
Ritorna il rock impegnato? Lanciati da Tom Morello, che li descrive come un incrocio fra “il blues scarno e arrabbiato dei Black Keys e le invettive politiche dei Rage Against The Machine”, gli americani Last Internationale sono partiti all’assalto delle classifiche come si parte per la guerra, armati di un album d’esordio, “We will reign”, che esplora il confine fra musica e attivismo politico. Formato dalla cantante Delila Paz, dal chitarrista Edgey Pires e dal batterista Brad Wilk (dei Rage Against The Machine), il gruppo suona la carica del rock anti-capitalista e richiama fin dal nome l’internazionale dei lavoratori. I tre scrivono canzoni che somigliano a inni di protesta, mischiano rabbia e retorica, cantano d’indiani d’America, campi di battaglia, fuorilegge. Inneggiano alla rivoluzione come se fossimo nel 1968, non nel 2014. In un pezzo titolato proprio “1968” dicono che “più amo e più sento di fare la rivoluzione, più faccio la rivoluzione e più sento di far l’amore”. Slogan da crociati di sinistra con mezzo secolo di ritardo? “Intanto quella frase non è nostra, l’abbiamo vista scritta su un muro di Parigi nei giorni del maggio francese”, spiega Paz, newyorchese d’origine portoricana. E assicura: “Nessun ritardo, nessuna nostalgia: oggi siamo vittime dello stesso tipo d’oppressione che esisteva negli anni ’60”.
Il carisma dei Rage Against The Machine è il lasciapassare col quale i Last Internationale stanno entrando nell’immaginario rock. In fondo Tom Morello è il loro mentore, Brad Wilk il loro batterista, Brendan O’Brien il loro produttore (con Brendan Benson). Il loro stile è decisamente più tradizionale di quello dei Rage, imbevuto di rock vecchio stampo, folk e blues, tant’è che in novembre apriranno i concerti di Robert Plant in Gran Bretagna. “Edgey e io abbiamo messo in piedi la band cinque anni fa”, spiega Paz. “I Rage Against The Machine non c’entrano: abbiamo sempre mischiato idee radicali, folk e rock’n’roll”. Dopo un tentativo abortito di registrare l’album a Nashville con un altro batterista, Morello ha messo cantante e chitarrista in contatto con Wilk. “Doveva suonare un paio di pezzi, è entrato a far parte del gruppo”. Tra le loro fonti d’ispirazione non citano gruppi alla moda, ma icone del folk antebellico come Woody Guthrie. È stata proprio la cover di “Deportees” a impressionare Wilk e convincerlo a dare una chance al duo. Effettivamente è difficile restare indifferenti alle interpretazioni vibranti di Paz, che in certi passaggi suona come una versione giovane e arrabbiata di Patti Smith. Lei dice che “Patti l’ho ascoltata, mamma aveva i suoi dischi. Ma se devo indicare le cantanti che m’hanno influenzata non posso che citare vecchie performer folk e blues come Odetta o Big Mama Thornton”. Quel che s’ascolta nel disco, afferma con orgoglio, “è tutto reale. Niente elettronica. Non è musica generata da un computer, ma da gente in carne e ossa. Fa la differenza”.
Bill Ayers, attivista e co-fondatore del movimento rivoluzionario di fine anni ’60 Weather Underground, scrive che “i Last Internationale hanno raccolto il testimone di Bob Marley, Nina Simone, Public Enemy, Woody Guthrie, Bob Dylan, Rage Against The Machine e di centinaia d’altri. Lo usano per illuminare gli angoli bui dell’ingiustizia e per indicare il cammino verso la libertà”. Non è un obiettivo troppo ambizioso per un semplice gruppo rock? “La musica, come ogni altra forma artistica, dev’essere utilizzata per incoraggiare la gente a riunirsi e lottare”, afferma Paz. “Incitiamo chi ci ascolta a uscire dal torpore. La comodità porta dritti alla tomba”. Ma è possibile dirsi anti-capitalisti e incidere per una multinazionale? “Viviamo in una società capitalista, non possiamo chiamarcene fuori”, ammette Paz. “Così come è difficile evitare di fare la spesa al supermarket e vivere solo dei frutti della terra, allo stesso modo non puoi fare a meno dell’appoggio di una major discografica se vuoi raggiungere certi obiettivi. Grazie alla Sony possiamo portare la nostra musica ovunque e comunicare con una platea vasta. E poi, diversamente, niente Brendan O’Brien”.
(Claudio Todesco)