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Arm On Stage: i cantautori diventano psichedelici

Metti tre cantautori  e un musicista/arrangiatore in un casolare sperduto nella riserva di caccia del Monte Acuto, sul  Passo del Sassello.  Dieci giorni in isolamento, a suonare e improvvisare in assoluta libertà circondati da Madre Natura. Previdibile che ne esca qualcosa di insolito, una sterzata brusca rispetto a quanto Folco Orselli, Stefano Piro, Claudio Domestico (leader degli Gnut) e Alessandro Sicardi – alias gli Arm On Stage – avevano fatto fino ad oggi. “Sunglasses under all stars”, primo disco pubblicato sotto la misteriosa sigla collettiva che si sono scelti, è davvero una sorpresa. Nello stile musicale, fortemente influenzato dal rock psichedelico, e nella scelta (inedita per i quattro) di cantare in inglese. “La lingua più adatta a queste sonorità e a testi che si esprimono soprattutto per immagini”, spiega Orselli a Rockol. “L’inglese è parlato dall’80 per cento della popolazione mondiale, e stavolta abbiamo voluto pensare in grande. Chissà che non si riesca a farsi ascoltare anche altrove, oltre che in Italia”.

Torniamo al casolare del Sassello: “L’aveva comprato mia madre per i miei nonni, una quindicina di anni fa. Sta in un posto davvero fuori dal mondo, per niente turistico. A cavallo tra Liguria e Piemonte, con tanti fiori, alberi d’alto fusto e l’aria calda che arriva dalla riviera. Ci siamo andati nel luglio di due anni fa, l’idea non era di fare un disco ma di divertirsi. Ci siamo portati  dietro le chitarre e tutta la strumentazione possibile, ci siamo goduti bellissime giornate di sole e fantastiche stellate notturne. Isolati com’eravamo, potevamo permetterci di suonare all’aperto anche di notte, o di fermarci in un bosco a strimpellare le chitarre. Abbiamo registrato sul computer sette, otto ore di musica improvvisata, spesso partendo da un loop di batteria che ci piaceva. Nel sound si coglieva qualcosa di particolare, una volta tornati a Milano abbiamo ripreso in mano il materiale e ricucito le parti dando forma alle canzoni: il disco è nato così, come una specie di Frankenstein. Il quinto incomodo è stata la natura che ci circondava e che esplodeva intorno a noi. E’ stato l’elemento scatenante di quelle che abbiamo chiamato ‘improvvisioni”, improvvisazioni e visioni nate dalle sensazioni particolari di quei giorni e dalle nostre lunghe conversazioni. Per quello abbiamo chiamato un pezzo ‘The guardian’, ci sembrava che la natura fosse una presenza fisica costante, che fosse lì a farci la guardia… Noi, che abbiamo sempre scritto canzoni che raccontano la realtà, stavolta abbiamo sondato un terreno più mistico, più spirituale, dando sfogo a una vena più onirica e psichedelica”. A proposito, da dove arriva? “Ovviamente dai nostri ascolti passati, ognuno di noi ha amato anche la musica anglosassone. Niente di voluto, solo riascoltando i pezzi ci siamo accorti di certe inflessioni alla Police, alla Pink Floyd. Delle influenze di Doors, Traffic, Yardbirds, forse anche dei Pearl Jam. La lingua inglese è servita anche a questo, a fare incontrare su un terreno vergine gente che proviene da mondi musicalmente diversi: io in qualche modo più vicino al blues, Stefano interessato al tango e alla milonga, Claudio incline al folk e ai tempi dispari,  Alessando al jazz e alla classica”.   

Sorprese? “Molte, per esempio il fatto che questa scrittura ad otto mani abbia funzionato senza intoppi. E anche molto divertimento, perché questo esperimento ci ha dato modo di uscire dai nostri binari abituali. E’ stato quasi un bagno rituale di rigenerazione, un’esperienza rinfrescante. E’ vero, ci sono momenti un po’ cupi come ‘Spider rain’, con quelle immagini di stanze della mente popolate di ragni e di pipistrelli. Ma in realtà io percepisco ‘Sunglasses under all stars’ come un disco non inquieto, anzi pervaso da una sorta di sole cosmico, invisibile.  Quando lo suoniamo dal vivo (il tour è in pieno svolgimento; ultima data il 6 aprile al Ragoo di Milano, locale gestito da Lorenzo Aldini e Amedeo Ricciolini che il disco lo hanno prodotto e pubblicato)  mi sento immerso nel sole più che nella notte. E’ un album che si presta a dialogare con la gente, anche se il pubblico che ci conosce ne resta un po’ spiazzato. A noi va bene così”. Facile intuire, dall’entusiasmo di Orselli, che ci sarà un seguito.  “Ognuno di noi sta lavorando a nuovi progetti solisti, ma intanto abbiamo deciso di tenerci dieci giorni liberi in aprile per una nuova session di ‘improvvisioni’ ”. Sul Sassello? “No, stavolta cercheremo ispirazioni differenti andando un po’ più in alto, 1.400 metri di altezza invece di 800. Il mare ammorba, la montagna è più profumata, ti avvicina al cielo e allo spazio. Credo che nel gennaio del 2011 gli Arm On Stage saranno pronti a pubblicare un altro disco”.

 

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