
Tra i detrattori di Spotify - che tutt'oggi non mancano, nella comunità artistica internazionale - non figurano i Pink Floyd, che con il servizio di streaming svedese hanno raggiunto un accordo lo scorso mese di giugno dopo avere detto a lungo di no allo streaming. Il batterista Nick Mason, ormai portavoce ufficiale della band inglese che si è distinta di recente per una presa di posizione polemica contro la Web radio americana Pandora, ha dichiarato in una video intervista al Wall Street Journal che "per noi Spotify è stato un successo". "Un sacco di gente ha ascoltato in streaming la nostra musica e - ancora più importante - tra queste persone ci sono anche molti che non la conoscevano ancora", ha spiegato il musicista inglese (da tempo inattivo). "Se avessimo avuto questa conversazione un anno e mezzo fa forse avrei detto qualcosa di diverso", ha aggiunto Mason. "Ma ora sta diventando chiaro che lo streaming non è un'altra forma di pirateria, e si può sostenere che oggi si ascolta più musica che in passato". Unica sua rimostranza, la richiesta di una spartizione "fifty-fifty" dei proventi con le case discografiche, che oltre a essere più equa migliorebbe i rapporti tra le controparti.
Dopo lunghe trattative, i Pink Floyd - Mason, David Gilmour e Roger Waters - avevano accettato di concedere in licenza il loro catalogo a Spotify solo dopo che la canzone "Wish you were here" avesse raggiunto il milione di stream: il traguardo venne raggiunto in appena quattro giorni, sbloccando il resto del repertorio (ora disponibile anche negli altri maggiori servizi di streaming).