Da Aban a Vincenzo da via Anfossi, passando per Bassi Maestro, Big Fish, Dargen D'Amico, Emis Killa, Ensi, Fedez, Guè Pequeno, Jake La Furia, Mondo Marcio, Nesli, Piotta, Sud Sound System e tanti altri, l'intero alfabeto dell'hip hop italiano (più un illustre ospite straniero, il pioniere afroamericano del rap Kurtis Blow) si dà appuntamento stasera al Mediolanum Forum di Assago (Milano) per il quinto compleanno di Hip Hop TV, l'unica emittente televisiva italiana (in onda sul canale 720 della piattaforma di Sky) dedicata alla musica "urban" in Italia. In programma una sessantina di artisti per oltre quattro ore di musica. Un incubo logistico e organizzativo (per non parlare della difficoltà di costruire un cartellone con tante prime donne)? "In effetti è tutt'altro che facile", ammette il direttore artistico dell'emittente (e dj, e rapper: sul palco si esibirà anche lui) Max Brigante. "Forse ho il vantaggio di conoscere tutti da tantissimi anni e di avere con ognuno di loro rapporti diretti perché siamo cresciuti insieme. Ma ovviamente lo sforzo produttivo è imponente, ogni anno l'organizzazione di questo evento ci porta via circa sei mesi di lavoro".
Cinque anni fa il mondo, e la scena hip hop, erano molto diversi. "La tv nacque da una mia idea", ricorda Brigante. "Ero già vicino al mondo dell'hip hop, organizzavo serate, da tanti anni facevo il dj, apprezzavo l'energia di quella scena e avevo intuito che una bomba stava per esplodere. Come società avevamo alle spalle un know how di sette, otto anni maturato a Rock TV, e proposi al mio editore Gianluca Galliani di immaginare un canale simile ma dedicato a un altro genere musicale. Cercai di convincerlo che qualcosa stava succedendo, in un momento in cui non c'erano ancora dischi in classifica o tournées capaci di attirare il grande pubblico. Erano altri tempi ma fortunatamente l'editore, forte della bella esperienza di Rock TV e desideroso di fare nuove esperienze, accettò. Facemmo una proposta a Sky e restammo in ballo per circa un anno ma poi il progetto partì. Avevamo ben chiaro fin dall'inizio che avremmo dovuto puntare sulla differenziazione dando spazio alla scena italiana". Quali erano i segnali che facevano presagire quel che sarebbe successo? "Faccio il dj e percepire l'evoluzione dei gusti del pubblico fa parte del mio mestiere. Organizzavo serate chiamate Five Stars, composte da dj set e gruppi emergenti, dove già arrivavano 1.500-2.000 persone per sera. C'erano i Club Dogo, Guè Pequeno, Marracash, i Two Fingerz, Mondo Marcio, Fabri Fibra...e si percepiva che qualcosa stava succedendo. La cosa bella di Hip Hop TV è che è cresciuta di pari passo alla scena rap italiana, e non si sa in che modo si siano influenzate reciprocamente: sicuramente siamo diventati grandi insieme. In questi cinque anni, mentre noi consolidavamo la nostra presenza, abbiamo visto tante volte artisti hip hop italiani finire al numero uno in classifica e tanti tour sold out, abbiamo cominciato a vedere milioni di visualizzazioni su YouTube. I dati di ascolto del canale misurati dall'Auditel non sono, a mio giudizio, un metro di valutazione significativo. Ci fidiamo di più dei monitoraggi che facciamo sul territorio organizzando serate ed eventi che raccolgono grande riscontro di pubblico. Sappiamo di essere seguiti dalle persone che amano questo genere musicale e di essere diventati un punto di riferimento, un collante della scena. Sono aumentate anche le iniziative sul nostro canale da parte di brand importanti... ( lo show di stasera è sponsorizzato Pepsi). Contemporaneamente è cresciuta la nostra festa. La prima edizione, cinque anni fa, si doveva tenere alla discoteca De Sade di Milano, ma proprio quel giorno il club chiuse i battenti. Chiesi agli amici dell'Alcatraz, il club confinante, di ospitarci. Ebbi l'ok e arrivarono duemila persone invece delle 3-400 che avevo preventivato. Poi l'evento crebbe a tal punto in importanza che negli ultimi due anni abbiamo dovuto traslocare al Forum".
Alla base del successo anche la maturazione della scena: "Gli artisti non sono più litigiosi come qualche anno fa", spiega Brigante. "Anzi, secondo me il successo dell'hip hop italiano si deve oggi proprio alla sua capacità di fare sistema. Gli artisti si aiutano tra di loro, hanno fuso le fan base, moltiplicano i featuring e utilizzano nel modo migliore le nuove tecnologie. Per questo il rap italiano è molto più avanti degli altri generi ed è, in assoluto, la musica che parla meglio ai ragazzi. Molti rapper italiani sono diventati così importanti da essersi accasati presso le maggiori case discografiche: Sony e Universal la fanno da padrone, una etichetta italiana come la Carosello ha piazzato un bel colpo con Emis Killa...Stiamo parlando degli unici artisti, forse, che ancora vendono dischi. Per le case discografiche è anche più facile lavorare con chi è abituato al do it yourself: nell'hip hop tutti sanno come fare un videoclip o realizzare le copertine; tutti pensano a fare comunicazione a 360 gradi, a usare i social network, a sfornare anteprime, mix tape e versioni deluxe...Il grosso del lavoro lo fanno gli artisti e i management. Le major sono poi state brave a prendere i migliori nomi sulla scena e a sviluppare la loro carriera". Nell'ambito di un perimetro musicale e stilistico che si è via via allargato. "Per questo sostengo che oggi è il momento d'oro della scena italiana: ce n'è per tutti i gusti, un po' come negli Stati Uniti, in Francia o in Germania. C'è spazio per il rap hardcore, per quello più scanzonato e per sui ritmi urban propone una musica quasi cantautorale... .E il pubblico è molto pronto ad accettare le varie sfaccettature: ecco perché anche noi mettiamo in scena una festa molto ampia dal punto di vista della proposta musicale. Ma senza nessuna forzatura: negli Stati Uniti oggi John Legend collabora con Jay Z, in Italia succede lo stesso".
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