Su "La Repubblica" Franco Quadri descrive "POEtry", opera teatrale nata dalla collaborazione tra Bob Wilson e Lou Reed, presentata ad Amburgo. «In effetti manca un'unità drammaturgica, anche se alcuni brani sono affidati al Giovane o al Vecchio Poe, mentre i riferimenti ai racconti s'alternano a brani di poesie, l'autentico al rifacimento o ai commenti di terzi, per non dire dei song o dei versi di Lou Reed. (...) In realtà lo spettacolo è montato su una combinazione di segni, le icone in cui Wilson concentra come gli è congeniale il proprio sguardo, e la partitura contrapposta o integrante di Reed, di cui è nota anche l'attività poetica; e qui il musicista ha partecipato a creare qualche nodo tematico, dandosi da fare con passione nella fase finale, quando i due settori creativi sono arrivati alla fusione dopo una lunga fase di elaborazione autonoma. (...) Questo piano surreale in Poe trova rispondenze nelle deformazioni come nei giochi grafici, anche se non sempre si sente l' adesione di Wilson al mondo dello scrittore, così forte nello scatenarsi irrefrenabile delle musiche, violente fin dall'inizio che fa vibrare la sala e sempre catturate dall'incubo che generano, anche se la libertà aggressiva di Reed, dopo avere gareggiato con i rumori d'effetto che fan risonare i movimenti dei personaggi nel vuoto, si concede deliziose parentesi soft, tipo un Broadway Song o l'invocazione finale agli angeli custodi che proteggono dalle paure notturne, lanciata con diavolesca tenerezza mentre tre donne in bianco prendono il volo nel riquadro di fondo. E dopo aver montato coi suoi cinque suonatori la sarabanda fiabesca di un carillon ad anello in un contorno di percussioni terrorizzanti, Reed regala alla sala due bis personali accolti con un tale urlo di gioia tra scroscianti battimani che forse lo spettacolo non avrebbe meritato con quel suo andamento da esercizio un po' ripetitivo».
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