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Foals dal vivo all'Alcatraz di Milano: il report del concerto

Foals dal vivo all'Alcatraz di Milano: il report del concerto

Inizio facendo un po’ lo gnorri. Tipo: all’Alcatraz ci sono i Foals. E’ parecchio che non venivano dalle nostre parti, e ritrovarli oggi con tre album addosso può essere una buona occasione per fare, come dire, il punto della situazione? Anche perché sono tre dischi molto validi, l’ultimo, “Holy fire”, in grado di uscire molto bene sulla distanza. E dal vivo? Dal vivo chissà. Personalmente è un bel pezzo che non li vedo all’opera, e l’ultima volta, al Rainbow (ai tempi di “Antidotes”), eravamo quattro gatti, Berlusconi aveva appena vinto le elezioni e per giunta siamo andati a letto senza encore. Quindi boh, sono passati cinque anni, dei Foals si è sempre sentito parlare un gran bene e io continuo a fare lo gnorri.

L’apertura spetta ai No Ceremony///, che sono in cinque e prendono il palco dell’Alcatraz (versione tagliata in due) quando ancora la gente non è troppa e gli applausi anche meno. Poco male: non lo molleranno per una quarantina di minuti, strappando consensi ad una platea che si sta inesorabilmente avvicinando al sold out. E se alla fine del loro set non saremo pieni, poco ci manca. Il loro è un synth pop wave a cinque, un po’ M83, un po’ Chvrches. Ci sta, soprattutto in questo periodo.

I Foals invece sono programmati per le nove e un quarto, ma le luci si spengono accademicamente un quarto d’ora dopo. L’incipit vede Jimmy Smith entrare per primo, imbracciare la chitarra e introdurre i compagni. Per ultimo arriva Yannis Philippakis; total black, ricciolo e barba da copione, portamento massiccio. In pratica uno hobbit greco muscoloso. “Prelude” funge quindi da… preludio. Pezzo strumentale di sette minuti e mezzo, abbellito da un bel solo di chitarra su un gagliardo tessuto ritmico. Belle le luci e ottimo il sound, compatto almeno tanto quanto il frontman. Qui inizio a venire un po’ allo scoperto, perché va bene fare come se nulla fosse, ma certe sere lo vedi subito quando promettono bene. Ecco, su “Miami” la platea si spacca letteralmente. Cori, handclapping, gente che salta e, soprattutto, canta. “Olympic Airways”? Di nuovo, ancora di più. “Ciao ragazzi”. Ciao Yannis, mi sembri bello in canna. Tempo di un arpeggio e “Blue blood” è già patrimonio comune. Come sono i Foals live? Una macchina. Prendono i pezzi, li dilatano e poi li ricamano tessendo trame a più livelli. C’è la chitarra che guida la carica, una impressionante seconda linea ritmica a sostegno e l’aereonautica sintetica che bombarda in sottofondo. Ripeto: una macchina. Intervalli e riprese, stacchi e crescendo. “My number” fa sorgere legittimamente qualche dubbio su dove si nascondano durante l’anno gli esagitati fan dei Foals; dubbi che iniziano a sgranocchiare la nuca di Philippakis: “Era tanto che non suonavamo qui. E’ bello essere tornati, dovremmo farlo un po’ più spesso”. Siamo alla sesta e il buon Yannis pensa bene che magari è arrivato il momento di lanciarsi in platea di testa, con rincorsa. Un po’ di stage diving non fa male a nessuno. Massì. Tanto poi arriva “Milk & black spiders” a decomprimere un po’ (ottima la coda finale strumentale), e “Spanish Sahara” a far saltare il banco. Pezzo strepitoso (stasera in versione nove minuti), e non aggiungo altro. “Red socks pugie” arriva a rimorchio: Jack Bevan sale in piedi sulla batteria e lancia la volata. Tutti ballano, tutti cantano, parte qualche “ascensore” nelle retrovie in corrispondenza di un finale che sembra quasi quello di un pezzo metal. Pesante come un macigno. Ma sono i Foals?! “Late night” chiarisce ulteriormente il ruolo di guida e cardine di Philippakis; suo e della chitarra che si porta incollata addosso. Anche quando decide, sull’ultima “Electric bloom”, di farsi una nuova passeggiata sulle prime file. Si badi bene: non “tra le prime file”, ma “sulle prime file”. Seguita da un altro bel salto e da un finale da tappi per le orecchie. Pausa. Al rientro i primi a non capirci molto sono i Foals stessi. Ringraziano per la serata, davvero fuori dall’ordinario, e dedicano a tutti i presenti l’ottima “Inhaler”. “Questa sera ci avete fatto battere il cuore”. Parte “Two steps, twice”, Philippakis si fa tutto l’Alcatraz a piedi, arriva al bar laterale, shot di whisky, giro finale in platea e rientro sul palco.

A questo punto non si può più fare finta di niente: uno dei concerti dell’anno. E i Foals? Live band totale. Non me lo aspettavo. O forse sì, ma non così.

(Marco Jeannin)

SETLIST
“Prelude”
“Miami”
“Olympic Airways”
“Blue blood”
“My number”
“Providence”
“Milk & black spiders”
“Spanish Sahara”
“Red socks pugie”
“Late night”
“Electric bloom”

“Inhaler”
“Two steps, twice”
 

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