Quindicesimo album: forse qualcuno non farà molto caso a questo dettaglio, ma arrivare a sfornare 15 dischi interi non è un traguardo da poco. Se poi sono 15 lavori coerenti, solidi, fedeli alla poetica del progetto e mai deludenti – come nel caso dei Brian Jonestown Massacre – allora si può tranquillamente dire di essere di fronte a uno dei rari miracoli che il rock a tratti ci regala.
“Third World Pyramid”, in sostanza, è l’ennesimo splendido tour guidato nell’universo psichedelico di Anton Newcombe, che rievoca molte delle atmosfere tipiche del primo periodo della band, quindi mood rilassato e languido, fortemente oppiaceo, profumato d’incensi e spezie esoteriche, intriso di visioni e spossatezza drogata. Decadenza è il nome del gioco, baby… e Newcombe è uno che se ne intende di sicuro.
Fra suggestioni lo-fi, neopsichedelia, folk e garage anni Sessanta, drug rock mondato da ogni pulsione hard e tanto – tantissimo – amore per gli Spacemen 3 (influenza mai negata dalla band, fin dai propri esordi), si dipanano nove brani di grande spessore, intricati e stratificati, ma a modo loro immediati e semplici. Quindi… 26 anni di vita artistica e ancora tanto da dire – ovviamente se si amano queste sonorità.
Fra l’altro questo album è il primo griffato BJM a essere interamente realizzato nel nuovo studio berlinese di Newcombe (il Cobra Studio, messo in piedi dopo il suo trasferimento nella metropoli tedesca). Insieme a lui hanno suonato e collaborato Ricky Maymi, Dan Allaire, Joel Gion, Collin Hegna e Ryan Van Kriedt – con cameo di Emil Nikolaisen (dei norvegesi Serena-Maneesh), Tess Parks e Katy Lane (moglie di Anton).
Si mormora che “Third World Pyramid” possa essere il primo capitolo di una coppia di dischi, ma di fronte alle intemperanze e all’imprevedibilità di Newcombe è meglio non cullarsi troppo in certezze aleatorie… staremo a vedere. Intanto godiamoci questo album.
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