Bob Marley, quando tutto cambiò: ‘Un tizio di nome Chris Blackwell sta per venire in Giamaica’
Se Bob Marley è diventato l’icona che oggi è, il musicista lo deve anche a Chris Blackwell, il discografico dietro alla Island Records che ha il merito di aver portato la musica giamaicana – nell’isola caraibica Blackwell ha trascorso l’infanzia - nel mondo, scritturando e promuovendo artisti come, tra gli altri, Millie Small e Jimmy Cliff. “Quando Bob lo andò a trovare nel suo ufficio di Londra, erano più di dieci anni che si sforzava di promuovere la musica caraibica”, ricorda la vedova della voce di “Redemption Song”, Rita Marley, nella biografia “No Woman No Cry – La mia vita con Bob Marley” edita in Italia da Mondadori, in riferimento all’oggi ottantatreenne discografico britannico. Rita non avrebbe più scordato le parole che Bob pronunciò prima che il provvidenziale incontro con Blackwell portasse, nel 1972, alla firma del contratto che ha lanciato Marley e i suoi Wailers nell’olimpo della grande musica. Scrive la cantante nel volume:
Quando Bob era tornato da Londra dopo il fallimento dell’accordo con la JAD, aveva detto: “Beh, un tizio di nome Chris Blackwell sta per venire in Giamaica e presto sarà qui, Rita. Questa potrebbe andar dritta, potrebbe essere un affare”. E così via… Ma per me quello restava un grande punto interrogativo, e non ne sapevo molto di Chris; in ogni caso, non c’erano soldi.
Dopo aver incontrato il terzetto composto da Bob Marley, Peter Tosh e Bunny Wailer nella capitale britannica Blackwell aveva salutato i tre, citando nuovamente le parole di Rita Marley, con una richiesta che lasciava ben sperare: “Portatemi un album e vedremo di farci qualcosa”. E quel qualcosa si concretizzò non solo in un contratto, ma anche in uno studio messo a disposizione della band. Spiega Rita Marley:
All’inizio degli anni Settanta, aveva comprato una grande casa malandata al 56 di Hope Road, in centro, vicino alla Jamaica House, la residenza del primo ministro, e anche vicino a Devon House, una villa storica dove sua madre era cresciuta. Il luogo, che aveva chiamato Island House, comprendeva dei terreni e alcuni fabbricati annessi sul retro. Era un posto malconcio, ma vivibile. Chris lo aveva trasformato in uno spazio per accogliere e far provare i musicisti che voleva promuovere.
Quello spazio nel centro di Kingstone presto sarebbe diventato un’esclusiva di Marley e della sua grande famiglia, un evento non così scontato per la comunità rastafariana. “Hope Road fu la prima conquista del genere mai effettuata da un rasta. Poter sventolare i nostri riccioli e vestire i colori rastafariani in una casa vicina a quella del governatore generale, il rappresentante di Sua Maestà britannica! Una casa vicino a dove il primo ministro ha il suo ufficio, a due porte di distanza! In piena vista, nel cuore della città!”, racconta Rita. Da là uscirà il primo risultato concreto del sodalizio con Blackwell e con la sua etichetta, “Catch a Fire”, primo album degli Wailers, contente canzoni come "Stir It Up" e "Concrete Jungle". “Fu un successo da subito e fu l’inizio di grandi cose”, sottolinea Rita Marley, proseguendo: “I Wailers andarono in giro per concerti in Inghilterra e poi negli Stati Uniti, suonando anche da spalla a Sly & The Family Stone a Las Vegas. In Giamaica, tutti presero a corteggiarli, tutti volevano conoscerli perché ormai erano celebrità, sotto contratto con la Island”. L’incontro del terzetto con “un tizio di nome Chris Blackwell” non fu decisamente una cosa da poco.