"Pleased to meet you": incontri con le star. Nick Cave

L'uomo che non vorrei mai incontrare dopo l’imbrunire. Maledetto vero, inquietudine che cammina, nero d’abito e suono, l’artista che vorrei sempre vedere sul palco, che vince su ogni scacchiera, colui che una volta sintetizzò così il suo processo creativo: “Il mio lavoro è sempre stato incatenato alla medesima ciotola di vomito”.
Me ne sono accorto di persona.
Monaco di Baviera, 1986. Cave è nel suo periodo di dipendenza forte e di creatività eccelsa. Pochi mesi dopo l’uscita di "Kicking Against The Pricks", spettacolare album di cover che spaziano dalla velvettiana "All Tomorrow’s Parties" alla hendrixiana "Hey Joe", e pochi mesi prima della pubblicazione di "Your Funeral... My Trial", con quella "The Carny" che poi Wenders avrebbe appeso ne "Il cielo sopra Berlino", nel 1987.
Siamo in sette, un giornalista per ogni Paese. Nick Cave seduto su una poltrona, noi attorno a lui. Io proprio di fronte. A un certo punto Nick pare bloccarsi. Subito non diamo troppa importanza alla cosa. Ogni sua risposta arriva con qualche secondo di ritardo dalla fine della domanda.
Mi sembra che non stia troppo bene.
Si sporge in avanti.
E mi vomita addosso.
Ora sono sicuro che non sta troppo bene.
Una solerte discografica soccorre Nick Cave e lo accompagna fuori.
Io mi alzo per andare in bagno.
Mi segue una giornalista bionda e diafana, mi sembra di ricordare finlandese. Bellissima.
Mi tolgo la felpa per lavarla.
Mi blocca.
“Scusa, ti spiace se la tengo io?”
Dopo la merda d’artista, il vomito d’artista.
Piero Manzoni sarebbe stato fiero di noi.
Il testo qui sopra è tratto, per gentile concessione dell'editore e dell'autore, da "Pleased to meet you - Spigolature pop", il libro di Massimo Cotto pubblicato da VoloLibero, che presenta "duecento artisti ritratti con un flash, con uno scatto rubato".
