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John De Leo, intervista: "Nessuno sa cos'è 'Il grande abarasse', nemmeno io"

John De Leo, intervista: "Nessuno sa cos'è 'Il grande abarasse', nemmeno io"

Un'esplosione di creatività. Ma anche una detonazione reale, un boom che scompiglia le vite dei protagonisti delle canzoni. John De Leo ci ha messo sette anni a dare un seguito a "Vago svanendo". Lo fa oggi con un disco, "Il grande abarasse", che somiglia a un romanzo di Stefano Benni o a un film di Jean-Pierre Jeunet, quello di "Delicatessen". Citazioni di Joseph Conrad si tengono con soliloqui deliranti, apparizioni di musica colta con mazurke, Samuel Beckett con "La pantera rosa" di Henry Mancini. Il poetico s'abbina al grottesco e valzer ballabili raccontano complotti dinamitardi. Il titolo è volutamente enigmatico. "Nessuno sa cos'è 'Il grande abarasse', nemmeno io. Ogni interpretazione è valida", dice De Leo. "L'album è ambientato in un condominio, ogni canzone corrisponde a un appartamento. Il tema ricorrente è un'esplosione, una deflagrazione interiore che ogni condomino sperimenta a modo suo".

L'ex cantante dei Quintorigo ha presentato l'album oggi, 7 ottobre, durante uno showcase al Teatro dell'Arsenale di Milano. Accompagnato da un formidabile ensemble di otto elementi, ha messo la sua voce duttile come pongo al servizio di composizioni che attraversano la canzone d'autore, la musica contemporanea, il jazz, il rock, il pop. "E un po' di punkezza", aggiunge lui. Non è un miscuglio maldestro, ma una miscela raffinata e d'impatto. Vestito di nero, con l'aria di chi stenta a prendersi sul serio, in camerino riflette sulla metafora dell'esplosione: "Il condominio è un agglomerato sociale che ne rappresenta uno più ampio. Cos'è la grande deflagrazione? È il fatto che le persone finalmente entrano in relazione. S'incontrano ed è la cosa più esplosiva che possa accadere, anche a noi, adesso". Come dire: smettiamo di limitarci a cliccare "mi piace" e cominciamo a interagire con le persone in carne e ossa.

 

Come in una scena del film "Delicatessen", dove il cigolio delle molle di un materasso dà vita a una sorta di sballata sinfonia condominiale, le canzoni di "Il grande abarasse" dialogano fra di loro. E così "Apocalissi mantra blues", sui pensieri dell'anziana signora Zanardi, contiene echi di "Di noi uno", fantasmagorico amplesso fra i giovani del sesto piano. L'autobiografismo è bandito. "Anch'io ho la tendenza a interessarmi della persona che c'è dietro un disco, un film, una rappresentazione. Ma è feticismo. La grandezza di un'opera d'arte nulla ha a che vedere con l'uomo che l'ha ideata. Conosco artisti sinceri, sincerissimi, che si commuovono mentre dicono cose trite e ritrite. No, grazie. La sincerità non è un valore assoluto".

"Il grande abarasse" uscirà anche in vinile, forse persino con inclusi gli spartiti. "Ma per me", dice De Leo, "quei pallini neri sul pentagramma sono formichine". In coda al disco c'è un altro disco, un vero ghost album, una colonna sonora strumentale per il cinema commissionata e mai utilizzata. Un'altra splendida anomalia. De Leo non ha paura che il suo linguaggio musicale ibrido, per certi versi colto, spesso noncurante delle regole dalla canzone stenti ad arrivare al pubblico? "Pasolini diceva che lo spettatore deve fare tanta fatica quanta ne faceva lui per concepire i film. Ecco, io non dico che un ascoltatore debba faticare, però non voglio neanche cantare quel che la gente s'aspetta di sentire. Sarebbe noioso, se non offensivo. Prendi Björk: non fa dischi esattamente canticchiabili, però dietro c'è un pensiero musicale, un concetto stimolante. Il rispetto per il pubblico non sta nell'accontentarlo".

(Claudio Todesco)

 
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