i cori e i battiti delle mani a tenere il ritmo. È la musica di Battiato, ora, a farsi sentimento popolare nato da meccaniche divine.

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