
La similitudine sta tutta lì, in un neologismo facilmente comprensibile anche da chi non mastichi troppo l'inglese: McRecords. Come dire, McDischi. Qualcosa che costi poco da consumare in fretta, come il cibo da fast food. E che a lungo andare, come il cibo da fast food, non faccia troppo bene alla salute. Steve Lukather, colonna dei Toto, non è di certo tra i più ardenti sostenitori delle nuove piattaforme di streaming musicale online, quelle che fanno paura ai big radiofonici ma che, secondo l'artista, oltre a ricompensare con percentuali da fame gruppi e cantanti ("Sono 35 anni che faccio lavoro e ancora non ho capito chi tiene conti e registri", ha spiegato: "Io non vedo un soldo, eppure su queste piattaforme ho un sacco di roba") stanno abituando male - anzi malissimo - le nuove generazioni.
"Fanno dei 'McDischi' per gente che poi non li ascolta nemmeno", si è lamentato il chitarrista rispondendo a Bob Lefsetz, critico musicale e tra i più attenti osservatori statunitensi, che in una sua recente uscita ha lodato il servizio di Spotify e di altre società simili: "E' solo musica di sottofondo per gente che sta cercando compagnia, che sta mandando messaggio dal cellulare, parlando su Skype o facendo altre cose. Se ne sono andati i tempi nei quali ci si sedeva in silenzio, si ascoltava e poi si parlava - quasi smontandolo pezzo per pezzo - un disco. Si leggevano le note di copertina, si guardavano le foto del gruppo in studio, immaginando che posto magico fosse per aver prodotto quello che si stava ascoltando".
Poi, l'invettiva contro la saturazione del mercato, elemento tornato d'attualità qualche giorno fa dopo una statistica della Nielsen Soundscan relativa all'andamento delle vendite sul mercato digitale statunitense: "Oggi troppa gente fa dischi, perché oggi come oggi è troppo facile - con l'Autotune, i programmi di editing musicale e tutto il resto - provare a fare la popstar. Cazzo, la maggior parte dei ragazzini non è nemmeno capace di suonare una canzone dall'inizio alla fine riuscendo a mantenere tempo e intonazione, per non parlare dell'interpretazione. Passo la maggior parte del mio tempo in studio e sento cosa si dicono tecnici del suono e produttori: adesso a nessuno frega niente se chi vende valanghe di dischi sappia davvero cantare o suonare".
Senza contare, a detta di Lukather, lo scarso supporto da parte degli organi di informazione: "La situazione sarebbe probabilmente diversa se i media ascoltassero davvero la musica che si produce oggi invece di dedicare tutta la loro attenzione all'apparenza, alla moda e a tutte queste altre stronzate. Veri musicisti che suonano vera musica: là fuori ce ne sono, solo che vengono quasi del tutto ignorati dalla stampa".