Secondo album in casa Omosumo, e secondo lavoro ben fatto.
Senza girarci troppo intorno: nove pezzi in scaletta impostati su un impianto elettronico piuttosto pulito, per non dire minimale. La voce e i synth di Angelo Sicurella impostano con sicurezza la via per la sezione ritmica guidata da Antonio Di Martino (esatto, quel Dimartino… qui in veste di bassista) che va a fare da pura integrazione alla melodia, fulcro primario dei pezzi. Il resto lo mette Roberto Cammarata (chitarra e synth), calando l’asso a sei corde per dare profondità al tutto. Il risultato è un mix sonoro ottimamente calibrato in fase di produzione e missaggio, quest’ultimo ad opera del produttore canadese Colin Stewart, già a fianco di Black Mountain e Sleepy Sun: due band che non cadono proprio a caso. C’è infatti un qualcosa di più esplicitamente psichedelico del solito nell’approccio - quasi sospeso - in termini di suono e songwriting che gli Omosumo hanno tenuto scrivendo e interpretando questo disco. Partendo da questi presupposti, la band ha quindi curato con perizia la scelta dei suoni, decidendo di mettere in risalto i pezzi nella loro omogeneità piuttosto che prediligerne un aspetto particolare.
Questa omogeneità si riflette nella scelta di titolare il disco con il proprio nome, scelta sempre interessante per quanto rischiosa: si fa un passo indietro rispetto al particolare, rivendicando l’identità di un suono che va a coincidere con l’essenza della band. Questo disco siamo noi, qui e ora. Gli Omosumo del 2016 sono una band che non ha paura di sperimentare, mettendosi in discussione sia con pezzi immediatamente recettibili (“In cielo come gli angeli”/ “Un po’ di te”, entrambe un po’ Thom Yorke, un po’ Subsonica) che con altri più complicati da assimilare (“Sui tramonti di Seth”). Il consiglio è di affrontare “Omosumo” ascoltandolo da cima a fondo senza interruzioni, giusto per non perdere il filo del suono di un album che tiene le sorprese migliori nascoste tra le righe. Lavoro molto interessante.
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