Parla lento, Paul Simon. La sua voce è musicale anche se non canta per il pubblico, ma conversa con i giornalisti.
Oggi, 29 ottobre, il cantautore ha incontrato la stampa in un grande albergo milanese. Tra gli argomenti, ovviamente, il concerto della sera precedente, al Palavobis, di fronte a qualche migliaio di persone. “E’ stato bello”, racconta, scandendo le parole. “Mi sono sorpreso e onorato dal fatto che così tante presone sapessero a memoria le parole, anche di quelle più recenti. Quando l’energia di un concerto arriva ad un certo punto, allora l’aspetto emozionale viene fuori e mi fa piacere che il pubblico la colga, alzandosi in piedi e iniziando a cantare. Rende il concerto autentico”.
Al Palavobis Simon ha radunato una folla non foltissima, ma sicuramente affezionata. Guardato a vista da un imponente staff di sicurezza che monitorava l’assegnazione dei posti a sedere, il pubblico ha resistito qualche canzone. Poi al suono di “You can call me Al”, tutti in piedi a ballare e a cantare. Dalle ultime canzoni del nuovo disco “You’re the one” a immortali classici come “The boxer” o “Bridge over troubled water”, Simon ha rinnovato sul palco una rito che va al di là delle generazioni, che ha unito quaranta-cinquantenni (molti) con venti-trentenni (non pochi). E dire che era ritornato sul palco solo l’anno scorso, dopo quasi 8 anni di lontananza, scottato nel frattempo anche dal fallimento del musical “The Capeman”. “La scorsa state ho fatto il mio primo tour dopo un lungo periodo, con Bob Dylan”, ha raccontato a Rockol. “Il motivo per cui mi sono fermato è perché a un certo punto mi sono reso conto che non sapevo più quello che stavo facendo, né sapevo se il pubblico lo sapesse. Ero la caricatura di me stesso, mi stavo imitando. Mi sono detto: non voglio essere un intrattenitore, sono un musicista. La musica è vera se è espressione dell'anima.”
Nessun rischio di intrattenimento, ma musica vera al Palavobis dove Simon, accompagnato da una band di 11 elementi, ha dato vita ad un concerto capace di passare dal folk rock all’etnico, riscrivendo alcune pagine della propria carriera. Il miglior esempio è stato una bella versione per percussioni di “Kodachrome”. Già, perché ora è il ritmo che domina la musica di Simon. Quello (ri)scoperto in Africa, ai tempi di “Graceland”, le cui canzoni sono accolte trionfalmente. Eppure Simon non ha paura di riappropriarsi di quarant’anni di songwriting americano, senza scivolare nella nostalgia. “Per me il pubblico è un valore estetico, devo offrirgli qualcosa”, ci ha raccontato. “Non sarei andato in tour se non avessi avuto canzoni nuove. Ne ho suonate anche di vecchie, ma non ho paura della nostalgia. Ho fatto ‘Homeward bound’, ‘The boxer’, ‘I am a rock’ che non facevo da anni. Ma non ho fatto ‘The sound of silence’ o ‘Mrs Robinson’. Alcune delle canzoni vecchie acquistano una nuova forza con gli anni. ‘Old friends’, per esempio, l’ho scritta che ero un ragazzino, che ne sapevo allora che volesse dire essere anziano? Ora la capisco molto meglio, ci sono quasi... Le canzoni cambiano anche solo in poco tempo. Questo era solo l’ottavo concerto, e vi assicuro che è molto migliorato dal primo, ma meglio che non lo diciate quelli della Svezia, dove ho iniziato il tour…”
Nella lunga chiacchierata con Rockol, Paul Simon ha parlato del presente e del passato, del suo rapporto con Art Garfunkel e del suo amico Bob Dylan, della pena di morte e dell’industria musicale contemporanea. Il resconto completo verrà pubblicato nello spazio interviste.
Al Palavobis Simon ha radunato una folla non foltissima, ma sicuramente affezionata. Guardato a vista da un imponente staff di sicurezza che monitorava l’assegnazione dei posti a sedere, il pubblico ha resistito qualche canzone. Poi al suono di “You can call me Al”, tutti in piedi a ballare e a cantare. Dalle ultime canzoni del nuovo disco “You’re the one” a immortali classici come “The boxer” o “Bridge over troubled water”, Simon ha rinnovato sul palco una rito che va al di là delle generazioni, che ha unito quaranta-cinquantenni (molti) con venti-trentenni (non pochi). E dire che era ritornato sul palco solo l’anno scorso, dopo quasi 8 anni di lontananza, scottato nel frattempo anche dal fallimento del musical “The Capeman”. “La scorsa state ho fatto il mio primo tour dopo un lungo periodo, con Bob Dylan”, ha raccontato a Rockol. “Il motivo per cui mi sono fermato è perché a un certo punto mi sono reso conto che non sapevo più quello che stavo facendo, né sapevo se il pubblico lo sapesse. Ero la caricatura di me stesso, mi stavo imitando. Mi sono detto: non voglio essere un intrattenitore, sono un musicista. La musica è vera se è espressione dell'anima.”
Nessun rischio di intrattenimento, ma musica vera al Palavobis dove Simon, accompagnato da una band di 11 elementi, ha dato vita ad un concerto capace di passare dal folk rock all’etnico, riscrivendo alcune pagine della propria carriera. Il miglior esempio è stato una bella versione per percussioni di “Kodachrome”. Già, perché ora è il ritmo che domina la musica di Simon. Quello (ri)scoperto in Africa, ai tempi di “Graceland”, le cui canzoni sono accolte trionfalmente. Eppure Simon non ha paura di riappropriarsi di quarant’anni di songwriting americano, senza scivolare nella nostalgia. “Per me il pubblico è un valore estetico, devo offrirgli qualcosa”, ci ha raccontato. “Non sarei andato in tour se non avessi avuto canzoni nuove. Ne ho suonate anche di vecchie, ma non ho paura della nostalgia. Ho fatto ‘Homeward bound’, ‘The boxer’, ‘I am a rock’ che non facevo da anni. Ma non ho fatto ‘The sound of silence’ o ‘Mrs Robinson’. Alcune delle canzoni vecchie acquistano una nuova forza con gli anni. ‘Old friends’, per esempio, l’ho scritta che ero un ragazzino, che ne sapevo allora che volesse dire essere anziano? Ora la capisco molto meglio, ci sono quasi... Le canzoni cambiano anche solo in poco tempo. Questo era solo l’ottavo concerto, e vi assicuro che è molto migliorato dal primo, ma meglio che non lo diciate quelli della Svezia, dove ho iniziato il tour…”
Nella lunga chiacchierata con Rockol, Paul Simon ha parlato del presente e del passato, del suo rapporto con Art Garfunkel e del suo amico Bob Dylan, della pena di morte e dell’industria musicale contemporanea. Il resconto completo verrà pubblicato nello spazio interviste.
Schede:
La fotografia dell'articolo è pubblicata non integralmente. Link all'immagine originale