
A questo mondo le persone si dividono in due categorie: chi ha visto Bruce Springsteen dal vivo, e chi no. Se uno migra dalla seconda categoria alla prima, lo noti subito nella folla: si muove come se fosse a un concerto.
Quando il Boss scende al Meazza con la E Street Band noi, invece, usiamo dire che andiamo a messa. Non siamo invasati, ma nemmeno scherziamo: noi andiamo, anzi: torniamo alla celebrazione di un rito.
Il sacerdote
Bruce Springsteen. La sua liturgia viene officiata in 10.000 modi diversi. Ma la traccia resta la stessa: posseduto, prigioniero del rock and roll, cerca la redenzione. Grazie a Dio, sembra non trovarla. Perché? Ma perché, nonostante il cognome olandese e i natali americani, è per metà italiano e per metà irlandese.
La chiesa e il Patrono
San Siro, in entrambi i casi.
Il 21 giugno 1985 scoccò una scintilla che accese una fiamma che diventò un falò e oggi è un incendio che si espande.
Perché? E chi lo sa. E’ così e basta: da quella sera 80.000 apostoli cominciarono a contagiarne altre centinaia di migliaia in modo più serio, genuino e determinato di quanto buona parte di essi, che lo aspettava in Italia da anni, non facesse già.
I miracoli
- Il miracolo originale: la fusione tra Presley e Dylan. Show e coscienza, rock e folk, danza e impegno: tutte le antitesi che separavano i 50s dai 60s e ancora oggi separano generi e stili musicali furono ricongiunte e mescolate da Bruce. Una chimica perfetta e spontanea che, per i neo-convertiti, equivale a una rivelazione.
- Il miracolo di ogni concerto: la durata. Sotto le tre ore, si parla di show case.
- Il miracolo di questo decennio: la tenuta fisica. Dice che Bruce rispetto a 3 anni fa pare un po’ più statico e forse anche un po’ gonfio. Sì, probabile che il giovane quasi-67enne cominci a dimostrarne almeno 53 adesso. (Chiedi a Tom Morello (anni 52). Ti risponderà che un concerto di Springsteen è “ortopedicamente estenuante”).
L’abito talare
Bruce calca il palco di scuro vestito. Scarponi da lavoro, jeans neri, t –shirt nera, gilet a righine di toni grigio scurissimo e bandanna usato come foulard.
Il sacrestano
Little Steven. Le malelingue dicono che il vecchio Van Zandt sia ormai pura coreografia, che l’ottimo chitarrista ritmico di un tempo abbia ceduto il passo a Silvio Dante. Non hanno tutti i torti. Ma se prima era una spalla, da quando Clarence non c’è più è due spalle.
Il sermone
Bruce parla meno che in passato ma, se possibile, suona di più. Il suo repertorio è un catalogo poderoso. La scorsa settimana ha suonato 72 pezzi in due date di cui 58 diversi. Dunque, il sermone è servito. Epifania, resurrezione, redenzione, dannazione, gloria. E, ammettiamolo, donne e motori.
La domanda
“The E Street Band has come thousands of miles tonight and we need to know the answer to just one question. Can you feel the spirit?”.
La risposta
Yeah!
E’ una catarsi. Uomini di mezza età ballano, molto buffi, ovunque. Sono una delle quattro generazioni che affollano le messe del Boss insieme ad altrettante donne. Gioia collettiva, atmosfera elettrica, muro del suono, esperienza trascendente.
Il Palco
Il palco, come tale, è una proiezione della tua fantasia. Il palco, infatti, è di tutti. Fedeli e infedeli. Sappiamo bene che almeno uno di noi, staserà, ci salirà.
(gdc)