Due ore e cinquanta di concerto alle spalle, Bruce e i suoi vanno via per un attimo senza parole. Hanno cominciato in anticipo per ottemperare alla orrenda pippa dell’inquinamento acustico, mancano pochi minuti alle 23.30. Ma è tutto inutile: stiamo per rientrare nel mito, stiamo per delirare ancora una volta, siamo in pieno spirito dell’85 e quel signore lassù – fradicio ma indomito, senza alcun rispetto per le sue corde vocali – sta per confermare il suo tocco magico. A 59 anni, tirato come un gommino, fa sentire tutti giovani e speciali. Tornano in scena e attaccano come primo bis “Girls in their summer clothes”. Subito dopo sarebbe tempo di "Born to run", ma arriva invece il "Detroit medley": “Devil with the blue dress”, “Good golly miss Molly” e “C. C. Rider” sono sempre il miglior party dove andare a ballare. La E Street Band, a quel punto, ha ricominciato a pulsare: il suono si fa più scarno, affilato, scintillante e quei vecchi ragazzi ritrovano nel passato i loro cuori da figli di puttana, e il Boss è ancora quello in grado di farli battere, dietro i loro strumenti. Bruce e Clarence, Bruce e Steven, Bruce e Nils: i ragazzi ritornando a guardarsi negli occhi, a sorridersi, a spronarsi l'un l'altro. E' come una formazione di aerei in volo, sono di nuovo in allineamento perfetto quando parte "Born to run" e si stenta a crederlo, ma il concerto invece di finire, sembra che stia rinascendo da se stesso.
“Rosalita (Come out tonight)” omaggia il cuore ritrovato della band e quello dei fans della prima ora, “Bobby Jean” suona come un commiato e commuove sempre, mentre “Dancing in the dark” riporta i presenti a quell'anno, il 1985, in cui il grande pubblico italiano fece la conoscenza con l'uomo di "Born in the U.S.A.". E' finita? Macchè. No, non ancora: finirà quando non ne avrà veramente più. C'è tempo per un traditional, “American land”, il sogno americano tra le mani del suo ex- working class hero, con violinista e tributo all'eredita musicale di tutti gli immigrati irlandesi e italiani, con citazione degli Zirillis (come Adele Zirilli, quella santa donna della madre del Boss). E, questa volta, deve essere finita davvero. Macchè. Non ancora. Bruce e i suoi si sporgono sulla passerella che li porta nel cuore delle prime file, poi tornano sul palco incerti tutti, tranne uno: la Fender Telecaster lascia partire un riff di tre accordi, lo stadio sa, ed esulta subito: è “Twist and shout”, e dura da sola quasi altri dieci minuti, nel corso dei quali Springsteen ringiovanisce di 20 anni.
Noi enne mila, apparentemente, siamo più stanchi di lui che, per l'ennesima volta, ne ha più di tutti. Di benzina, di vita, di rock'n'roll. Ma non infierisce. Gli basta averlo ricordato. Saluta, ringrazia, presenta velocemente la band cui una volta era dedicata una introduzione di 10 minuti, sorride, sorride, sorride, e va via. E' mezzanotte meno dieci, la Milano che vuole dormire insorgerà, il Sindaco dirà la sua, le Autorità faranno il resto, il promoter probabilmente pagherà una multa. Ma ha ragione lui: il rock'n'roll, quel rock'n'roll, non si ferma, e non si può fermare. Soprattutto tre volte ogni 23 anni. Povero chi non lo capisce.
(L. Bernini, G. Di Carlo)
“Rosalita (Come out tonight)” omaggia il cuore ritrovato della band e quello dei fans della prima ora, “Bobby Jean” suona come un commiato e commuove sempre, mentre “Dancing in the dark” riporta i presenti a quell'anno, il 1985, in cui il grande pubblico italiano fece la conoscenza con l'uomo di "Born in the U.S.A.". E' finita? Macchè. No, non ancora: finirà quando non ne avrà veramente più. C'è tempo per un traditional, “American land”, il sogno americano tra le mani del suo ex- working class hero, con violinista e tributo all'eredita musicale di tutti gli immigrati irlandesi e italiani, con citazione degli Zirillis (come Adele Zirilli, quella santa donna della madre del Boss). E, questa volta, deve essere finita davvero. Macchè. Non ancora. Bruce e i suoi si sporgono sulla passerella che li porta nel cuore delle prime file, poi tornano sul palco incerti tutti, tranne uno: la Fender Telecaster lascia partire un riff di tre accordi, lo stadio sa, ed esulta subito: è “Twist and shout”, e dura da sola quasi altri dieci minuti, nel corso dei quali Springsteen ringiovanisce di 20 anni.
Noi enne mila, apparentemente, siamo più stanchi di lui che, per l'ennesima volta, ne ha più di tutti. Di benzina, di vita, di rock'n'roll. Ma non infierisce. Gli basta averlo ricordato. Saluta, ringrazia, presenta velocemente la band cui una volta era dedicata una introduzione di 10 minuti, sorride, sorride, sorride, e va via. E' mezzanotte meno dieci, la Milano che vuole dormire insorgerà, il Sindaco dirà la sua, le Autorità faranno il resto, il promoter probabilmente pagherà una multa. Ma ha ragione lui: il rock'n'roll, quel rock'n'roll, non si ferma, e non si può fermare. Soprattutto tre volte ogni 23 anni. Povero chi non lo capisce.
(L. Bernini, G. Di Carlo)
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