Dopo i Megadeth, tocca ad un altro peso massimo: ecco gli Slayer di Tom Araya e Kerry King. Sono orfani del chitarrista Jeff Hanneman, alle prese con una fascite necrotizzante al braccio. Al suo posto per il momento c'è Gary Holt, preso in prestito dagli Exodus. Il sole sta tramontando e sembra voler dare tregua al pubblico dell'Arena Concerti, che pare sinceramente abbastanza provato dalle ore passate sotto la calura.
Il gruppo prova subito a risollevarli e dà fuoco alle ceneri con "World painted blood": Araya, visti i problemi alla schiena, non si muove più moltissimo e lascia la fascia di agitatore a King, bardato con tanto di catene alle gambe. L'inizio non è però così forte come si spererebbe. I pezzi più recenti del repertorio degli Slayer non hanno evidentemente la stessa forza dei cavalli di battaglia del passato.
Piano piano però l'ambiente si scalda e comincia anche il pogo selvaggio. Brani come "Raining blood" e "Mandatory suicide", dove King si può lanciare nei suoi assoli dissonanti, riescono finalmente a far decollare il set. Il batterista Dave Lombardo appare in ottima forma, Tom Araya sorride spesso e parla con il pubblico. "Siete tutti pazzi a causa di questo fottuto caldo", scherza.
Il finale è con il piatto forte, il classico "Angel of death". Un inno trash metal forte, discusso, che parla di Auschwitz, violenza e nazismo con grande crudezza. Il pubblico non chiedeva di meglio e si scatena. Fine della partita, ora tocca a Lars Ulrich e compagni. I più attesi, ovviamente.