Canzoni italiane dal 2000 al 2020: “Amen” di Francesco Gabbani

“Amen” di Francesco Gabbani, da “Eternamente ora”, BMG/Warner, 2016
“Per molto tempo ho fatto solo cose mirate ad avere successo: scrivevo canzoni appetibili per la radio, vivevo la musica in maniera ossessiva e soffrivo terribilmente per risultati che non arrivavano. Il successo è arrivato quando ho mollato il colpo e sono tornato a godere la musica per le emozioni che mi dà” (intervista di R. Serini, “Vanity Fair”). Nel successo di Francesco Gabbani c’è qualcosa di anomalo: mentre nel pop italiano la ricerca del personaggio è ormai un imperativo fomentato fino alla saturazione dal patto più o meno tacito tra i talent e l’industria, Gabbani – che con i talent non c’entra nulla – si è focalizzato sull’efficacia popolare della pura amalgama musicale.
Sebbene suonino naturalmente immediate e accattivanti, le sue canzoni sono costruite con cura maniacale del dettaglio: le simmetrie melodiche, i ritornelli tormentanti ma non affrettati, i vezzi sparsi a fornire carattere alle composizioni, da un amen a un “namasté”. Chi ricopre di elogi Tommaso Paradiso per la luminescenza della sua sensibilità pop tende a storcere il naso di fronte a Gabbani; eppure la differenza tra i due è più sovrastrutturale che sostanziale: entrambi lavorano sul rapporto calibrato tra ritmo e melodia, attingono agli anni Ottanta attualizzandoli e sono leggeri fino al punto di sembrare frivoli, ma senza esserlo davvero (o troppo). Al massimo è proprio l’allure del personaggio a mancare a Gabbani per essere un Paradiso “normcore”; ma a lui, che si prende pochissimo sul serio, sembra andare bene così. Il rischio, semmai, è di rimanere schiacciato dall’efficacia delle sue hit, tant’è che a oggi la durabilità del suo progetto discografico è ancora un traguardo da conquistare.
Carrarese, Gabbani milita nei Trikobalto per poi esordire da solista con “Greitist Iz” (2014), di cui non si accorge nessuno. La svolta arriva nel 2016 nella cornice del Sanremo “radio-oriented” di Carlo Conti, dove “Amen” vince la gara dei Giovani e il premio della critica. Firmata con Fabio Ilacqua, è una canzone elettropop ritmata e coinvolgente, articolata attorno a una semplice linea melodica ciclica discendente che nel ritornello si fa corale (e contagiosa). Dentro i cliché esibiti del pastiche alla Battiato (l’immaginario para-religioso, il misticismo) c’è una riflessione scherzosa ma non ingenua sulla tendenza universale degli italiani di qualsiasi estrazione, “dal ricco in look ascetico al povero di spirito”, a sublimare i problemi attraverso un generico affidarsi alla provvidenza: “Dimentichiamo tutto con un Amen”.
Che, rovesciando la prospettiva positiva del brano, vuol dire sfuggire quando è il momento di impegnarsi di persona e persino ribellarsi per affrontare i grandi ostacoli, con una vigliaccheria puntualmente esorcizzata da quello stesso sarcasmo all’italiana che il brano sembra infilzare: “Alla porta i barbari, nascondi provviste e spiccioli / sotto la coda (... ) l’offerta è già finita amici andate in pace / cala il vento, nessun dissenso, di nuovo tutto tace”. Grazie a un’intelligente disseminazione di richiami pop a più livelli nel testo e nella musica, è diventata uno degli ultimi classici realmente nazionalpopolari, un brano cioè in cui tutto il Paese può specchiarsi, nel bene e nel male, come ai tempi dell’“Italiano” di Toto Cutugno: a chi mira quell’“avanti popolo che spera in un miracolo” che fa il verso a “Bandiera rossa”, se non proprio a quell’Italia degli “spaghetti al dente e un partigiano come Presidente”?
(di Fabio Ilacqua, Francesco Gabbani / © Baby Angel/BMG/The Saifam Group)
Vincenzo Rossini
La scheda è tratta, per gentile concessione dell’autore e dell’editore, da “Unadimille – 1000 canzoni italiane dal 2000, raccontate”, edito da Arcana, al quale rimandiamo per le altre 980 schede.
(C) Lit edizioni di Pietro D'Amore s.a.s.
