Brunori Sas presenta “Cip!”: “Canto la fatica di essere buoni in un mondo cinico”
Nelle undici tracce di “Cip!”, il nuovo disco di Dario Brunori, in uscita oggi, il centro è uno: “l’Uomo, non gli uomini”. Un lavoro che non vuole eliminare le opposizioni intrinseche nella natura umana, nella vita stessa, ma ambisce a un’accettazione, a sfumare i confini tra il bello e il brutto, raccontando ciò che ci muove. “Dentro ci sono canzoni d’amore, nelle sue diverse declinazioni, da quello di coppia, a quello familiare, sino all’amore ideale, forse utopistico, indubbiamente erede di un cristianesimo bambino che mi porta indietro nel tempo – racconta il cantautore calabrese durante la presentazione – il disco racconta la buona volontà, la tenerezza, ma anche le difficoltà, la pazienza, i denti stretti per tenere in piedi le cose. Canto della fatica, in fin dei conti, dell’essere buoni, senza sentirsi al contempo fessi”. Ci sono due forze motivanti fondamentali: la paura e l’amore. “Sì, lo disse John Lennon: quando abbiamo paura, ci tiriamo indietro dalla vita. Quando siamo innamorati, ci apriamo a tutto ciò che ci offre la vita con passione, eccitazione e accettazione. È quel confine che mi interessa, a costo di sembrare naif”, ammette Brunori.
Il lavoro esce a tre anni di distanza da “A casa tutto bene”, è prodotto dallo stesso Dario con Taketo Gohara, registrato tra la Calabria e Milano. Vanta una forte componente di strumenti a fiato, proprio per trasmettere vitalità alle canzoni, la stessa che sembra sottendere il pettirosso sulla copertina dell’album realizzato da Robert Figlia. “Un uccelletto realistico, quasi da vecchia enciclopedia, privo di connotazioni sentimentali stucchevoli, intimamente combattivo e fiero. Una creatura semplice che ama intonare i suoi canti solitari sulla neve, rendendo forse un po’ meno gelidi questi nostri lunghi inverni”, confida.
Brunori manifesta a se stesso e ai suoi fan la volontà di “sentire”, più che di “pensare”: un’attitudine poetica che si riflette anche nel titolo onomatopeico e che connota tutto il disco. Dentro, ovviamente, sono contenuti anche i due singoli di lancio della nuova fatica, “Al di là dell’amore”, canto etico e poetico, e “Per due che come noi”, una ballata sui sentimenti. Spazio anche a “Capita così”, “che ci mette davanti ai bilanci, quelli dei risultati raggiunti e quelli per cui ci si sente minuscoli”, dice Brunori. Ma guai a credere che sia un disco solo per cuori di velluto: l’ironia dissacrante e l’incanto dell’artista sono sempre centrali, figli della scuola di Lucio Dalla e Giorgio Gaber. “Sì, ma in questo lavoro ho voluto allontanarmi dall’accademia del cantautorato e concentrarmi più sulla poesia”, ribadisce più volte Brunori. “Anche senza di noi” è forse il brano più spirituale di tutto l’album, che si interroga sul senso profondo del lasciare tracce in un mondo per cui non siamo fondamentali: “qualcuno deve pur dirlo, eh…”, sorride.
“Bello appare il mondo”, invece, è un minuzioso invito ad accogliere la bellezza, mentre “Benedetto sei tu” è una speranzosa preghiera laica sulla ricerca della consapevolezza del nostro saper essere umani al mondo di oggi. Chiude il cerchio, dopo altre, “Quelli che arriveranno”, uno dei pezzi più intensi. “Accettazione di qua, accettazione di là, ma si sa: resto un grande estimatore delle canzoni tristi”, continua con il ghigno Brunori. “Nel disco c’è il nostro essere a tempo determinato, c’è la morte come paura, ma anche come consolazione e addirittura come stimolo alla vitalità, proprio per quel discorso legato alla costante lotta fra gli opposti, lotta però necessaria – conclude Brunori – e tutto senza cadere nell’amarezza di un tempo. Sono canzoni per il mio fanciullino, per la mia anima bambina. Forse sono canzoni per i figli che non ho”.