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«KILL ‘EM ALL - Andrea Valentini» la recensione di Rockol

Andrea Valentini - KILL ‘EM ALL - la recensione

Recensione del 13 gen 2012

(Tsunami Edizioni, 128 pagine, 10 euro)

Voto 7/10

La recensione

Andrea Valentini, già autore delle biografie ”3.7.69- Brian Jones, morte di un Rolling Stone” e, insieme a Gabriele Lunati, di “Iggy Pop, cuore di napalm”, ricostruisce qui la genesi di un classico, “Kill ‘em all” dei Metallica. Un volumetto snello, il suo, apprezzabile anche da chi non vive il culto del metallo. Per la contestualizzazione temporale che fa da intro; per la cronaca disincantata che, paradossalmente, eleva il tasso di mitologia intorno al tema; per il modo in cui utilizza gli ignoti Metallica del 1983 per regalare lo spaccato universale di una tipica band che si trova – inconsapevole – alla vigilia del successo e fino ad allora sguazza tra alcol, fame, miseria e indecenza; per la credibilità della sua opera di ricerca e di ricostruzione di fatti e dettagli.

In “Kill ‘em all” Valentini dedica diverse pagine alla descrizione della scena e dell’etica del ‘demo trading’. E’ un passaggio utile, questo. La ricostruzione di una prassi pre-digitale basata sullo scambio, sul piccolo commercio e sulle spedizioni di cassette dimostrative di gruppi possibilmente ignoti tra fan che nemmeno si conoscono tra loro e godono della semplice attività di evangelizzazione di un suono o di un artista, dipinge in poche pagine lo sfondo culturale di tutte le scene undergound dell’epoca - e, ironicamente, riconduce buona parte del culto nascente dei Metallica alla filosofia dello ‘sharing’ che, quindici anni dopo circa, il gruppo avrebbe condannato lanciando l’anatema contro Napster… Il periodo che per Lars Ulrich e soci va dal trasloco dalla California alla costa Est all’effettiva registrazione sotto l’egida del mitico manager Johnny Z è, invece, anche l’occasione per qualche flash forward, con il recupero di brani di intervista che, ad esempio, ritracciano il mai sopito conflitto tra Dave Mustaine e Kirk Hammett, piuttosto che la dubbia (fino a quel momento) adeguatezza vocale di un timorosissimo James Hetfield alla sua prima esperienza in un vero studio di registrazione. Quando poi l’autore analizza i brani uno ad uno, sia sotto il profilo sonoro, sia dal punto di vista dei testi, mette le basi per quella che, in coda al testo, si rivela come l’autentica reason why dietro al libro: e, cioè, che “Kill ‘em all” è il blue print del thash metal. Non la sua invenzione, ma il suo sdoganamento ufficiale: che i Four Horsemen non abbiano inventato il genere è acclarato, ma da un lato la velocità, la rudezza e il volume, dall’altro le liriche basilari, belliche, scarne di un pugno di ventenni diedero la stura a una falange di cloni e colleghi che aspettavano solo la certificazione su vinile che pure la loro musica potesse essere accettata e proliferare.

Nel raccontarci la rapida evoluzione da “No life ‘til leather” (fase bootleg) a “Metal up your ass” (il titolo che non poté essere) fino a “Kill ‘em all” (il classico), Andrea Valentini non trascura nulla. La sua penna è di quelle raffinate a prescindere: acuto nell’osservazione, diretto e asciutto nelle descrizioni, rigoroso nella ricerca, è un narratore coinvolgente che mangia e respira musica.

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