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«TOAST - Neil Young» la recensione di Rockol

"Toast", troppo sentimentale per Neil Young

Vent'anni dopo, ecco uno dei mitici album "perduti" della ditta Neil Young & Crazy Horse

Recensione del 18 lug 2022 a cura di Marco Di Milia

Voto 7/10

La recensione

Quella di “Toast” non è che una delle mille leggende sparse nell’infinita carriera di Neil Young. Una storia di stati d’animo altalenanti, cambi di passo e altrettanto classiche alzate di spalle con cui il musicista canadese - ma dal 2020 naturalizzato statunitense - ha da sempre delineato i rapporti con la propria vena compositiva.

Un salto ai Toast Studios

Quando, nell’autunno del 2000, il cantautore si ritrova presso degli studi di registrazione un po’ malconci in Mission Street a San Francisco - i “Toast Studios” appunto -, ha intenzione sì di realizzare un nuovo album di chitarra, basso e batteria insieme ai fidati Crazy Horse Frank “Poncho” Sampedro, Billy Talbot e Ralph Molina, ma le idee sul da farsi non sembrano chiare a nessuno. Nei piani del rocker c’era soprattutto la voglia di dar sfogo alla creatività in un luogo mitico, all’epoca frequentato principalmente da topi e da vagabondi, ma che in passato aveva visto tenere a battesimo alcune delle prime opere di John Coltrane.

Tuttavia, a non essere della partita era in particolare l’animo inquieto del vecchio Neil: la relazione con la moglie Pegi si stava avviando su un punto di non ritorno e i rapporti tra i due erano ormai in caduta libera. Così in questo clima di incomprensioni e disaccordi, le canzoni - in gran parte poco definite e tutte dal minutaggio più che corposo - hanno inevitabilmente preso una piega troppo intima e riflessiva che alla fine ne ha decretato la bocciatura e un arrivederci a giorni migliori ai suoi compagni d’arme, facendo delle sessioni di “Toast” un capitolo da rielaborare, forse, più avanti nel tempo. Magari a mente lucida, con il giusto distacco. Un periodo che tradotto secondo le tempistiche con cui Mister Young ama ingarbugliare le sue uscite equivale a circa vent’anni. Anno più, anno meno.

Canzoni tra incomprensioni e disaccordi

Nel mezzo di una situazione personale difficile da gestire, “Toast” è uno di quei dischi cui Neil ha preferito voltare le spalle, ma non troppo. Delle sue sette tracce, infatti, sono solo tre quelle inedite, ovvero “Timberline”, “Standing in the light of love” e “Gateway of love”, con le ultime due più volte proposte dal vivo. Il resto del materiale è stato ripreso per far parte del successivo “Are You Passionate” del 2002, sia rispolverando quei nastri con “Goin’ home” e sia rielaborandoli attraverso il tocco soul e black apportato dalle mani di Booker T & The MGs, con cui Neil Young ha concretizzato il lavoro. Lo stesso artista ha precisato le ragioni che lo hanno portato a quel cambio di rotta: “Non ne ero contento o forse ero solo generalmente infelice. Non so. Era un album molto desolante, molto triste e senza risposte”.

Nonostante il gran rifiuto del suo autore, quanto contenuto in “Toast”, sia in termini di tribolazioni che rimuginazioni su una relazione lanciata su un binario morto, aveva una forza interiore che il musicista non voleva perdere, ma piuttosto contenere in una forma che in quel determinato momento non era ancora riuscito a individuare. Ne sono una prova la grana ruvida di canzoni come “Gateway of love” e “Standing in the light of love” con quel riff uscito direttamente dalla Stratocaster di Ritchie Blackmore, mentre nella lunga jam di “Boom boom boom”, si combinano nei suoi tredici minuti livore elettrico, pulsioni R&B e le note malinconiche di una tromba solitaria. Ancora, con la dolciastra ballata “Quit” viene chiarito subito l’andamento nubiloso del disco con parole semplici e amare rivolte a una compagna ferita troppe volte: “Non dirmi che mi ami / Sono il tuo uomo / So di averti trattato male / Ma sto facendo del mio meglio”.

Cara vecchia ruggine

A ben vedere “Toast” non sposta di una virgola gli equilibri di una cavalcata lunga mezzo secolo, ma permette uno sguardo quasi privato sulle tante tensioni che all’epoca Young stava attraversando in prima persona con un sound diretto, rugginoso e discontinuo, come pure decisamente sincero. La sua voce, in ultimo, sembra più volte sul punto di non controllare tutto il disordine emotivo che emerge, irrisolto, tra le vibrazioni riverberate in quel vecchio studio di registrazione. Così, quasi per contrappasso, l’atmosfera fin troppo cupa di queste canzoni ha finito per determinare la speranza e la fiducia che pare trasparire apertamente in “Are You Passionate?”.

A margine, “Toast” è stato uno dei primissimi album annunciati per la “Special Release Series”, la collana dei NY Archives dedicata ai dischi registrati e mai pubblicati ufficialmente, con una stampa prevista già nel corso del 2008, ma rimandata più volte con la consueta imprevedibilità che caratterizza ogni uscita del vecchio Neil. A darne notizia era stato proprio il suo autore, in occasione della ritrovata collaborazione con i Crazy Horse, alimentando così il mito di un lavoro troppo personale per essere diffuso. Il tempo per fortuna sa essere galantuomo anche con un cuore tenace come quello di Neil Young.

Tracklist

01. Quit (05:24)
02. Standing in the Way of Love (04:19)
03. Goin' Home (07:53)
04. Timberline (04:10)
05. Gateway of Love (10:11)
06. How Ya Doin' ? (06:59)
07. Boom Boom Boom (13:06)
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