Il tempo, oggi, è stato clemente, e l'isola di Oboda, a Budapest, dove dallo scorso 11 agosto si sta svolgendo la ventiduesima edizione dello Sziget Festival - la prima, nella storia della manifestazione ungherese, a far segnare il sold out, con oltre 400mila tra biglietti e abbonamenti venduti - non si è trasformata in quella spianata di pantano con la quale ieri è stato costretto a confrontarsi - tra gli artisti nostri connazionali presenti in cartellone - Caparezza, che pure è stato capace di inchiodare il pubblico contro le transenne dell'Europe Stage - spazio cooptato da Sziget Italia e Pugliasounds - nonostante la pioggia battente: "Eppure prima di salire sul palco ero quasi nervoso, perché suonare in un posto così non capita tutti i giorni".
A parlare è Diodato, che pure non solo ha confidenza col grande pubblico, ma anche col panorama internazionale, vantando collaborazioni - in tempi non sospetti - con Sebastian Ingrosso e Steve Angello, che solo in seguito sarebbero diventati due terzi degli ormai disciolti campioni della EDM scandinava Swedish House Mafia. E proprio perché sicuro di sé il cantautore di origini tarantine per mascherare la sua italianità non ha fatto nulla. Anzi. "Sapevo che tra il pubblico ci sarebbero stati tanti italiani", ci racconta lui, "Anche se a conti fatti la platea era piuttosto composita. Quando ricevetti l'invito alla Sziget pensai anche di presentarmi con una selezione di miei brani riscritti in inglese. Poi, però, ho optato per un set tutto italiano, attingendo al repertorio più classico, quello di De André e Modugno (rispettivamente "Amore che vieni, amore che vai" e "Piove", già da tempo nelle setlist dell'artista, ndr), con, come unica deroga, 'Across the universe' dei Beatles. E' stato un po' come portare un pezzo d'Italia con me".
Senza nessun complesso o ammicammento, ovviamente: "Me lo dicevano anche dei colleghi, con i quali ho parlato di esperienza dal vivo all'estero: per la verità, in Europa, c'è molta più richiesta di musica italiana di quanto non si possa immaginare". Quale lezione prendere, quindi, da giornate come questa? "L'attenzione dimostrata dal pubblico dà la sensazione che la musica appartenga a posti come questo", è la risposta: "In Italia, spesso, quando si sale su un palco, si ha la sensazione di essere finiti ad esibirsi dal vivo per sbaglio, dove alla gente importa relativamente di quello che stai facendo. Qui c'è amore e rispetto. Mi stupisce che platee come queste scontino il luogo comune della freddezza mitteleuropea: i ragazzi che questo pomeriggio erano sotto al palco - e non parlo degli italiani - erano tutto fuorché freddi".
Che tutto questo entusiasmo possa fungere da innesco per un prossimo tour all'estero? "Ci avevamo pensato seriamente", spiega lui: "Qualcosa di molto spontaneo, solo chitarra e voce, nei piccoli club. Qualcosa anche di incosciente, di poco strutturato: si sarebbe trattato di prendere accordi coi locali, saltare in macchina e andare. E' bellissimo, ma per farlo ci vuole molta energia, e per il momento preferiamo rimanere concentrati sull'Italia".
Poi, ovviamente, c'è il contesto, che è fondamentale: "Lo Sziget è un festival al quale di appunti se ne possono fare pochi: tutto funziona alla perfezione, gli artisti sono trattati benissimo. Mi spiace che in Italia non si possa avere qualcosa di simile. Per dire: questa è una città in una città, un'area vastissima completamente consacrata alla musica da vivo. Da noi, solo ottenere i permessi da una qualsiasi autorità locale per organizzare qualcosa del genere sarebbe impossibile". C'è poi il discorso dei finanziamenti: allo Sziget un ruolo fondamentale lo giocano i grandi sponsor. "In un periodo di crisi come questo, ben vengano le multinazionali, se funzionali all'allestimento di eventi culturali di tale rilevanza. Peccato non riuscire a fare altrettanto anche da noi, perché il nostro Paese avrebbe tutti i numeri per offrire una manifestazione altrettanto bella. Anzi, tante manifestazioni altrettanto belle...".